16 Novembre 2020

Quello di Minsk non è solo un carnevale

Angelo Bonaguro

Mentre a Minsk la polizia arresta 1000 dimostranti al giorno, i sociologi esaminano la natura delle molteplici manifestazioni, e ci leggono molti segnali extra politici. È un importante tentativo di uscire psicologicamente e culturalmente dallo spazio ex sovietico. E come sempre, c’è chi ha paura del cambiamento…

La sociologa Oksana Šelest intervistata dal portale indipendente bielorusso Tut.by ha presentato un’indagine condotta sulle manifestazioni in Bielorussia, a partire dall’imponente «marcia della libertà» del 16 agosto a Minsk.

Da mesi ormai scendono in piazza o sfilano per le vie rappresentanti di ogni classe sociale e generazione, in gran parte sostenitori di Svetlana Tichanovskaja, e che esprimono sinteticamente tre richieste di fondo: libertà per i prigionieri politici, processi imparziali e nuove elezioni senza brogli: «Ci ha sorpreso, soprattutto all’inizio, che nessuno degli intervistati fosse pronto a rinunciare al ripristino della giustizia» e nemmeno ad accontentarsi delle riforme costituzionali ventilate da Lukašenko su pressione del Cremlino. Troppo evidente è stata la volontà del regime di barare e soprattutto la violenza della sua risposta: i pestaggi gratuiti da parte dei cosiddetti tichari – agenti del KGB in abiti civili, – gli arresti ingiustificati e la conseguente disillusione nei confronti della giustizia, hanno rafforzato in molti la volontà di andare fino in fondo.

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Angelo Bonaguro

È ricercatore presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si occupa in modo particolare della storia del dissenso dei paesi centro-europei.

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