13 Settembre 2023

La resistenza cristiana esiste, e parte dal basso

Natallja Vasilevič

Una delle anime è la bielorussa Natallja Vasilevič. Ha creato il gruppo «Cristiani contro la guerra» per documentare le sfide che le Chiese devono affrontare oggi se non vogliono restare ai margini del dramma. Pubblichiamo stralci dell’intervista di Marija Turovec uscita nel giugno 2023 sul sito Activatica.org.

Ci può parlare dell’associazione «Cristiani contro la guerra», com’è nata, cosa fanno i suoi attivisti?
È stata un’azione abbastanza spontanea che abbiamo iniziato il 24 febbraio 2022. Avevamo già costituito un’associazione di cristiani bielorussi che lavoravano per reagire alla crisi politica del 2020. Si chiamava «Visione cristiana» e coinvolgeva alcune decine di persone. Quando è iniziata la guerra ci sono sorte due domande. La prima: come noi bielorussi, cioè il regime di Lukašenko, stiamo partecipando alla guerra e cosa sta accadendo al nostro paese?
La seconda: come reagiscono le Chiese alla guerra, all’invasione russa dell’Ucraina? Sul nostro canale abbiamo cominciato subito a raccogliere le notizie, le reazioni delle Chiese, e quando abbiamo capito, circa un mese dopo, quale terribile conflitto era in atto e che dovevamo monitorarlo più sistematicamente, abbiamo creato il canale «Cristiani contro la guerra», collaborando da subito con amici dell’Ucraina e della Russia.

All’inizio eravamo in pochi, poi la rete si è ampliata: abbiamo messo a frutto la nostra esperienza di resistenza politica e in un certo senso siamo passati a un nuovo livello, perché la guerra ha un ruolo fondamentale anche per la crisi politica bielorussa, e da essa dipende sotto molti aspetti lo sviluppo del nostro paese. E quando si sono unite a questa squadra nuove persone con proprie idee, hanno portato anche le proprie competenze e conoscenze.

Ma come fate a contrapporvi alla guerra, alla macchina dello Stato russo e bielorusso, quando oggi sembra che non esistano Chiese indipendenti?
È una questione molto complessa. L’unica esperienza che avevamo era la nostra azione durante la repressione del regime bielorusso dopo il 2020. All’origine di questa crescita c’è stata un’esplosione di attivismo religioso, si pregava nelle strade per la pace, la giustizia e la democrazia. Molti sacerdoti sono stati arrestati e incarcerati per aver preso delle iniziative. Non ci aspettavamo un così grande sussulto, e abbiamo cercato di sostenere tutte queste iniziative e di monitorare le violazioni dei diritti della persona, aiutavamo i perseguitati a fuggire all’estero.

Sapevamo fin da allora che anche se nessuno dice nulla pubblicamente, ciò non significa che tutti siano d’accordo, se no come mai in Bielorussia vengono ancora arrestate fra le 12 e le 15 persone al giorno, e alcune di loro restano in prigione? Le repressioni continuano, perché la polizia riesce sempre a trovare qualcuno che esprime la propria protesta sul cellulare o addirittura sui propri oggetti personali: una bandiera nascosta in un armadio o un paio di calzini di certi colori possono già essere un motivo di persecuzione …

La resistenza cristiana esiste, e parte dal basso

Natallja Vasilevič, teologa e politologa ortodossa bielorussa.

Sappiamo che esiste un’attività clandestina che a volte è l’unica forma possibile di resistenza: non sempre è ragionevole correre grandi rischi, agire apertamente, meglio lavorare con metodo, giorno per giorno in un gruppo clandestino, e questi gruppi ci sono. Noi li sosteniamo e cerchiamo di comunicare con loro, e quando ce lo chiedono, pubblichiamo notizie su di loro.

Facciamo anche pressione sui capi delle Chiese, che a volte tacciono mentre potrebbero parlare, avendo una responsabilità molto maggiore e il dovere intervenire. E quando parlano, vogliamo documentare ogni loro parola, perché poi nessuno ci venga a dire: «Scusate, io non c’entro, non ho sostenuto la guerra». Noi registriamo tutti coloro che sono intervenuti contro la guerra, le loro dichiarazioni e le loro azioni, per sapere con chi abbiamo a che fare.

