14 Febbraio 2016

È la vera voce della Chiesa!

Ol'ga Sedakova

Poetessa, scrittrice e traduttrice moscovita, è docente alla Facoltà di Filosofia dell’Università Statale Lomonosov. Erede della tradizione della grande cultura russa, la sua opera è tradotta in numerose lingue e ha ottenuto riconoscimenti, quali il premio Solov’ëv e il premio Solženicyn.

Riguardo alla Dichiarazione congiunta firmata a Cuba, vorrei dire innanzitutto: grazie a Dio che questo documento è stato scritto e sottoscritto!

Qualunque cosa succeda poi, l’incontro è avvenuto (e mi sembra simbolico che siamo in prossimità della festa della Presentazione al tempio), queste parole importantissime sono state dette e attestate. Il preambolo, e soprattutto i punti 4 e 5 sono un vero inno alla fraternità tra le Chiese apostoliche: «Nonostante la comune Tradizione dei primi dieci secoli, cattolici e ortodossi per quasi mille anni sono stati privati della comunione eucaristica… Siamo addolorati per la perdita dell’unità, conseguenza della debolezza e del peccato umano…».

Non so come sia per gli altri lettori della Dichiarazione, ma per me questa frattura con la Tradizione del primo millennio è stata causa di dolore personale, per molti anni. Così come il mancato riconoscimento di questa situazione tra molti miei fratelli di fede. Lasciamo stare l’ostilità aperta contro i «latini» e il «peccato di ecumenismo»…
Nella Dichiarazione sentiamo la voce cristiana della Chiesa, fatta di gratitudine, benedizione, solidarietà, sollecitudine per il mondo intero (innanzitutto per i più deboli, abbandonati e perseguitati del mondo). Ci eravamo disabituati a questo linguaggio nei documenti ufficiali della Chiesa.

Posso immaginare che a molti sembreranno più importanti i paragrafi seguenti, che toccano i temi concreti e i compiti pratici: la difesa dei cristiani mediorientali, i problemi della civiltà contemporanea (secolarismo, famiglia, eutanasia, tecniche riproduttive ecc.), la situazione della Chiesa in Ucraina. Ma senza la luce della carità, della solidarietà, senza il sentimento della comune storia e della comune responsabilità che pervadono la prima parte della Dichiarazione, questi temi apparirebbero in modo ben diverso. Sarebbero espressi nel modo che ben conosciamo, in termini di lotta contro un nemico malvagio.

Come filologo non posso non osservare che la lingua in cui è scritta la Dichiarazione non è quella dei documenti ufficiali cui siamo abituati: una lingua piena di sovietismi e di perifrasi burocratiche, pesante e fumosa. Qui la Chiesa parla una lingua che sgorga dalla preghiera. L’unica infiltrazione nel testo della «lingua dell’odio» tipica della retorica sovietica si trova nel punto in cui si dice «alcune forze politiche, guidate dall’ideologia del secolarismo» (punto 15). Solo da noi ci si esprime così. Se sono note queste «forze» nominiamole, senza spargere fumo di sinistro mistero.
Ma è solo un dettaglio. Nel complesso, torno a dirlo, la Dichiarazione mi suscita un’immensa gioia. È fatta in spirito di pace, lo spirito di Dio. «Perché Dio non è un Dio di disordine, ma di pace» (1 Cor 14,33).