14 Dicembre 2023

Bielorussia: il bastone e la carota nei confronti delle Chiese

Angelo Bonaguro

Lo chiamano «approccio moderno» il nuovo emendamento alla legge sulle organizzazioni religiose che rispecchia la vecchia diffidenza sovietica nei confronti delle Chiese. In un crescente clima intimidatorio nei confronti di pastori e fedeli considerati «estremisti».

Dopo le manifestazioni dell’estate del 2020 duramente represse dalla polizia, scatenate dalle elezioni-farsa che hanno confermato alla guida del paese Lukašenko, anche le Chiese hanno fatto sentire la loro voce. Le autorità statali sono rimaste così spiazzate dall’inattesa attività «sociale» dei credenti, di alcuni sacerdoti e persino di singoli rappresentanti dell’episcopato che hanno poi pagato di persona i loro gesti «estremisti»: come l’esarca ortodosso Pavel, sostituito da Veniamin (Tupeko) dopo aver condannato la violenza delle forze dell’ordine ed essersi recato a visitare alcune vittime in ospedale, e l’arcivescovo cattolico Stanevskij che ha preso il posto di monsignor Kondrusiewicz che il 19 agosto si era recato a pregare sotto le mura del carcere di Okrestin a Minsk, e al quale poi era stato addirittura vietato di rientrare in patria.
E come non ricordare l’inaudito episodio del 26 agosto di quell’anno, quando gli OMON bloccarono l’accesso alla «chiesa rossa» a Minsk che poteva offrire rifugio ai manifestanti, impedendo contemporaneamente ai fedeli di uscire?

Del resto, lo stesso Lukašenko aveva tuonato: «Mi stupisce la posizione delle nostre confessioni. Cari i miei ministri del culto, calmatevi e fate gli affari vostri! Nelle chiese la gente deve venire a pregare! Le chiese non sono fatte per la politica». E aveva concluso in tono minaccioso che «neppure lo Stato resterà a guardare».

Bielorussia

Agosto 2020: le forze dell’ordine bloccano l’accesso alla «chiesa rossa» di Minsk.

Da allora si sono susseguiti vessazioni, arresti, brevi condanne, ammende a carico di religiosi, piccole comunità (soprattutto protestanti) o di media religiosi ritenuti «estremisti». Si aggiunga che, dopo l’aggressione russa all’Ucraina, i cattolici che con il loro 12% si posizionano al secondo posto nella popolazione credente dopo la maggioranza ortodossa (82%), vengono tacitamente sospettati di essere «agenti occidentali», tanto più che la maggior parte di essi ha origini polacche.

L’accusa di «estremismo» (articolo 19.11 del Codice degli illeciti amministrativi) colpisce arbitrariamente tutti coloro che non si adeguano al monopolio politico-culturale ufficiale: così è finito sulla lista nera l’amministratore di un gruppo di social media condannato a tre anni per aver distribuito informazioni sulla lingua bielorussa, o il sito di notizie della Chiesa greco-cattolica Carkva. Il regime e le alte sfere della Chiesa ortodossa hanno proibito l’esecuzione dell’inno Dio Potente, composto nel 1943 dalla poetessa Natall’ia Arsen’eva, moglie del politico e militare Francišak Kušal accusato di collaborazionismo, inno che nell’agosto 2020 è stato cantato dai manifestanti.

Bielorussia: il bastone e la carota nei confronti delle Chiese

Antonij Adamovič. (christianvision)

«Estremista» è stata dichiarata l’omelia dell’arcivescovo ortodosso Artemij (Kiščenko), scomparso nell’aprile scorso, per aver criticato i brogli alle presidenziali. Altrettanto gravi sarebbero due interviste di don Vjačeslav Barok, sacerdote cattolico della regione di Vitebsk, apparse su youtube e in cui parla anche di politica e Vaticano. A metà luglio sono state effettuate perquisizioni nella cattedrale cattolica di Minsk, in relazione al caso di un insegnante di catechismo accusato di «incitamento all’odio». Secondo il canale tv Belsat, durante l’operazione le forze di sicurezza hanno percosso i sacerdoti presenti.
In agosto è stato arrestato don Antonij Adamovič, parroco a Pervomajsk, nella regione di Grodno.
Nel mirino anche le comunità protestanti e i social del gruppo ecumenico Christian vision e del canale telegram Rerum Novarum che si occupa di Chiesa cattolica.