Un secondo aspetto del nostro lavoro è l’attività internazionale. Partecipiamo al movimento ecumenico mondiale, al Consiglio mondiale delle Chiese, alla Conferenza delle Chiese europee e ad altre grandi reti. Per noi è importante aiutare le Chiese ucraine a chiarire la propria posizione, perché non hanno mai partecipato a queste organizzazioni e hanno bisogno di sostegno per far sentire la propria voce e contrastare la propaganda che la Chiesa ortodossa russa svolge in questo contesto. Per esempio sfatiamo tutti i miti, gli stereotipi e le fake news e mostriamo cosa c’è realmente dietro a certe dichiarazioni dei vescovi russi.

Questo per quanto riguarda l’attività mediatica e internazionale, ma cosa possono fare gli attivisti cristiani per contrastare la guerra sul posto?
Purtroppo ben poco, ma sappiamo che ci sono attivisti che hanno aiutato delle persone a uscire dal paese. Quando ad esempio è iniziata la mobilitazione in Russia, i nostri attivisti all’estero hanno aiutato chi è stato costretto a emigrare. Esistono dei progetti per il monitoraggio e la difesa dei diritti, cerchiamo di spiegare come ci si può rifiutare di fare il servizio militare per motivi di coscienza.

Molti ci chiedono in quali chiese possono andare per non sentire «certe prediche». Sono questioni puramente religiose: la gente ci scrive e noi cerchiamo di dare testi di riferimento, di sostenerla perché non ceda agli stereotipi ideologici e alle spinte militariste e aggressive. Purtroppo il nostro campo d’azione è molto limitato, perciò per noi hanno valore anche gesti minimi come monitorare le persecuzioni dei cristiani nei vari paesi, o chi non commemora il patriarca Kirill in segno di dissenso, o aiutare i profughi, pubblicare sui social le loro dichiarazioni, informare i media, lavorare con i parrocchiani, riunirsi in piccoli gruppi di persone che la pensano allo stesso modo e sostenersi anche psicologicamente.

Sono importanti anche i materiali che produciamo. Quando la gente partecipa ai dibattiti sui social o parla con i propri familiari di questioni religiose, a volte percepisce intuitivamente che è vero che la guerra e la violenza sono male, che bisogna fare qualcosa, ma non riesce a formularlo, e quando c’è una discussione non ha argomenti per convincere i propri familiari a cambiare idea o almeno per difendere la propria posizione. Noi cerchiamo di offrire risposte che ci illuminano almeno un po’, perché se viviamo nella menzogna, in questa continua escalation di propaganda, se continuiamo ad ascoltare giornalisti come Solov’ev che urlano dai teleschermi, anche noi ci metteremo a urlare e a pensare che tutti sono così.

Noi cerchiamo invece di mostrare che delle iniziative contro la guerra esistono, perché qualcuno possa dire: «Grazie a Dio non sono solo, ci sono altri come me. Posso anch’io dare e prendere esempio», e questo basta per far sviluppare la società civile all’interno delle associazioni religiose.

Mettiamo il caso che a Ekaterinburg si formi un gruppo di credenti che si dissocia dalla propaganda e vi chiede di essere messo in contatto con dei sacerdoti che non commemorano Kirill o che non leggono la preghiera per la vittoria…
Qui entra in gioco il problema della sicurezza, perché mettere in contatto due persone può essere difficile e rischioso. A Mosca si era formato un gruppo di preghiera clandestino ecumenico. Uno dei partecipanti ha raccontato dettagliatamente del gruppo alla redazione del portale Sota, e alla fine per motivi di sicurezza i membri hanno dovuto smettere di riunirsi ed eliminare le loro chat, postate su Telegram. Perciò bisogna stare sempre molto attenti: l’attività clandestina va bene perché nessuno ne sa niente, ma c’è sempre un rischio altissimo che chi ti cerca lo faccia non per pregare ma per comprometterti…

Il nostro progetto è abbastanza noto fra i cristiani, e se qualcuno vuole impegnarsi contro la guerra, va su Google o su Telegram e noi gli mostriamo cosa facciamo. Oppure sono loro a vedere un post inoltrato da qualcun altro e ce lo comunicano.
Ad esempio, prima di Natale c’è stata la dichiarazione dei cristiani russi per la pace: studenti di teologia, sacerdoti e pastori protestanti ci hanno scritto che volevano fare questa dichiarazione e ne abbiamo parlato con loro: ci hanno scritto chi erano e tramite chi avremmo potuto informarci su di loro, per cui ho saputo che erano persone reali, serie, di cui potevamo fidarci. Così ci siamo messi in contatto con altri cristiani in Russia, abbiamo realizzato delle registrazioni e loro hanno prodotto un video con questa dichiarazione. Sappiamo chi sono, ma loro agiscono nell’anonimato perché vivono in Russia, e quindi possono essere colpiti da sanzioni ecclesiastiche o finire nel mirino della polizia. Sono attratti dalla nostra esperienza, e ognuno di loro ci mette in contatto con altre persone.

