18 Luglio 2023

Ringrazio per questo splendido, terribile anno

Svetlana Panič

Filologa, è stata ricercatrice presso l’Istituto Solženicyn di Mosca fino al 2017, ora è traduttrice e ricercatrice indipendente.

Se io fossi arrivata in Canada come turista, da amante dello stile shabby fotograferei questo portone che introduce nel giardino segreto; mi commuoverei fino alle lacrime e tirerei fuori qualche citazione ad hoc.

Quando, un anno fa, io con i miei cari amici Majja, Roma, Mikola e Tereza vagavamo per Cracovia di giorno e di notte, sedevamo nei caffè e rovistavamo nelle librerie, neppure nelle fantasie più sfrenate avrei potuto immaginare che il mio primo compleanno in Canada lo avrei festeggiato oltre quel portone, nella casa dei miei colleghi d’università costruita alla fine del XIX secolo, che storicamente è appartenuta – come si desume dalla targa sul muro – a «John Paterson, gentleman». Ovviamente un colonizzatore. I pavimenti ancora ricordano i passi dignitosi del gentleman, e scricchiolano sotto il passo frettoloso.

Non avrei mai potuto immaginare né John Paterson né uno solo degli avvenimenti di questo anno. Ma se può danzare la Sapienza, perché non può ballare l’Imprevisto? E infatti ha ballato, come ha potuto, ed io non finisco di stupirmi della sua danza.

Stupore è una delle parole principali di quest’anno. È stato un anno di novità abbaglianti, vertiginose, spesso spaventose. Come sempre ti viene voglia di scappare: ridateci le nostre «pentole di carne», ma non appena si fa un passo indietro ci si rende conto che non si può, che non è giusto tirare indietro la mano per la quale ti stanno conducendo, anche se non capisci bene dove ti portano.

Ringrazio per questo splendido, terribile anno

(Facebook)

Non è questo il momento di diffondermi sull’amicizia che sta nascendo qui a Toronto, ma già si capisce che è un’amicizia tranquilla, normale, semplice, senza passioni, con i molti problemi che costellano la vita quotidiana. Chi è venuto dall’Europa dell’Est ha portato sin qua il meglio che aveva, tutto quello che voleva salvare e che germoglia non in ricostruzioni artificiali ma in una quotidianità stabile, per cui gli eredi del «sarto di Bucarest» continuano a confezionare pantaloni e gonne nello stesso negozio aperto dal bisnonno ai primi del ‘900, mentre sullo studio legale di Eglinton fa ancora bella mostra di sé l’insegna «Zavet. Levy & sons».

È stato un anno duro ma indicibilmente bello, una vita nova inimmaginabile ed esigente. Tale per cui quasi ogni giorno ho scoperto tante cose nuove di me, non sempre piacevoli ma interessanti.

Mi sono abituata a lottare, a sforzarmi, a difendermi, sostenermi, imparare a vivere. Non è semplice ma è appassionante. Ho imparato di nuovo ad essere libera.

Stasera ho annaffiato il nostro «giardino segreto» un po’ selvatico, dove vivono pettirossi, procioni e scoiattoli (dovrei scrivere a parte del drammatico rapporto con la canna dell’acqua) e intanto pensavo che l’erba dev’essere felice di essere annaffiata.

Ecco, un’altra parola chiave di quest’anno è gratitudine. Sì certo, tutto questo – lo stupore, la vita in tutta la sua modestia e densità, le persone, i libri, l’amicizia, la gratitudine – sta dentro la guerra, ma proprio per questo è ancora più luminoso, più penetrante, più nitido.

Un grazie alle care persone – di Berlino, Cracovia, Varsavia, Łódź, ucraini, israeliani, quelli rimasti in Russia o sparsi per il mondo – con cui quest’anno non ci siamo persi di vista, o con cui ci siamo incontrati. E grazie a voi nemici, perché mi insegnate ad essere esigente con le parole e i gesti, non mi lasciate dimenticare la dura fatica del perdono.

Domani, anzi già oggi, nel «giardino segreto», varcheranno il portone shabby invaso dalla vite americana i miei amici canadesi, o meglio serbo-ucraino-libanesi. Berremo birra polacca, mangeremo latkes lituani, parleremo dei nostri amatissimi Benjamin e Leskov; ed io in segreto sognerò una tavolata che raccolga insieme tutti i miei amici sparsi in ogni parte del mondo.

Ma prima bisogna che venga una pace giusta, che abbiano la libertà tutti gli ingiustamente detenuti, che tornino a casa i profughi, e che il male si «sciolga come la cera di fronte al fuoco». Allora sicuramente ci ritroveremo, e faremo un gran banchetto.