20 Gennaio 2023

Scacciare la maledizione con la verità

Svetlana Panič

Filologa, è stata ricercatrice presso l’Istituto Solženicyn di Mosca fino al 2017, ora è traduttrice e ricercatrice indipendente.

Massicci bombardamenti in Ucraina. Insensati, demoniaci. Kiev, Dnipro. A Dnipro un razzo ha colpito un palazzo di nove piani. Quaranta morti, molti feriti. In Lituania, da amici lituani, ho sentito dire più di una volta che una maledizione incombeva sugli «aguzzini degli ebrei». Sciagure, suicidi, malattie mentali, e anche quando sembrava che nulla di tragico accadesse, era come se un invisibile marchio nero pendesse su di loro. Di generazione in generazione, su figli e nipoti… «Lei non creda… – precisa una dei miei interlocutori – non furono gli ebrei a lanciare questa maledizione, ma qualcuno più in alto. Maledizione che non svanirà finché tutti coloro che sanno non diranno: mio nonno, mio padre, il mio vicino ammazzava…».

L’attuale regime e i suoi servi religiosi hanno fatto di tutto per trasformare «quello che sta in alto» in un dio cortigiano e criminale o, ancora peggio, nella caricatura del dio Marte. Gli hanno eretto un tempio, hanno vestito sacerdoti in tute mimetiche, incensano, biascicano preghiere, sperando di mettersi d’accordo. «Quello che sta in alto» fa i conti col libero arbitrio (per quanto suoni spaventoso), ma non tollera le imitazioni. Ora si trova in una casa distrutta a Dnipro, nel metro di Kiev, dove la gente si nasconde dai bombardamenti, negli appartamenti gelidi, ovunque ci sia sofferenza. Perché non è il dio Marte o lo spirito malvagio e ad uso e consumo di un qualche potere demoniaco.

È molto difficile parlare di «maledizione» senza cadere in un tragico, pio vaniloquio, ma un marchio nero pende sulla storia attuale della Russia, che è anche la mia storia, e nessun turibolo dei (pretesi) preti cortigiani lo scaccerà.

Solo la verità: «Mio nonno, mio padre, il mio amico, il mio vicino, il mio connazionale, ammazza. Il mio paese ammazza».

Non si tratta di stracciarsi le vesti pubblicamente, o di emettere «patetici lamenti», ma di proferire in privato una parola onesta, sul dolore e la responsabilità.

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