Ci sono anche dei personaggi pubblici, come me. Anche nella Chiesa ortodossa russa c’è gente che mi conosce, sa che quanto facciamo è reale, e si rivolge a noi tramite contatti personali. Tante persone si uniscono a noi e ognuno contribuisce come può: chi traduce tre capoversi, chi disegna un’illustrazione: abbiamo bisogno dell’aiuto dei volontari. Abbiamo un’attività molto ampia, ogni giorno bisogna rielaborare tante informazioni per aggiornare il canale Telegram, per fissare tutto, analizzare, capire quali processi sono in corso, quali argomenti bisogna trattare. È un grosso lavoro e cerchiamo di farlo al meglio, perché per noi è di importanza vitale. Se non lo facessimo, il nostro cristianesimo non avrebbe alcun valore. Non serve a nessuno qualcosa che non cambia nulla, quindi per noi la motivazione è questione di vita o di morte.

Secondo Lei in Russia sono esaurite le possibilità per i cristiani di esprimere pubblicamente la propria posizione contro la guerra?
In Bielorussia, ma penso anche in Russia, per il potere chiunque è un pericoloso sovversivo, perciò non è rimasto più alcuno spazio neutrale dove si possa ancora dire qualcosa.

Se nel settembre del 2020 in Bielorussia si poteva scendere in piazza con degli striscioni, oggi basta postare sul proprio profilo una barzelletta o una bandierina, che il KGB ti manda sei poliziotti armati di mitra. È una reazione sproporzionata: per scatenarla basta qualcosa di molto piccolo, una parola, un segno, anche se non vengono esposti in pubblico.
Da noi non esiste più niente che sia neutrale. Pregare per la pace ad esempio sarebbe una cosa neutrale, perché nessuno dice come dev’essere questa pace, né chi deve vincere; in Bielorussia la parola «pace» è anche nell’inno nazionale di Lukašenko. … Su questo si è costruita per decenni la propaganda bielorussa, e a un tratto questa parola neutrale inserita nel testo di una preghiera scatena reazioni violente.

D’altra parte, se personalità religiose o gruppi di fedeli uniti fra loro avessero reagito con forza, se il patriarca Kirill a suo tempo fosse stato un leader cristiano all’altezza della situazione, se avesse espresso la sua posizione e per questo lo avessero arrestato, allora tutti i vescovi avrebbero ricevuto un segnale e gli eventi sarebbero andati diversamente. Invece hanno contribuito a far andare gli eventi nella direzione opposta, quella della guerra.

Il tribunale ecclesiastico di Mosca ha deciso di ridurre allo stato laicale padre Ioann Koval’, un sacerdote autorevole e amato dai parrocchiani, perché nella preghiera [«Per la Santa Rus’»] composta in gran fretta dal patriarca Kirill, in cui si dà un giudizio geopolitico sulla situazione, ha sostituito la parola «vittoria» con la parola «pace». Si sono attaccati con tanta veemenza a questa minuzia, che neanche lui se lo aspettava, perché non lo riteneva un gesto eroico, gli sembrava che fosse un’azione proporzionata, assolutamente neutrale. La riduzione allo stato laicale è la misura più severa in assoluto nei confronti di un sacerdote. Nemmeno chi mette in piedi una bisca o violenta qualcuno viene ridotto subito allo stato laicale. È una reazione di una violenza sproporzionata.

