10 Gennaio 2019

Era il 5 gennaio 1951

Vladimir Zelinskij

Sacerdote ortodosso (del Patriarcato di Mosca) è filosofo, teologo e traduttore. Dal 1991 vive in Italia, ha insegnato lingua e civiltà russa all’Università cattolica di Brescia e di Milano. Ha al suo attivo numerosi testi di teologia e spiritualità.

In internet ho intravisto una fotografia del funerale dello scrittore Andrej Platonov, il 5 gennaio 1951.
Probabilmente, io che scrivo rimango oggi l’ultimo ad aver visto e a ricordare il momento di quel funerale. Avevo 8 anni.
La bara fu portata giù a braccia dall’ottavo piano del palazzo al n. 2 del Passaggio del teatro MChAT (come si chiamava allora quello che oggi è tornato ad essere il vicolo Kamergerskij). Allora lì c’era la casa degli scrittori inaugurata nel 1932, ma man mano che gli scrittori venivano arrestati, nei loro appartamenti si insediavano i funzionari del dicastero che coordinava gli arresti. Non erano neanche dei veri appartamenti ma piuttosto delle stanze: per vivere allora ci si accontentava di poco. Credo che nel 1951 ormai i funzionari superassero in numero gli scrittori.
Anche Platonov doveva abitare lì in una stanza, con la moglie. Morì di tubercolosi, contratta dal figlio, a quell’epoca già morto, che a sua volta l’aveva presa in lager.
Faceva freddo. La bara venne appoggiata su delle sedie nello spiazzo asfaltato davanti alla casa. Tutto attorno c’erano delle persone ingrigite, prostrate che guardavano in silenzio il volto sfinito del defunto.Si aveva la sensazione che vedessero in lui un fallito, uno sfortunato che bisognava quel giorno sotterrare al più presto, per poterlo dimenticare la sera stessa. Nessuno degli astanti, di certo, immaginava che il suo nome sarebbe sopravvissuto alla memoria di molte, moltissime celebrità letterarie. E che, anzi, era uno dei nomi più grandi in Russia.
In me, l’impressione visiva della bara nel cortile innevato si è fissata come l’immagine più penetrante dell’epoca staliniana, indissolubilmente legata al freddo e all’angoscia. Naturalmente non era possibile pensare a un funerale religioso. Provvederò io oggi, con una panichida.