5 Gennaio 2022

Cosa ho imparato da Tolstoj

Ol'ga Sedakova

Poetessa, scrittrice e traduttrice moscovita, è docente alla Facoltà di Filosofia dell’Università Statale Lomonosov. Erede della tradizione della grande cultura russa, la sua opera è tradotta in numerose lingue e ha ottenuto riconoscimenti, quali il premio Solov’ëv e il premio Solženicyn.

Per Tolstoj l’arte serve a educare i sentimenti, e io sono felice di aver seguito questa scuola fin da bambina, fin da quando ho letto per la prima volta la sua opera giovanile, la trilogia Infanzia, Adolescenza e Giovinezza.

Quali sentimenti? Anzitutto la percezione stessa del sentimento, e quindi anche dell’impassibilità o dell’insensibilità, della «pietrificata insensibilità» di cui parla la preghiera di Giovanni Crisostomo. Per sentimento intendo non uno stato emotivo concreto come nell’uso corrente della parola, «sentimento», che di solito viene espressa al plurale. Esiste una moltitudine di «sentimenti», ma il sentimento è uno. È la percezione immediata, piena e viva di ciò che sta accadendo, è la presenza nel mondo, l’apertura. Le cose hanno un certo aspetto se le si guarda da una posizione di insensibilità, ne assumono un altro se le si guarda con sentimento. Anche il riconoscere dentro di sé questo sentimento o la sua assenza è un sentimento, perché non lo si può spiegare e «oggettivare» fino in fondo.

E veniamo ai singoli sentimenti. Il primo di questi è la sensazione dell’immensa totalità, di tutto l’universo nella sua parte visibile e in quella invisibile. Di una totalità dove per altro tutto è misteriosamente legato a tutto. Una totalità a cui anche tu sei legato intimamente, sulla quale si ripercuote non solo ogni tuo gesto, ma anche ogni pensiero, ogni moto dell’animo. Non esiste nulla di isolato, di insignificante, di inutile. Me ne sono convinta dopo aver letto Infanzia. È l’esperienza della comunione.

Poi il senso della verità. La distinzione fra quello che è reale e quello che è artefatto. Questo sentimento in Tolstoj è sottile e affilato come un rasoio. La distinzione fra ciò che appartiene alla vita e ciò che è morto, falso, inventato. In natura non c’è nulla di artificiale, non si stanca di ricordare Tolstoj. L’artificio può esistere solo nel mondo degli esseri umani, nella società, dove di solito la sua radice è l’amor proprio o la cupidigia. L’artificio è capace di giustificare continuamente se stesso con le «buone intenzioni» o con la «necessità», con le «convenzioni», con la «mancanza di alternativa» («non si può fare diversamente»). Tolstoj fa capire che si può sempre fare diversamente. Ma per farlo non bisogna smettere di ascoltare la propria voce interiore, la voce della verità.

Poi il senso della realtà dell’uomo interiore in noi, che può quasi morire e poi rinascere di nuovo. Tra l’altro l’uomo interiore in noi è l’artista. Ama appassionatamente la musica, la poesia, qualsiasi manifestazione della bellezza. Quando è vivo è felice. È il sentimento della vita come verità e felicità. Ed è anche il senso di colpa per tutte le volte in cui viene meno alla vita (ad esempio, per i versi insinceri che il bambino protagonista di Infanzia compone in onore della nonna).

Poi il senso dell’empatia, in cui Tolstoj non ha rivali. È l’immedesimarsi nell’altro dall’interno della sua vita, e non solo nell’altra persona, ma anche in un albero, in un animale e in un oggetto. Da questo sentimento deriva l’esperienza di una profondissima uguaglianza e affinità con tutti, e il rifiuto categorico di qualsiasi forma di violenza. È identificare la sorgente della vita con la compassione e con la pietà (Di cosa vivono gli uomini?).

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