La resistenza cristiana esiste, e parte dal basso

Ioann Koval’. (telegram)

Quella che vediamo in Bielorussia non è una violenza pragmatica, come non lo è la guerra in Ucraina. Un conto è prefiggersi uno scopo e usare la violenza per raggiungerlo. Certo, non è bello considerare la violenza come lo strumento più efficace, ma potremmo usarlo razionalmente, per considerazioni pratiche: almeno sappiamo cosa vogliamo, esiste un rapporto tra causa ed effetto. Invece qui ormai tutto si riduce a un raptus, è violenza pura, un’escalation fine a se stessa, come quando si prova il sapore del sangue e non si riesce più a farne a meno. In guerra anche la persona migliore che passa attraverso questo tritacarne ne esce completamente trasformata, malata di mente, ha degli incubi terribili, dei flash-back. Il confine fra sanità e follia si polverizza: se qualcuno oltrepassa questa linea rossa non riesce più a tornare alla normalità. Oggi è come se tutta la società fosse immersa nel sangue e si fosse abituata ai missili che cadono su Kiev o al fatto che Mariupol’ sia stata rasa al suolo.

Quando qualcuno la prova molte volte, questa violenza entra nell’ordine delle cose e stravolge la psiche umana, chiunque può sentirsi autorizzato a uccidere, odiare, violentare, e la barbarie diventa la normalità.

L’aspirazione a raggiungere un certo grado di civiltà e a rispettare i diritti umani non è più in agenda, è rimasto solo il panico morale. La società si trova in una situazione anomala, soffre di una psicosi indotta.

Se il depositario di una dottrina cristiana ha predicato che c’è bisogno di eroismo, che bisogna combattere contro le forze preponderanti dell’impero nemico, ho l’impressione che il cristianesimo venga meno: cosa ne è stato delle Chiese cristiane?
Vediamo molte persone che prendono posizioni veramente radicali e sono disposte a pagare per questo, anche in Bielorussia, fra i sacerdoti della Chiesa ortodossa russa. Uno di loro, padre Vladislav Bogomol’nikov, docente di filosofia all’Accademia teologica di Minsk, è rimasto per cento giorni in prigione in condizioni orribili, fino a perdere 30 chili. Stava per morire in reclusione. Penso che lo abbiano ricattato per costringerlo a ritrattare pubblicamente, ma lui ha resistito sino alla fine e in questi cento giorni avrebbe preferito morire in croce pur di non tradire i suoi ideali.

Di questi esempi ce ne sono fra i nostri prigionieri politici, c’è anche chi si è rifiutato di lasciare il paese. … Moltissimi sanno che verranno ad arrestarli e non si sa che ne sarà di loro e delle loro famiglie, eppure restano perché lo ritengono un loro dovere. Ci sono anche dei sacerdoti in prigione che dicono: «Non ho altro modo per visitare i prigionieri politici, se non quello di diventarlo io stesso e aiutarli là dove sono». C’è gente che fa anche questo…

Sono esempi che mi edificano molto, ma non possiamo aspettarci da tutti lo stesso eroismo. Io cerco di aiutare quelli che si sentono di essere eroi, ma sostengo ugualmente quelli che non se la sentono, infatti tanti cristiani sono tormentati dai rimorsi di coscienza perché non sono eroi. Anche loro vanno sostenuti e invitati a non abbattersi: «Fai quel minimo che puoi, quel che sei pronto a fare, che è importante, perché se ti abbatti non potrai fare neanche quel minimo, e l’eroismo ha bisogno di questa tua risorsa, di un punto di forza: non devi ammazzare psicologicamente te stesso né il tuo prossimo, altrimenti come si formerà in lui questo punto di forza se continui a martellarlo?».

Diamo spazio alla persona là dove può fare qualcosa secondo le sue forze, e questo già cambia il mondo. Una sola parola, una sola azione bastano a cambiare radicalmente il mondo.

Cristo è un rivoluzionario che ha cambiato il mondo radicalmente, ma su un piano diverso, lo ha rifondato su nuove basi. Questa nuova creazione del mondo è avvenuta nel sacrificio di Cristo, nella sua resurrezione, nella sua vittoria sulla morte. Tutti i princìpi che c’erano prima sono stati rifondati, ma lui ha detto di sé: «Non sono venuto a spezzare la canna incrinata, né per spegnere uno stoppino dalla fiamma smorta». Eppure la storia di Cristo si è diffusa in tutto il mondo e lo ha cambiato veramente. Se però leggiamo i trattati storici dei suoi contemporanei, non ci accorgiamo che tutto era cambiato.
Cristo stesso si paragona a un chicco di grano che deve morire. Questo chicco viene seminato e non cresce in un solo giorno, ci vogliono tempo, forze, bisogna innaffiarlo perché non secchi. Non serve tirarlo per lo stelo e andare a vederlo tutti i giorni per farlo crescere più in fretta. Così si rischia solo di strapparlo e non ne rimarrà più nulla. Per questo voglio trattare le persone con più misericordia, anche quelle che non fanno niente e che forse si comportano così perché non hanno le risorse né le forze necessarie.

