12 Agosto 2019

A proposito di incendi

Ol'ga Sedakova

Poetessa, scrittrice e traduttrice moscovita, è docente alla Facoltà di Filosofia dell’Università Statale Lomonosov. Erede della tradizione della grande cultura russa, la sua opera è tradotta in numerose lingue e ha ottenuto riconoscimenti, quali il premio Solov’ëv e il premio Solženicyn.

Perché mi sia tornato ora questo ricordo è abbastanza evidente.
Nella mia infanzia (e per infanzia intendo il periodo fino ai sei anni) ho vissuto a lungo con la nonna e la zia a Perovo Pole, in via Uglovaja. Allora questa zona non faceva ancora parte di Mosca. C’erano casette di campagna e ci viveva gente di campagna. Solo che era gente arrivata (o meglio scappata) da molti villaggi per stare più vicini a Mosca. Tutti parlavano nel loro dialetto, ed erano dialetti che mai si erano incrociati da secoli. Alcuni parlavano in «o» come al nord (come mia nonna), altri in «a» come al sud. E altri accentuavano le fricative, o avevano le «e» aperte.

Come parlassero i nostri vicini, Nadja e Iosif di cui ora racconterò, non me lo ricordo. Di sicuro non come mia nonna. Iosif (inutile dire in onore di chi avesse ricevuto quel nome) ogni tanto andava dentro, poi tornava, si ubriacava come un dannato e se la prendeva con Nadja. La batteva col ferro da stiro, le gettava addosso l’acqua bollente della teiera. Nadja era tenera e paziente, non diceva quasi niente. Lavorava alla fabbrica di confezioni e mi portava in dono dei ritagli di una bellezza meravigliosa, con i quali io e la nonna confezionavamo abiti per la bambola.

Una volta Iosif tornò e si mise a picchiare Nadja. E Nadja si rifugiò da noi in cerca di aiuto. La nonna le ordinò di ficcarsi sotto il letto. Era un letto alto, con la coperta di pizzo fino a terra. Nadja si nascose dietro ai pizzi. Ben presto arrivò Iosif sotto la finestra.

– Zia Dar’ja, mia moglie è lì? Dammela se no ti do fuoco!
– Vattene Iosif, fatti un sonnellino! – rispose la nonna – qui non c’è nessuno.

Quello gridava e gridava. Poi subentrò una lunga pausa. Tutti pensammo che se ne fosse andato da qualche parte a dormire. Invece ricomparve:
– Zia Dar’ja, guarda che do fuoco! Ho qui il kerogas…

Vuoi che non credessero alle sue minacce, comunque nessuno fece niente. E poco dopo fumo e fiamme erano lì a un passo. Il terrazzo d’ingresso bruciava, così che si poteva uscire solo dalla finestra. La zia saltò fuori, la nonna le passò me poi scavalcò anche lei. I vicini intanto erano accorsi con i secchi e spensero le fiamme. Io non mi spaventai neanche un briciolo. Stavo lì a guardare com’era bello e interessante saltar fuori dalla finestra.

In quegli anni sereni, così come ricordo io, tutto piace e niente spaventa. Vedo tutto ma non capisco che le cose non solo ci sono ma che producono delle conseguenze. Il fuoco brucia, ad esempio, e provoca qualcosa di conseguenza. Pura fenomenologia, direbbero i filosofi.

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