12 Ottobre 2020

Armenia. La forza terribile del sentimento nazionale

Vladimir Zelinskij

Sacerdote ortodosso (del Patriarcato di Mosca) è filosofo, teologo e traduttore. Dal 1991 vive in Italia, ha insegnato lingua e civiltà russa all’Università cattolica di Brescia e di Milano. Ha al suo attivo numerosi testi di teologia e spiritualità.

Oggi alla televisione francese hanno mostrato una scena accaduta in un aeroporto (credo quello di Roissy) in cui un gruppo di armeni parigini, quasi una piccola folla, saliva sull’aereo per volare a Erevan.
Giovani e meno giovani, simpatici, severi, allegri, forti. Andavano a casa per combattere. In tempo di guerra, il Giorno del giudizio gli israeliani dispersi per il mondo avevano letteralmente preso d’assalto le biglietterie aeree per andare sulla linea del fuoco con il primo volo. Si racconta che arrivavano alle mani, qualche volta, se qualcuno cercava di saltare la coda.

Anche nella mia parrocchia, nel 2014, un paio di ucraini già in età volevano precipitarsi al fronte, mogli e figli li avevano trattenuti a stento.
Ed ogni volta, allora come adesso, le forze in gioco erano quanto mai diseguali.

Il sentimento nazionale – chiamiamolo così – ha dentro di sé un grandissimo spirito di sacrificio ma anche un pericolo non minore. È una forza inarrestabile, radicata nella radice più irrazionale della nostra identità. Perché, come dice Puškin, «quando i popoli, dimenticate le contese, saranno uniti in una sola famiglia» nessuno si azzufferà alle casse. E neppure per la terra dove il leone si sdraierà accanto all’agnello.

Viene in mente l’Europa impazzita nel 1914, o la Germania dopo il 1933, ormai clinicamente delirante. Che pure è stata capace di combattere non fino all’ultimo giorno, ma fino all’ultima ora.

Sì, bisogna riconoscere che Dio ha messo questa forza nei nostri geni. Ma in tutta la storia umana, dalla creazione al giorno del Giudizio, non ci ha lasciato una chiara indicazione su come usarla.
Ci ha lasciato la libertà di scegliere.