Ma alle guide della Chiesa che indossano splendidi paramenti e aspirano alle più alte cariche dicendo: «Siamo i testimoni di Cristo, noi vi condurremo alla meta!», a loro certamente è chiesto di più, ed è ciò che ci aspettiamo. Purtroppo loro percuotono chi alza la testa per dire qualcosa, in primo luogo i propri fratelli e sorelle, i propri sacerdoti che dovrebbero difendere dai lupi come fa il pastore con il gregge. Invece li consegnano al KGB; per molti pastori cristiani la vita umana non è importante, è solo una risorsa… I regimi totalitari esistono anche nella Chiesa, nessuno ha pietà dell’altro, non ci si ama o addirittura ci si odia, i rapporti sono finalizzati al puro potere. Questo è ciò che accade oggi nella Chiesa ortodossa russa e anche in molte associazioni dove potere e denaro dipendono dal lealismo verso le autorità. In Russia è questa la risorsa principale: per essere un vero leader devi essere vicino al potere e saper usare i suoi meccanismi violenti.

Io ad esempio ho vissuto in Bielorussia fin da bambina e Lukašenko faceva parte della mia vita. Tutto il sistema era costruito attorno a questo autoritarismo, e io ho sempre trattato con diffidenza tutti i miei insegnanti, i professori, qualunque autorità. Mi sembrava che obbedire fosse un male. Quando sono arrivata in Germania, ho improvvisamente riscoperto il valore del rispetto della legge. Prima pensavo che obbedire significasse lasciarsi portare come una pecora al macello, quindi ne avevo paura. Ma se nessuno mi fa violenza, se c’è comunicazione, se c’è un rapporto di reciprocità con l’autorità … se ci sono rapporti di stima, se qualcuno si preoccupa veramente di me come persona, allora diventa molto più facile per la mia libertà obbedire, perché non è una sottomissione ottusa dall’alto in basso, è un processo in cui ci si viene incontro a vicenda… Questa interazione esiste anche con i leader democraticamente eletti, che rendono conto al popolo del proprio operato. Ma quando non scegli nessuno è impossibile obbedire, perché questi sistemi sono costruiti sulla violenza e gli stessi leader non capiscono che anche la violenza domestica ha lo stesso schema.

Neanche i capi della nostra Chiesa capiscono che se i rapporti cambiassero radicalmente, se loro si preoccupassero dei propri fedeli, riceverebbero amore in contraccambio. Non so perché si comportino così, forse ci sono degli schemi del passato che continuano a riprodursi e loro pensano che non si possa fare altrimenti. Magari vorrebbero fare qualcosa di buono, non sempre è colpa loro: è come se finissero in questo flusso e lì venissero macinati e ne uscissero così deformi da creare a loro volta dei sistemi deformi.

Secondo lei i Testimoni di Geova, con il loro antimilitarismo, sono stati proibiti in Russia proprio in vista dell’inizio della guerra in Ucraina?
Non penso, perché a mio avviso non sarebbero comunque riusciti a provocare quella resistenza di massa al servizio militare predicata dalla loro dottrina. Le repressioni si sono inasprite contro diversi gruppi della società civile, questo processo era in atto da tempo in Russia, e quello dei Testimoni di Geova è stato uno dei tanti casi. Non penso che avessero un potenziale così grande da diffondere una mentalità antimilitarista. Questo provvedimento si inserisce nel quadro generale di un inasprimento delle repressioni.

A me sembra che il regime abbia scelto il momento giusto per iniziare la guerra, perché i mass media e le varie associazioni indipendenti erano state praticamente eliminate ed era cominciata la caccia agli «agenti stranieri», quindi la società civile era già ridotta al lumicino. Era il momento in cui hanno messo in carcere Naval’nyj e altri politici dell’opposizione, perché il regime aveva bisogno di ridurre al minimo la tensione.

Certo, il regime ha preparato la guerra imponendo un clima di intimidazione in cui la società avrebbe taciuto, non si sarebbe opposta, e ciò d’altra parte ha implicato l’uso della violenza contro tutta la società. Due o tre anni fa questo avrebbe suscitato scandalo, oggi non suscita più grandi emozioni perché di fronte a quanto sta facendo Putin in Ucraina, dove intere città vengono rase al suolo, un prigioniero politico in più non fa né caldo né freddo, quindi è come se avesse ampliato la galleria degli orrori.

