3 Luglio 2019

E se smettessimo di sputarci in faccia?

Svetlana Panič

Filologa, è stata ricercatrice presso l’Istituto Solženicyn di Mosca fino al 2017, ora è traduttrice e ricercatrice indipendente.

Recentemente ho letto in rete le esternazioni di una collega traduttrice, professionista senza macchia e senza paura, che sfotteva pubblicamente una collega, citandola per nome e cognome. Non entro in merito alla qualità delle traduzioni, ma prendo spunto per dire altro.
Sapete cosa mi ha veramente impressionato delle tre conferenze cui ho partecipato questo mese? Soprattutto dell’ultima, dove era raccolto il fior fiore degli intellettuali polacchi che sono stati all’origine di Solidarność, che sono stati dentro per le tipografie clandestine e il samizdat, e che a proprio rischio e pericolo trasmettevano i documenti a Jerzy Giedroyc e Gustaw Herling-Grudziński a Parigi, alla rivista «Kultura». Da lì poi la libera parola polacca, russa, lituana si diffondeva dove le era vietato penetrare.

Non si trattava di uno sparuto pugno di uomini, e non erano tipi molto concilianti ma ardenti e tosti.
Ebbene, di loro non mi hanno colpito le finezze intellettuali né i dialoghi con l’intera cultura mondiale, ma la capacità di discutere là dove si è totalmente in disaccordo, di ascoltare l’interlocutore e non il proprio giudizio a priori su di lui; la capacità di dissentire senza umiliare l’oppositore, senza demonizzarlo, pronti, invece, a ponderare con rispetto i suoi argomenti.
E soprattutto a non catalogare l’altro fra i nemici ideologici non appena si incappa nella prima diversità di opinione, che spesso è più che altro una diversità stilistica.

Non penso che questo sia frutto soltanto della cultura accademica, o della semplice buona educazione; e neppure credo che dipenda solo dalla disciplina della mente, ma dalla sua nobiltà, che nel vivo della polemica si manifesta al meglio di sé come capacità di resistere alla tentazione di creare divisioni e di «scatenare una santa guerra senza quartiere in nome della nostra giusta idea».

È un segno di libertà intellettuale, e non solo intellettuale.