15 Febbraio 2019
A proposito di manipolazioni
Parlo delle celebrazioni del 1937 per il centenario della morte di Puškin. Riporto l’inizio della mia introduzione all’edizione francese di Semen Frank, A proposito di Puškin, di prossima uscita.
«La storia delle illusioni e fantasie russe, degli errori russi, è stata studiata ben più a fondo e in dettaglio che non la storia del solido pensiero russo che si incarna soprattutto in Puškin».
Semen Frank scrisse queste parole nel 1937, anno del centenario della morte di Aleksandr Puškin; lo stesso anno che si considera solitamente il vertice delle repressioni staliniane.
«Noi festeggiamo l’anniversario della sua morte. Perché tanta allegria?» si chiedeva nel numero speciale della «Pravda» un puškinista di regime. E rispondeva con certezza:
«Le tue parole, Puškin:
E lascia che sulla soglia della tomba
Fermenti la giovane vita,
si sono avverate. Presso la lapide del grande poeta fermenta la giovane vita sovietica, piena di letizia».
Ben presto il nostro puškinista finì a marcire in un lager: come ben sappiamo, nessuna «fedeltà alla linea del Partito» metteva al sicuro da questo. E la linea del Partito in quel momento intendeva appropriarsi di Puškin, ridisegnarlo secondo i suoi cliché e inserirlo nel pantheon della cultura «proletaria» ufficiale, dove in realtà non poteva abitare neppure una sola delle sue strofe.
Il centenario della morte di Puškin fu celebrato in Unione Sovietica con una pompa inusitata.
Tutto ciò che per l’occasione fu detto o scritto non si può rileggere senza inorridire, o ridere.
Si può parlare in quel modo solo quando si è fatta terra bruciata della cultura, nell’assoluta certezza che a questo mondo non c’era, non c’è né ci sarà mai nient’altro che la gagliarda ottusità del secondino.
Ma c’era dell’altro, e non aveva intenzione di finire. C’era un altro pensiero russo su Puškin e altre motivazioni per riprenderlo in considerazione, in occasione del centenario. Entro i confini dell’Unione Sovietica questo diverso pensiero, questa diversa devozione a Puškin erano vivi ma non potevano esprimersi ad alta voce. Nella diaspora russa, nei circoli dell’emigrazione potevano farlo…