11 Giugno 2021

Festa della repubblica

Vladimir Zelinskij

Sacerdote ortodosso (del Patriarcato di Mosca) è filosofo, teologo e traduttore. Dal 1991 vive in Italia, ha insegnato lingua e civiltà russa all’Università cattolica di Brescia e di Milano. Ha al suo attivo numerosi testi di teologia e spiritualità.

Dicono che un uomo di Chiesa non può neanche pensare alla politica, che non c’entra niente col mondo spirituale.

Ma si può ridurre il mondo spirituale al puro testo «divino», amputando tutti gli altri discorsi, giudizi, accenti di cui è piena la vita? Dev’essere l’eco delle epistole di san Paolo, o fornire consigli da starec ortodosso, senza lasciarsi distrarre da niente di mondano? Ma forse che in san Paolo c’è soltanto l’aspetto divino? «Quanto poi alla colletta in favore dei fratelli, fate anche voi come ho ordinato».

Il 2 giugno è la festa nazionale in Italia, la Festa della Repubblica. In questa data, 75 anni fa, un referendum abolì la monarchia, e le donne ebbero il diritto di voto. Non si lavora. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, statuario, coi capelli grigi, ha deposto una corona di fiori all’Altare della Patria, sulla tomba del milite ignoto.

Il presidente è vedovo e a tutte le cerimonie è accompagnato dalla figlia, una donna matura. Erano presenti il premier Mario Draghi, il ministro della Difesa, il sindaco di Roma Virginia Raggi, bella ragazza ma, come sindaco, alquanto mediocre. Tutti con la mascherina. Una mezza dozzina di alti ufficiali. La piazza punteggiata dalle figure immobili dei corazzieri, la cui uniforme di parata ricorda al tempo stesso quella dei soldati napoleonici e l’elmo scintillante del legionario romano. La parata militare si riduce alle sole Frecce tricolori che lasciano in cielo la scia rossa, bianca e verde. L’intera procedura, compresa l’esecuzione dell’inno, il tributo d’onore e via discorrendo, non richiede più di un quarto d’ora.

Certo, nella misura in cui noi tutti facciamo parte di uno Stato, desideriamo una qualche ritualità che lo caratterizzi. Il rito è lo specchio che lo Stato in certi momenti si mette davanti, per guardare la propria immagine più solenne.

Lo Stato totalitario è tutto un rito: parate, giuramenti, piccoli pionieri schierati, stendardi che garriscono, il marchio d’infamia sul nemico, l’iscrizione alla gioventù del partito, l’espulsione dal partito, l’investitura dei doveri socialisti, la procedura dell’appello al campeggio, eccetera. Il bambino (tra cui c’ero anch’io) appena nato era subito inserito in questa ritualità.

Certo, anche in Italia non si può fare a meno dei riti. Il giuramento del presidente, il giuramento del governo. Ma il presidente italiano, che ha un mandato di 7 anni, può soltanto sciogliere il Parlamento, indire le elezioni, incaricare un capo di governo. Chi governa è il governo, che in Italia dura in media 11 mesi, fino alla crisi successiva. I ministri, reclutati fra i vari gruppi parlamentari, non sono solamente funzionari di altissimo rango ma promuovono i programmi dei rispettivi partiti, e non si possono semplicemente cacciare di punto in bianco. Se li licenzi, o trovi una nuova coalizione o vai alle elezioni.

In Russia piace definirla «merdocrazia». Faranno anche bene a definirla così. È un pessimo sistema – cito Churchill – se escludiamo tutti gli altri. Potremmo fare subito l’elenco di tutte le stupidaggini, difetti e mostruosità. Ma tra i difetti ce n’è uno che mi piace: manca lo specchio della gloria. O meglio esiste in forma minimale, perché naturalmente non si può far senza, foss’anche di un passato eroico.

In ogni caso non ha un immenso schermo con le sembianze del Grande Fratello, nel quale lo Stato e tutti i suoi sudditi vedono la propria icona. Dove tutti sono come uno solo. E poi, a un potenziale Grande Fratello non verrebbe mai in mente di promuovere la propria sacralizzazione, e se anche ci pensasse, contro di lui si metterebbero la stampa, la Procura, un processo immediato.
«Ah la stampa prezzolata, cosa non farebbe per i soldi…». Vero anche questo.

Solo che ciascuno prende i soldi da parti differenti. Dei soldi comprano una testata, altri soldi ne comprano un’altra; e tutti tengono d’occhio i difetti dell’altro. E rappresenteranno il Grande Fratello e l’intero sistema come un tale schifo, o meglio come caduto in un così grande peccato che viene voglia di purificarsi, o di pentirsi. Peccato in senso lato, laico e non certo religioso, ma comunque sempre peccato.

Qualsiasi potere autoritario si edifica sul proprio mito. Il nocciolo del mito è sostituire la realtà. Senza mito il potere si sbriciola. Anche la democrazia si costruisce su di esso – così va il mondo – ma è un mito impostato in modo da autocorreggersi. In modo da trovare le proprie mancanze, portare alla luce i propri errori, persino i delitti, e magari addirittura pentirsi.

Il mito democratico, se pure crede nella propria sacralità, ci crede in misura minima. Nessun sistema esistente si può definire cristiano, ma anche qui ci sono varie gradazioni.
Soli Deo gloria.