1 Ottobre 2023

Stalin e l’acqua santa

Vladimir Zelinskij

Sacerdote ortodosso (del Patriarcato di Mosca) è filosofo, teologo e traduttore. Dal 1991 vive in Italia, ha insegnato lingua e civiltà russa all’Università cattolica di Brescia e di Milano. Ha al suo attivo numerosi testi di teologia e spiritualità.

Di recente, ma sono passate ormai diverse settimane, a Velikie Luki un sacerdote ha benedetto un monumento a Stalin, e il fatto ha messo in agitazione l’opinione pubblica. La benedizione consiste in una breve preghiera, nell’aspersione con acqua santa di un oggetto e poi, se si vuole, in qualche parola edificante. Brevi parole, non sempre obbligatorie, di cui si può anche fare a meno. Se però il celebrante ha qualcosa da dire, e non vuole essere solo una timida appendice al rito dell’aspersione e dell’incensazione, ma si sente coinvolto personalmente, ci mette la faccia.

Dietro a un fatto del genere penso ci sia stata una telefonata al vescovo da parte del governatore, che esprimeva un desiderio su cui era meglio non discutere. E a sua volta il vescovo, tramite il suo segretario o direttamente, ha fatto al sacerdote una richiesta che non si poteva rifiutare. Non escludo che fosse previsto un premio di incoraggiamento magari anche simbolico, ma questo non ha importanza.
Il fatto è che quando si prega non si può assolutamente recitare la parte di nessuno. Nella preghiera ci si deve mettere l’anima, tanto più che l’anima, indottrinata dalla TV, non fa obiezione. Eppure, anche se non fa obiezione, è comunque consapevole, sebbene tenti di censurarlo, che dopotutto sta benedicendo la statua di un assassino, e per giunta di un apostata (il che negli ambienti religiosi di regime viene, appunto, tenacemente dimenticato).

Stalin e l’acqua santa

(Sota)

E in qualche modo bisogna conciliare quella preghiera con questa consapevolezza. Di qui il tentativo di giustificarsi per cui sì, ci sono state delle vittime innocenti, non lo neghiamo, ma sono martiri il cui sangue è seme di nuovi cristiani, e da loro rinascerà la santa Rus’. Tutto ciò, ne sono convinto, è stato detto con trasporto e sincerità, e non a seguito della telefonata del vescovo.

Se non che, l’opinione pubblica si è fatta beffe del venerando arciprete: non sarà forse il caso di ringraziare anche Nerone per aver perseguitato i cristiani, o Erode per aver mandato a morte Giovanni il Battista, o perfino Pilato e il Sinedrio per aver fatto crocifiggere Gesù?

Ma qui ogni ironia è fuori posto perché l’opinione pubblica, nello sbertucciare e sbugiardare Sua Eminenza, ha usato una logica e un’etica che sono del tutto estranee non dico al singolo sacerdote, ma a tutta la nostra categoria, nonché a tutta la Tradizione con la T maiuscola. Qui il problema non sta nell’accondiscendenza a qualsivoglia potere, né nella pavida soggezione ad esso. C’è anche questo ma è secondario, perché non è questione di etica, ma… di vuoto.

Dietro a quel monumento non si addensa una nebbia sanguinosa ma la grande vittoria, la potenza minacciosa, così che ormai è come se anche i martiri facessero parte di questa apoteosi della potenza sovrana.

Ma allora che ne facciamo di quelli che martiri non sono, dell’immensa moltitudine di persone uccise senza motivo? È come se non ci fossero. Nella nostra etica è del tutto assente la persona schiacciata dagli zoccoli del Leviatano. Qualunque cosa sia successa, è tutto materiale mandato al macero. Perciò non esiste alcun filo di solidarietà umana e di compassione che possa legarci a questo materiale. E non esiste neppure un punto fermo che ci permetta di restare saldi di fronte al potere quando questo non attenta alla fede (del resto, quel monumento attenta alla fede, eccome).
Non esiste nulla che si possa chiamare etica della santità della vita e della dignità umana. In generale tutta questa sfera dei rapporti con il prossimo, con il confratello, pur essendo materia di corsi accademici è stata relegata in fondo, nelle note a margine.

E cosa c’è invece? C’è una cosa che in sostanza sta molto al di sopra dell’etica, anche se qui questa parola non è del tutto adeguata: c’è l’etica dell’indegnità di fronte a Dio. È la regola ferrea dell’autodenigrazione, dell’umiltà, della penitenza, è l’abitudine di calpestare il proprio io di fronte a una santità irraggiungibile. Il corpus delle nostre preghiere consiste per il 60% di una simile autodenigrazione.

Dio preservi da ogni critica le mie labbra indegne, ma il nostro deplorare gli «innumerevoli peccati», che al livello più intimo e profondo è vero e salvifico, a livello sociale, medio e interpersonale non ha mai conosciuto la dignità del prossimo. «Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, e il figlio dell’uomo perché te ne curi?» (Sal 8,5), domanda il salmo. «È un porco che si rotola nello sterco ed è schiavo del peccato», risponde l’etica dell’indegnità o ascetica.

Sì alla legge, no all’amore

C’è una barzelletta un po’ macabra sull’etica e l’ascetica, che pare abbia raccontato Dostoevskij. Un assassino uccide una bambina per rubarle un cestino in cui è nascosto un uovo, ma si astiene dal mangiarlo perché è venerdì, giorno di digiuno. Chi ha benedetto il monumento a Stalin non ha forse agito così? Lui non è un assassino, lui venera i martiri, non mangerà l’uovo nei giorni proibiti,

ma da parte sua – come da parte di noi tutti – non esiste, come dire, alcun fremito del cuore per questa innumerevole schiera di vittime. Non c’è il «cuore che si fonde in mezzo alle viscere» (Sal 22,15) di cui parla la Scrittura.

Ma così è: in un caso la coscienza osserva rigorosamente la legge, insiste sul suo rigore, nell’altro, come il popolo, tace. Nessuno che abbia una pietra al posto della coscienza griderà mai per ricordarci la spazzatura della storia: quanti sono stati impalati da Ivan il Terribile, messi al rogo dalle inquisizioni, i vecchi credenti martoriati, quanti sono stati torturati a morte dalle cancellerie segrete o uccisi nelle guerre insensate e benedette scatenate da sovrani più o meno santi, o semplicemente la morte di una sola bambina.
Niente ci lega a loro in Cristo, nessuna memoria di costoro ci addolora, perché la memoria è troppo impegnata a custodire la nostra purezza dogmatica, a languire nel pentimento o a denunciare gli eterodossi. E siccome ben pochi riescono a raggiungere non dico le vette, ma nemmeno delle basse colline, questa durezza di cuore al posto della comunione con Dio, della solidarietà nel Dio perseguitato (Averincev), di cosa si riempie? Come sempre dell’ideologia che in questo millennio o decennio predomina.

Ma allora che posto hanno nella Chiesa le innumerevoli vittime uccise in nome di una dottrina o della gloria del più ortodosso degli imperi? Non ho ancora trovato questa domanda in nessuno tranne che in me. So solo che il Signore crea ogni anima per Sé e dona a ognuno la vita con amore. Credo che «la gloria di Dio» sia «l’uomo vivente». Nei nostri libri si parla tanto di deificazione dell’uomo, ma si tace dell’imprecisata moltitudine di abitanti di serie B scartati, uccisi per nulla. Il fiume della Chiesa è talmente ampio che da una sponda non riesce a scorgere l’altra.
Naturalmente, Dio mi perdoni, mi potrei sbagliare.


(foto d’apertura: da video Kruglye Stoly)