4 Marzo 2024

Naval’nyj: la memoria e l’immagine

Vladimir Zelinskij

Sacerdote ortodosso (del Patriarcato di Mosca) è filosofo, teologo e traduttore. Dal 1991 vive in Italia, ha insegnato lingua e civiltà russa all’Università cattolica di Brescia e di Milano. Ha al suo attivo numerosi testi di teologia e spiritualità.

«Il condannato Naval’nyj dopo la passeggiata si è sentito male, poi è svenuto. Subito sono arrivati i medici, poi è stata chiamata la brigata del pronto soccorso che – dopo tutte le cure necessarie che non hanno dato un risultato positivo – ha constatato la morte del condannato».

Così, nel linguaggio della menzogna ufficiale, è stato comunicato il decesso del più noto oppositore del regime. Lo scopo di questa notizia è ovvio: creare un quadro di «normalità» – le cure, il pronto soccorso, lo zelo per salvare la vita – senza nessuna intenzione d’essere creduto. Come se il carcere russo fosse simile a quello norvegese.

Naval’nyj è morto nello Šizo, cioè nella cella d’isolamento più severo, una prigione dentro la prigione dove le passeggiate semplicemente non possono esserci, ma ci sono solo le torture della fame, del freddo, dei muri grigi che ti schiacciano. Nemmeno è possibile restare sdraiato sul letto perché il letto è chiuso e agganciato al muro per tutta la giornata, e nemmeno sedere sulla sedia, non si possono avere oggetti personali… una tortura, insomma, anche senza il freddo e la fame, per una decina di giorni. Per Naval’nyj questa punizione era già la ventesima dopo aver passato lì in totale dieci mesi.

Naval’nyj prima di tutto era noto come combattente contro la corruzione, che nella Russia d’oggi significa affrontare il regime mafioso. È diventato famoso (fra tanti altri) il suo film sulle proprietà di Medvedev, all’epoca primo ministro, il cui costo è uguale al corrispettivo di circa 1300 anni del suo stipendio ufficiale. Il film è stato guardato da più di venti milioni di spettatori russi, ma nessuno nella Duma o sulla stampa ha osato chiedere un’indagine. La Russia d’oggi è così. Ma quando Naval’nyj ha mostrato il palazzo personale di Putin, spettacolare per grandezza, lusso e prezzo, tanta gente ha cominciato ad aspettare la reazione.

E la reazione non è tardata, Naval’nyj è stato avvelenato durante un volo ed è scampato alla morte solo perché su richiesta di un medico l’aereo ha fatto uno scalo non previsto. Poi è stato trasportato in Germania, dove è guarito quasi per miracolo. È tornato in Russia, ed è stato arrestato subito alla frontiera per dei crimini inventati dal regime.

Una condanna dietro l’altra: 9 anni per truffa, 19 anni per aver creato una società sovversiva, cioè la sua Fondazione. Ma Naval’nyj non ha perso la sua audacia, l’intelletto, il suo carisma e neanche il suo senso dell’umorismo. Di più: anche nel carcere ha continuato l’attività politica. Dal carcere uscivano gli appelli alla resistenza e alla democrazia. Su internet è facile trovare la sua foto in tribunale, con la scritta: «Io non ho paura, non abbiatene neanche voi».

È difficile non avere paura nella Russia di oggi, dove per le semplici parole «No alla guerra» qualsiasi cittadino può essere preso e condannato. Per cosa? Per calunnia contro l’esercito russo o addirittura per terrorismo. Così quest’uomo è diventato il volto del coraggio civico, in un momento in cui ogni volto umano è offuscato dalla paura.

Adesso è arrivato l’ultimo contraccolpo. Naval’nyj è morto. Nessuno ha dubbi: è stato ucciso. (…)  Il Cremlino ha già fatto sapere che la morte di Naval’nyj è stata una provocazione dei servizi segreti ucraini e dell’Occidente (una sorte di spauracchio collettivo) per recare danno all’immagine della Russia, o qualche cosa del genere. Bisogna essere davvero drogati dalla propaganda fino alla paralisi del cervello per prendere sul serio una simile versione.

Naval’nyj: la memoria e l’immagine

Il feretro durante la celebrazione liturgica nella chiesa della Madre di Dio “Lenisci i miei affanni”. (Sota)

Oramai la vita di Naval’nyj è finita. Adesso sta per iniziare un’altra vita, quella della memoria e dell’immagine che entreranno nella storia. La memoria e l’immagine hanno una forza incredibile, e senza dubbio si spingeranno avanti sulla strada, sia pure lunga e difficile, che porta al paese libero e pacifico che la Russia, forse, diventerà un giorno. Oggi il paese è spaccato in due, da uno scisma profondo, simile a quello della guerra civile di più di cent’anni fa, e nel centro di questa spaccatura si trova la guerra in corso. Non solo la guerra, ma tutto ciò che si nasconde alle sue spalle: la nostalgia aggressiva dell’URSS, anche staliniana, la dittatura impudente, la corruzione senza limiti ecc.

Ma davvero, è questo il destino eterno della Russia? Lo stesso fenomeno di Naval’nyj dice di no. Un sacrificio nobile come il suo, così pieno di significato, deve rimanere per sempre nel cuore del paese per cui lui ha offerto la vita.

Naval’nyj non è soltanto un paladino della speranza, un eroe – cosa abbastanza chiara – ma un eroe profetico. Naval’nyj ha trovato il nucleo, il motivo principale, la radice della sua azione proprio nella fede cristiana, da poco scoperta. In Russia, dal XIX secolo, esiste una scissione profonda tra la mentalità, direi anche la spiritualità cosiddetta democratica e umanistica e la mentalità ecclesiale, come se un grande abisso si fosse aperto tra di esse. Erano sempre in contrapposizione, quasi nemiche. Naval’nyj stesso confessava che i suoi collaboratori non capivano la sua scelta.

Ma la sua scelta alla fine della vita non è stata soltanto quella di liberare la Russia dai ladri ma di trovare Cristo nei valori cosiddetti «laici» nel mondo ortodosso: la libertà, la giustizia, la stessa umanità. «Faccio tutto – disse all’ultimo processo di due anni fa nella sua maniera abituale che sfiorava lo scherzo, – seguendo le istruzioni. Le mie istruzioni sono il Vangelo, dove è scritto “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati”».


(immagine d’apertura: Govorit NeMoskva)