7 Febbraio 2017

Bucarest in piazza… È la post politica

Marta Dell'Asta

Mezzo milione di romeni in piazza contro la corruzione. È la crisi della politica, la società civile cerca vie dirette. Ma la delegittimazione di ogni potere costituito apre vuoti minacciosi. Un vuoto che ricorda il febbraio 1917 in Russia.

Sono scesi in piazza in centinaia di migliaia, e sono gli stessi romeni che a dicembre hanno disertato i seggi delle elezioni parlamentari. Così, a votare c’è andato un terzo circa dell’elettorato (ma c’è chi dice fosse il 15%): solo i fedelissimi della sinistra, tradizionalmente ben inquadrati, che hanno riconsegnato il governo del paese al Partito social-democratico (SDP), coinvolto pubblicamente in casi di corruzione, evasione fiscale, riciclaggio di denaro, al punto che nel novembre del 2015 il premier socialdemocratico Victor Ponta aveva dovuto rassegnare le dimissioni, ed essere sostituito da un governo tecnico.
Solo il disgusto degli astenuti per i giochi di potere, unito alle demagogiche promesse di stipendi più alti e tasse più basse fatte dal SDP, può spiegare la vittoria elettorale di un partito che era stato coinvolto in una serie infinita di scandali economici e di condanne per corruzione.

Ma il primo atto di governo del neo premier Sorin Grindeanu è stato proprio quello di bloccare la legge anticorruzione, senza discussione in Parlamento, e di indire un’amnistia generale per i reati di corruzione. L’opposizione, frammentata in una miriade di gruppuscoli, non è stata capace di fare niente. È questo che ha messo in moto la gente: a partire dal 31 gennaio ogni giorno, in piazza della Vittoria a Bucarest, dove sorge il palazzo del governo, dalle cinque del pomeriggio fino a mezzanotte hanno incominciato a raccogliersi prima migliaia, poi decine di migliaia, infine, domenica 5 febbraio, mezzo milione di romeni.

Il clima della protesta non è rabbioso, si vedono bandiere nazionali, cartelli con scritte anche ironiche; ci sono famiglie con bambini, molti giovani. «Voglio che mia figlia veda e impari – ha commentato una giovane mamma, – dovrà vivere in questo paese, deve saper lottare per la libertà e i diritti civili».
Probabilmente la gente che va in piazza non ha intenzioni di violenza; si è affermata, se così si può dire, una sorta di tradizione civile della protesta che, sino a che non sono intervenute provocazioni dall’esterno, è stata il vero motore di fenomeni che vanno da piazza Tienanmen a Pechino nel 1989, a piazza Tahrir al Cairo nel 2011, piazza Bolotnaja a Mosca nel 2012, piazza Taksim a Istanbul nel 2013, il Majdan di Kiev nel 2014.

Resta l’interrogativo principale, cioè cosa significhino il boicottaggio dei meccanismi della democrazia politica e questo frequente e massiccio ricorso alle manifestazioni di piazza in varie parti del mondo. Il fenomeno che vediamo in alcuni paesi post-comunisti è infatti parte di un fenomeno mondiale di scollamento e sfiducia totale verso la politica e i partiti. In questa estraneità verso la cosa pubblica pesano le delusioni per la corruzione, ma ancor prima la delusione per una democrazia formale e vuota. Pesa la delegittimazione di ogni forma d’autorità politica. E la Romania oggi non è che un episodio di una realtà che riguarda noi tutti.
La piazza, le piazze, cercano una via diretta per risolvere i problemi ma si tratta di una scelta disperata, di un vicolo cieco, perché senza una nuova concezione della partecipazione politica si resta prigionieri dell’indignazione momentanea, in un circolo vizioso che alterna indifferenza e reattività. È mancata, ovunque, una crescita politica della coscienza popolare, che resta così sbilanciata fra il proprio disagio e la ricerca di un potere autorevole (se non autoritario). Questa situazione di delegittimazione generale ha evidenti e terribili agganci con il clima di sbando del febbraio 1917 in Russia, che ha aperto varchi funesti alla rivoluzione e al totalitarismo.

Marta Dell'Asta

Marta Carletti Dell’Asta, è ricercatrice presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si è specializzata sulle tematiche del dissenso e della politica religiosa dello Stato sovietico. Pubblicista dal 1985, è direttore responsabile della rivista «La Nuova Europa».

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