2 Maggio 2019

Faremo insieme la storia. Sulla ricostruzione di Notre Dame

Ol'ga Sedakova

Poetessa, scrittrice e traduttrice moscovita, è docente alla Facoltà di Filosofia dell’Università Statale Lomonosov. Erede della tradizione della grande cultura russa, la sua opera è tradotta in numerose lingue e ha ottenuto riconoscimenti, quali il premio Solov’ëv e il premio Solženicyn.

Quel che è successo a questo grandioso edificio è stato un dolore per molti. La cattedrale fu costruita come si costruivano le chiese antiche: con amore e con fede, come un’offerta spirituale comune. Il genio umano vi si è espresso al massimo della sua forza. Per quanti secoli folle di uomini in questo luogo hanno pregato, hanno pensato, fatto musica (gli organisti della cattedrale erano i migliori musicisti di Francia). Parigi, senza la sua cattedrale, è come un corpo decapitato. E così la Francia, l’Europa…
Dispiace in modo particolare che tutto questo sia accaduto senza motivo, perché le chiese andavano distrutte in seguito a gravi catastrofi storiche e naturali, a guerre, bombardamenti, terremoti. Ma questa volta non c’è stato niente del genere.

La cattedrale di Nostra Signora di Parigi è forse di più di qualsiasi altra cattedrale cristiana, è amata in tutti gli angoli della terra, anche da noi in Russia. Forse per via del romanzo di Victor Hugo, o forse perché se n’è scritto molto e tutti quelli che andavano in Francia volevano vederla, visitarla. Ad ogni buon conto, si tratta di un tesoro dell’umanità, per questo c’è stata una reazione di dolore così corale. Andarci diverse volte, in vari anni, con persone diverse è diventato parte della vita. Mi sono tornati in mente, l’altra sera, tutti i volti e gli episodi.

Una storia speciale legata alla cattedrale è per me la conversione di Paul Claudel, uno dei poeti che più amo e che ho spesso tradotto. Avvenne durante una celebrazione natalizia in Notre Dame, e nella chiesa hanno messo una targa: «In questo punto (data) Paul Claudel si convertì». La Madre di Dio, cui è dedicata la cattedrale, gli si presentò direttamente. Ogni volta che ci andavo, tornavo sul posto.
Dato che conosco l’Europa «attraverso i volti», i volti dei miei amici e conoscenti, non mi ha sorpreso affatto la reazione dei francesi in ginocchio a pregare e cantare davanti alla cattedrale in fiamme. So quanta fede viva esiste oggi in Francia, a Parigi, quanti nuovi movimenti cristiani esistono. Certo, nella civiltà attuale costituiscono una minoranza, ma una minoranza viva e ardente. Oserei dire che da noi la minoranza cristiana è molto più piccola.

Io lascerei perdere le voci e i discorsi nati subito e spontaneamente sul fatto che l’incendio della cattedrale sarebbe un segno per gli uomini contemporanei. Fateci caso, neppure papa Francesco ha parlato di segni. Di cose che si possono leggere come segni (funesti o ammonitori) ce n’è già abbastanza senza bisogno dell’incendio. Certo è stato un avvenimento molto significativo, che ha colpito molti, ma non è il caso di vedervi una concreta simbologia.

Sin dal primo giorno si è visto che il dolore e la voglia di fare qualcosa per rimediare al danno univano la gente. Molti, da tutti gli angoli del mondo, hanno espresso il desiderio di partecipare in qualche modo al restauro della cattedrale. Il modo più semplice è quello finanziario o, forse, l’aiuto tecnico, ingegneristico. Si sono già fatti avanti alcuni da tutto il mondo. Anche da noi, spero, ci sarà gente che voglia partecipare al recupero della cattedrale che, si calcola, non durerà meno di dieci anni. Se offriamo almeno 20 euro per i lavori prenderemo parte alla grande storia. Io intendo farlo.

Penso che quanto è accaduto ha già mostrato, e ancora mostrerà, che siamo capaci di metterci insieme nel momento della sciagura. Purtroppo oggi è proprio il dolore, o una catastrofe, che unisce gli uomini. Non ci sono rimaste grandi gioie comuni. Ma io penso che attorno alla ricostruzione della cattedrale di Notre Dame di Parigi vedremo un’unità rilevante, e forse addirittura impensabile fra coloro che si chiamano «uomini di buona volontà», bonae voluntatis.