18 Ottobre 2017

La fatica della memoria e il grande centenario

Nikolaj Epple

Ogni paese ha qualche zona d’ombra nel proprio passato, con cui evita di fare i conti. Ma il giudizio sul passato è la chiave di volta del futuro. Nikolaj Epple traccia il parallelo tra le «politiche della memoria» di vari paesi occidentali.

Nell’intervista a Radio Svoboda – di cui riportiamo alcuni estratti – Nikolaj Epplé afferma che, a differenza della Germania che ha chiarito una volta per tutte il proprio rapporto con il nazismo, la Russia non ha ancora preso una posizione netta nei confronti del proprio passato. L’atteggiamento delle autorità e di buona parte dell’opinione pubblica nei confronti del regime sovietico è ancora ambiguo e contraddittorio: si strizza l’occhio all’epoca staliniana, e si invita a dimenticare i crimini passati in nome della convivenza civile. Ma un paese che vuole avere un futuro non può prescindere dal fare i conti col proprio passato, è necessario dare un giudizio storico chiaro su quanto accaduto.

Secondo Lei il modello tedesco non può essere applicato alla Russia, perché è legato a circostanze storiche e culturali specifiche, e dunque è unico e irripetibile. Più utile sarebbe paragonarci alla situazione spagnola, in cui la messa in discussione del passato non è così pacifica, e il silenzio e l’oblio hanno un ruolo importante. Inoltre – Lei dice, – la dittatura sovietica è diversa dal Terzo Reich perché è durata 70 anni, cioè varie generazioni. E, aggiungo io, ha avuto molte forme, l’Unione Sovietica staliniana e quella di Brežnev erano regimi molto differenti.
Esattamente. Il nostro è uno di quei casi in cui il passato difficile è stratificato, multiforme. Però la sua analisi critica è un processo unitario. In Spagna il regime fino a metà anni ‘50 – prima della svolta liberale – e il regime successivo sono stati piuttosto diversi; ma il processo di riflessione legato all’esperienza storica del franchismo è uno solo. Anche da noi è lo stesso: rivoluzione, guerra civile, repressioni staliniane – sono tutti temi a sé, su cui si potrebbe dissertare a lungo. Ma la cosa principale è che se il discorso verte sulle responsabilità dello Stato nella violazione dei diritti dell’uomo e nel terrore, se si riconosce il fatto che lo Stato si è comportato in modo criminale e ha informato la sua politica a principi criminali, allora tali considerazioni devono valere per tutto il periodo sovietico, anche se in misura differente.

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Nikolaj Epple

Filologo, anglista e traduttore, collabora al quotidiano Vedomosti di Mosca.

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