Penso che oggi molta gente abbia un atteggiamento indifferente anche di fronte alla minaccia nucleare. La morte violenta ha smesso di impressionare, è diventata una cosa ordinaria, nessuno la prende sul serio, la gente non attribuisce più alcun valore alla propria vita. Penso che tutto questo rientri nel clima generale di paura e di violenza.

La resistenza cristiana esiste, e parte dal basso

(bogdan, orthphoto.net)

Vorrei aggiungere che quando parliamo delle realtà religiose in ambito pubblico spesso facciamo il grosso errore di concentrarci sulle gerarchie o sulla verticale del clero, che si distingue dagli altri fedeli. Pensiamo, convenzionalmente che un sacerdote intervenga con autorità e rappresenti la Chiesa di fronte ai media.

Ma di fatto nelle nostre parrocchie ci sono delle fragili vecchiette ortodosse che, come abbiamo visto coi nostri occhi, attaccano i manifesti ai muri della chiesa. Persone apparentemente poco importanti, emarginate, alle quali nessuno presta attenzione, che hanno un grande potenziale.

Cosa può fare una vecchietta? Eppure può avere il suo campo d’influenza: molte persone si fidano di lei, la ascoltano. Una vecchietta nella sua comunità può essere molto più autorevole di un prete che è lì a pontificare. Bisogna cioè guardare a queste comunità da un’angolatura un po’ diversa, in effetti l’impegno attivo aiuta le persone a sviluppare una forte autocoscienza che le rende capaci di esprimere il proprio dissenso morale di fronte alle autorità, di assumersi la responsabilità della propria comunità religiosa, di intervenire a suo nome e di formulare delle proposte.

Nel 2020 per me le donne ortodosse sono state una scoperta. Mi sono accorta di cosa possono fare delle semplici parrocchiane, della solidarietà che riescono a instaurare fra loro, della capacità di sacrificio, di donare il proprio tempo, le proprie forze e i propri soldi. Sono delle persone impavide, mentre molto spesso proprio i sacerdoti, i leader religiosi sono i più intimiditi, senza risorse, sono quelli che hanno più paura e non sono capaci di dire ciò che dovrebbero. Io non prenderei come punto di riferimento i sacerdoti ma questi piccoli, quelli che, come dice il Vangelo, non sono i sapienti o i potenti di questo mondo: proprio in loro sta la vera forza della società civile.

Oggi nella nostra teologia è diventato popolare un certo concetto di missione: se prima l’attività missionaria partiva dalla diocesi per portare la civiltà in una colonia, oggi la missione ci arriva dalle zone di confine, dalle periferie. Spesso il cristianesimo ha inizio non dal centro ma proprio dalle zone marginali: lì c’è il vero cristianesimo, e molto spesso accade che da lì arrivino la luce, le parole, i pensieri e le azioni giuste.

Penso perciò che, alla fine, tutte queste peripezie ci aiuteranno a riprendere coscienza di cosa sia la Chiesa, di come si edifica, su quali fondamenti, e di chi siano i suoi veri leader. A volte un singolo riesce a fare quello che non riescono a realizzare neanche centinaia di migliaia di persone, e questo mi fa sperare che potremo dare il nostro contributo non solo per fermare la guerra ma anche per prendere coscienza delle sue cause. Per capire perché abbiamo taciuto o non abbiamo fatto abbastanza per fermarla ma anche per costruire la libertà in Bielorussia e in Russia su un nuovo fondamento: su un governo democratico, sulla pace, sulla verità, sui diritti umani, il che è molto importante proprio perché in ogni persona è racchiuso un particolare potenziale che può cambiare tutto il mondo. Se non in senso cosmico, nel proprio piccolo l’uomo può cambiare il mondo attorno a sé.


(Fonte: Activatica.org)
(foto d’apertura: t.me/shaltnotkill)

Natallja Vasilevič

Nata nel 1982, teologa e politologa ortodossa bielorussa, dottoranda in filosofia all’università di Bonn. Direttrice del centro «Ekumena», del portale «Carkva», moderatrice del gruppo di lavoro Visione cristiana. Commenta gli eventi in Bielorussia e nella Chiesa ortodossa bielorussa per vari media.

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