È sufficiente seguire un profilo social ritenuto estremista per finire nei guai, com’è accaduto al sacerdote ortodosso Andrej Nozdryn di Grodno, condannato alla pena pecuniaria di 160 € e alla confisca del «corpo del reato» (ossia il cellulare); sorte simile per il sacerdote cattolico Nikolaj Lipskij, parroco a Novolukoml, che ha trascorso due giorni in cella d’isolamento per poi essere multato di 530 € e vedersi sequestrare il telefono; il pastore protestante Boris Lapšin è stato condannato a 10 giorni di carcere per aver condiviso un post su facebook, e l’evangelica Ol’ga Madatova a 11 giorni dopo essersi iscritta a un gruppo che sul social russo odnoklassniki ha come logo l’antico stemma lituano-bielorusso col cavaliere detto pahonja, e per aver messo dei like a post di Radio Svoboda.

Gli ultimi casi riguardano sacerdoti cattolici, come l’arresto, nella seconda metà di novembre, di don Genrich Okolotovič, parroco della chiesa di San Giuseppe a Voložin, e di don Vjačeslav Pjalinok di Brest.

Okolotovič, arrestato per «alto tradimento», rischia una condanna dai 7 ai 15 anni, ma non è ancora stato ufficialmente incriminato, ha problemi cardiaci e ha subìto un’operazione per cancro allo stomaco. Nato nel 1960, don Genrich si è avvicinato alla fede in epoca sovietica nonostante la Bielorussia fosse tra le repubbliche maggiormente colpite dalla politica di ateizzazione. Da giovane ha studiato in un seminario clandestino, e dopo il servizio militare ha lavorato come ferroviere finché nel 1984 è stato consacrato sacerdote dal vescovo lituano Vincentas Sladkevičius. Ha svolto il suo ministero in varie località della Bielorussia, ed è stato il primo sacerdote a visitare l’area delle fosse di Katyn negli anni ’80, e per questo era stato fermato e multato. Oltre al sacerdote, è stata arrestata la perpetua.

Don Vjačeslav Pjalinok invece è stato fermato al termine della Messa del mattino, e gli sono stati sequestrati il telefono e il computer portatile. Non si conoscono ancora i motivi dell’arresto.
Di fronte a questo stillicidio di fermi ingiustificati, il nunzio apostolico Ante Jozič ha ritenuto opportuno incontrare il ministro degli esteri bielorusso.

Bielorussia: il bastone e la carota nei confronti delle Chiese

G. Okolotovič (ctv.by)

A completare il quadro della situazione religiosa in Bielorussia si aggiunge l’emendamento alla legge sulle organizzazioni religiose, approvato in prima lettura l’11 ottobre e in attesa del vaglio parlamentare, testo che sostituirà le attuali disposizioni «Sulla libertà di coscienza e sulle organizzazioni religiose», in vigore dal 2002. Secondo Aleksandr Rumak, responsabile dell’Ufficio per gli Affari religiosi e le nazionalità, la nuova legge fisserebbe «approcci moderni», moderni nel senso che seguono la falsariga della corrispondente legislazione vigente in Russia e in alcuni paesi dell’Asia ex-sovietica – legislazioni che a detta dei difensori dei diritti umani come minimo non sono in linea con le direttive internazionali in materia.

La legge del 2002 era già ritenuta incostituzionale, e nel maggio 2007 cattolici, ortodossi e protestanti avevano raccolto – invano – 50mila firme per modificarla: alcuni organizzatori erano stati multati mentre padre Aleksandr Šramko, sacerdote ortodosso oggi espatriato in Lituania, era stato addirittura sospeso a divinis. Anche il Comitato per i diritti umani dell’ONU – nel novembre 2018 – aveva invitato la Bielorussia a «garantire l’effettivo esercizio della libertà di religione» soprattutto «abrogando il requisito della registrazione obbligatoria delle comunità».

Preoccupazione ribadita ancora dalle Nazioni Unite, secondo le quali le disposizioni non rispetterebbero gli obblighi sottoscritti dalla Bielorussia sui diritti umani.

