6 Marzo 2023

5 marzo. Un verbo che ha spezzato l’universo

Vladimir Zelinskij

Sacerdote ortodosso (del Patriarcato di Mosca) è filosofo, teologo e traduttore. Dal 1991 vive in Italia, ha insegnato lingua e civiltà russa all’Università cattolica di Brescia e di Milano. Ha al suo attivo numerosi testi di teologia e spiritualità.

5 marzo 1953, perché questa data continua ad essere così importante per la mia generazione?

Allora qualcosa cambiò nell’aria, si aprirono gli artigli dell’orco cattivo, dalle fauci incominciò a franare il mito che aveva tenuto in piedi l’intero nostro mondo. Come se qualcuno avesse bucato il pallone spropositatamente gonfio che incombeva sulla metà del mondo, e inavvertitamente avesse cominciato ad uscirne l’aria avvelenata.

Quel giorno fu come se lo strano universo in cui dimoravamo si fosse spezzato in due parti quasi uguali; la prima metà fu un tempo che soffocava, asfissiava di fumo, assaltava; la seconda fu il tempo di una lunga, lenta ventilazione, di una ritirata graduale, quasi strisciante.

Non appena gli orchetti constatarono che l’orco non tirava più il fiato, si misero in moto e partirono contro ciò che loro stessi avevano fatto tutta la vita. Berija, si dice, smise immediatamente gli interrogatori e le torture notturni nel proprio dipartimento. Su un altro, i bravi compagni e compagne, tirando il fiato, composero detto fatto una filastrocca: «Con Malenkov al potere, si può mangiare e bere». Lo smantellamento del sistema cominciò quella notte stessa; la prima perestrojka iniziò a filtrare in sottili rivoli per poi, sia pure parecchio dopo, sfondare la diga e spazzare via tutto.

Il processo naturalmente non fu lineare, né consapevole. Incappò in rientranze, burroni, fossati, tombini dove spesso si inabissava. Però andò avanti con costanza, oltretutto spesso a dispetto delle intenzioni di chi lo guidava. Così, l’epoca brežneviana nel suo complesso – chi c’era lo sa – fu in sostanza più libera di quella chruščeviana. A quel punto il mito passò alla difesa, ma la difesa è la morte certa per un regime armato solo di un fantasma venefico.

5 marzo. Un verbo che ha spezzato l’universo

Garofani portati in occasione del 70esimo anniversario dalla morte di Stalin. (Telegram)

Chi crede solo nelle mosse politiche, nei calcoli economici e pragmatici, nei giochi sottobanco, nei caratteri pessimi o non proprio pessimi dei capi ha le sue buone ragioni. Ma io, lo ammetto, credo anche in quello che sta dietro a tutto questo, in quello che gonfia i palloni e sgonfia gli imperi, che porta sulla scena le figure dei padri del popolo, scaccia le nuvole verbali e le nebbie delle idee, si insinua nei comitati di partito.

I regimi-assassini emergono dalla guerra invisibile che si svolge alle nostre spalle e a dispetto dei nostri calcoli. La guerra chiama a raccolta i suoi soldati e i suoi marescialli, ne infiamma gli istinti, crea impulsi e immagini che danno illimitata licenza di uccidere. La guerra propone tutte cose belle: un futuro mai visto, il trionfo del patriottismo, la grande superpotenza, la gloria dell’impero, la fratellanza dei popoli sotto l’egida di uno solo e così via, e si arma contro tutto ciò che è contro, ma produce tortura e antropofagia, che sin dall’inizio sono evocate dal demone che irretisce con parole-esca. Ma vengono giorni in cui il demoniaco non che sia sconfitto, ma almeno arretra un po’. Non che freni, ma almeno non preme al massimo sull’acceleratore.

70 anni fa, quella mattina, l’adolescente che ero io fu svegliato dalla voce fatale dello speaker Levitan: «Stalin fu…». Come «fu»? Tutto il mio essere infarcito di massime scolastiche protestò contro il verbo al passato remoto: Lui c’è! Ci sarà sempre! E in effetti, lo stupido ragazzino non aveva tutti i torti, anzi ci aveva preso. Egli fu allora, ma forse che oggi non c’è?

Gli spettri del passato aleggiano su di noi come nel dramma di Ibsen. E ritornano. Eppure non sono essi soli a dominare la storia, ci sono anche degli spazi di luce. Per questo prendiamo umilmente nota, celebriamo pensierosi il passato remoto del verbo che ha spezzato l’universo dei lager. Se ne sta ancora lì pronto e aspetta, quel verbo.

In quaresima non rallegro il mio cuore peccatore con il vino, ma almeno oggi sì, perdonatemi Padri santi!


Foto d’apertura: Telegram 

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