1 Settembre 2023
La disgrazia altrui
Vladimir Zelinskij
Sacerdote ortodosso (del Patriarcato di Mosca) è filosofo, teologo e traduttore. Dal 1991 vive in Italia, ha insegnato lingua e civiltà russa all’Università cattolica di Brescia e di Milano. Ha al suo attivo numerosi testi di teologia e spiritualità.
Vorrei uscire dalle strette della mia posizione e delle mie impressioni, e invitare umilmente, timidamente i miei confratelli a un dialogo.
Per un dialogo del genere ci vorrebbe il metropolita Antonij (Bloom) col suo dono innato di immedesimarsi con l’altro fino in fondo nella sua disgrazia. Quando siamo solidamente inseriti in un certo trend di vita, quando ci reggiamo in piedi senza vacillare e il vento non ci toglie il fiato, le parole commosse di Antonij, leggermente colorate di romanticismo, che spirano quella santità semplice che ormai da tempo non ritroviamo più nella nostra vita, forse non ci servono. L’episodio in cui lo chiamano presso un soldato morente, forsanche dell’esercito nemico, che morirà entro l’alba, per noi è un esempio da antologia solo perché noi non siamo mai stati chiamati così.
Ma quando ti dicono: mio figlio è prigioniero da 8 mesi e non ho notizie, so solo che è prigioniero, e tu ti trovi di fronte una sorta di speranza selvaggia, rapace, non quella senza ombra di vergogna ma quella che divora,
come puoi tu, evitando di elargire pie raccomandazioni, trasformare questa speranza rabbiosa nella luminosa speranza di Cristo?
Sembra addirittura che davanti a una bara sarebbe più facile riuscirci, che Dio mi perdoni.
Oppure, la giovane parrocchiana, molto pia e affascinante (capita di rado, ma a volte le due cose vanno insieme) il cui marito viene a casa in licenza, e lei vorrebbe forsennatamente che restasse, vuole convincerlo anche se la prospettiva è di farne un disertore… e tu, che non hai mai combattuto né mai lo farai, cose le dici?
Oppure un’altra, vedova attempata il cui unico figlio (del resto ogni figlio, anche se ne hai dieci, è unico) è in prima linea, notte e giorno sotto i colpi, anche a lei non puoi mica dire: eh, abbi coraggio… Lei già fa trecento genuflessioni fino a terra ogni giorno, e io dovrei insegnarle a pregare?
Talvolta sembra che questo mio sacerdozio, da cui ormai non posso più separarmi, mi presenti il conto, mi metta davanti alla realtà dell’altrui angoscia e dell’altrui dolore, e io, vedendo il nemico, cominci a indietreggiare. Ma non c’è più spazio dove andare.
Foto di apertura: Sibirmedia Telegram
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