La nuova legge, tra l’altro, prevede che tutte le comunità religiose prima di poter operare debbano ottenere la registrazione statale, e impone che quelle che ne sono già in possesso (3.590 al 1° gennaio 2023) la rinnovino secondo norme più restrittive, analogamente a quanto richiesto ai partiti politici e ad altre associazioni non religiose. In questo modo, si tende a separare le comunità religiose dalla società civile ostacolando l’educazione religiosa, le attività caritative e la diffusione di letteratura religiosa; ci si rifà a più riprese al concetto di «ideologia dello Stato bielorusso» senza peraltro precisarne il contenuto, e si estende l’utilizzo di termini quali «estremismo» o «terrorismo» per giustificare le ingerenze statali, concedendo allo Stato ampia facoltà di ispezione, sorveglianza e raccolta di informazioni personali.

La «carota» è costituita dal fatto che, rispetto alla prima stesura, durante i mesi estivi e grazie anche alle osservazioni giunte dagli ambienti religiosi, sono state apportate alcune modifiche che hanno attenuato il rigido impianto originale del «bastone»: così ora l’importazione in Bielorussia di letteratura religiosa non dovrà più sottostare obbligatoriamente a perizia. In questo senso padre Jurij Sanko, portavoce della Conferenza episcopale cattolica, ha dichiarato che «per la nostra Chiesa non c’è nulla di cui preoccuparsi riguardo a questa legge» a parte qualche disagio per rifare la registrazione. Ha aggiunto che la Chiesa cattolica spera che la nuova legge aiuti ad aprire più orfanotrofi: negli ultimi mesi, infatti, le autorità hanno proposto l’idea di collocare gli orfani nei monasteri.

Bielorussia

Il vescovo Kaszkiewicz di Grodno all’inaugurazione del nuovo centro della Caritas per i bambini, settembre 2022. (grodnensis.by)

È positiva anche la disposizione (articolo 8) secondo cui «lo Stato può fornire assistenza finanziaria, materiale e di altro tipo alle organizzazioni religiose per il restauro, il mantenimento e la protezione dei beni materiali, storici e culturali», così come può fornire sostegno alle attività di beneficenza che sono state penalizzate duramente nel corso degli ultimi anni: nel 2021 la Caritas di Minsk ha dovuto rinunciare a offerte in denaro provenienti dall’estero per sostenere un progetto di aiuto ai poveri e ai senzatetto (il progetto mirava a fornire cibo a circa 700 persone); nel gennaio 2022 il Dipartimento per le attività umanitarie dell’Amministrazione presidenziale ha proibito a una comunità protestante della regione di Vitebsk di ricevere un carico di aiuti umanitari (tra cui sedie a rotelle, vestiti, calzature e mobili) inviati dall’estero; nel febbraio 2013 le autorità statali hanno revocato lo status giuridico alla Casa di Maria, un rifugio per senzatetto gestito dal giovane cattolico Aleksei Ščedrov.

Non si può non concordare con la sintesi di padre Šramko, secondo il quale si tratta di una politica ereditata dall’epoca sovietica, caratterizzata da un atteggiamento diffidente nei confronti della religione e dal desiderio di isolarla dalla società e di controllarla, imponendole in questo caso di conformarsi alla fumosa «ideologia dello Stato bielorusso». D’altro canto  – aggiungiamo noi – ci pare che si voglia raggiungere un difficile equilibrio tra controllo e repressione, nel desiderio di presentarsi all’Occidente con una vetrina «democratica» per distinguersi dallo scomodo vicino russo, che ha preferito invece arruolare gran parte dell’ortodossia nella sua crociata nazionalista.

Nonostante la propaganda del regime – ha scritto ancora il sacerdote ortodosso – la Chiesa resta «mentalmente estranea» a Lukašenko, che la considera «una sorta di strumento che a volte può essere utilizzato ma che è meglio tenere in disparte e sotto controllo».


(foto d’apertura: celebrazione liturgica nella «chiesa rossa» di Minsk – A. Jones, wikipedia)

Angelo Bonaguro

È ricercatore presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si occupa in modo particolare della storia del dissenso dei paesi centro-europei.

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