16 Luglio 2018

Poličany: un’oasi di preghiera nella società secolarizzata

Angelo Bonaguro

Agli inizi del nuovo millennio alcune trappiste di Vitorchiano sono state inviate in Repubblica ceca a fondare un nuovo monastero, che a fine mese diverrà abbazia. Un’oasi di preghiera, lavoro e accoglienza.

Poličany è una piccola località della Boemia centrale, sperduta tra i campi e i boschi che ne adornano le colline, a una sessantina di km a sud di Praga. L’insediamento, come altri della zona, gravita sulla vicina Křečovice, un borgo che per due secoli fu sotto il dominio di una famiglia di cavalieri menzionata nelle cronache del XIV sec., e nell’800 diede i natali al violinista e compositore Josef Suk.
Durante la seconda guerra mondiale, sotto occupazione nazista, questi territori furono destinati ad area di esercitazioni militari e la popolazione fu evacuata. Nel maggio del ’45 i nazisti furono scacciati dall’arrivo dell’Armata Rossa, ma vi fu ancora tempo per scontri sanguinosi come nel borgo di Živohošt’. Negli anni ’80 la zona divenne famosa per le riprese del film di Menzl Il mio piccolo villaggio.
Oggi a Poličany è presente una comunità di trappiste che vivono secondo la regola benedettina dell’ora et labora, che comprende preghiera comunitaria e personale, contemplazione, studio e lavoro manuale.

L’attuale priora, suor Lucia, ha ripercorso le vicende del monastero per il nostro gruppo di pellegrini, da giorni impegnati lungo un itinerario cirillo-metodiano e di scoperta dei testimoni che hanno saputo vivere in libertà nel recente passato totalitario.
E proprio dal punto di vista storico è interessante notare come il regime comunista, nella sua lotta antireligiosa, abbia agito diversamente nei confronti delle suore: nei primi anni ’50 in Cecoslovacchia erano presenti 42 Ordini maschili che contavano circa 2.500 religiosi, da sempre un punto di riferimento nella vita spirituale, culturale e anche economica del paese. Le suore (all’epoca circa 12.000) erano altrettanto benvolute per la loro presenza nella sanità e nella scuola. I religiosi, vivendo in comunità con regole proprie, godevano di una maggiore autonomia rispetto ai sacerdoti diocesani, più isolati e più facilmente vittime delle pressioni del regime. Così nel giro di pochi anni i loro Ordini vennero liquidati e i religiosi internati in campi di lavoro coatto. Togliere da un giorno all’altro le suore dalle istituzioni socio-assistenziali avrebbe invece comportato notevoli svantaggi. Per questo le religiose vennero internate solo gradualmente e costrette a lavorare come operaie e contadine benché si rifiutassero di indossare abiti civili.
Successivamente – dopo la fase staliniana – alcune religiose riuscirono a vivere in microcomunità clandestine, impiegandosi spesso come infermiere, e questo soprattutto in città, dove davano meno nell’occhio.
Per quanto riguarda le suore di clausura, invece, la situazione si configurò in modo alquanto differente: dal momento che venivano considerate del tutto «inutili» per la vita sociale, furono disperse e relegate in domicilio coatto in zone del paese poco abitate e lontane dai grandi centri. Il risultato di questa vera e propria «liquidazione» delle claustrali fu la scomparsa – dalla conoscenza comune delle persone – della stessa conoscenza di cosa fossero la vita contemplativa e la vocazione alla clausura.

L’addio a Vitorchiano e l’inizio dell’avventura

La storia della comunità di Poličany inizia a Vitorchiano, dove nei primi anni ’90 vengono accolte alcune giovani ceche che avrebbero poi fatto la professione solenne. L’allora cardinale di Praga Miloslav Vlk, visitando il convento, fu sorpreso dal trovarvi le sue compatriote, e lesse quella circostanza come un segno della Provvidenza: anche in Repubblica ceca erano necessarie delle «fortezze spirituali» come Vitorchiano.
Dopo ripetute richieste da parte del porporato perché fossero «restituite» alla Chiesa boema, il capitolo acconsentì alla loro partenza. «Per ogni vescovo sono necessarie comunità contemplative di questo tipo – ha spiegato il compianto primate alla tv ceca: – rappresentano una grande benedizione per la diocesi e per tutta la nostra Chiesa».
Così nei primi anni 2000 alcune suore partirono per fondare un nuovo monastero nella diocesi di Praga, in un luogo appartato che potesse essere favorevole per la preghiera, il silenzio e l’accoglienza dei pellegrini.

La posa e benedizione della prima pietra del monastero.

I primi mesi – racconta suor Lucia, – furono tutto fuorché rose e fiori. Inizialmente stabilitesi nella capitale, ospitate dalle suore Cappuccine, da poco rientrate in possesso di una loro Casa a Praga, si accorsero ben presto che c’era da iniziare da zero in un paese che portava su di sé ancora la zavorra post-totalitaria fatta di lungaggini burocratiche, mancanza di responsabilità nel lavoro, fatalismo, oltre alla dura quotidianità che lasciava poco spazio alla contemplazione, obbligando le monache a imparare il ceco per interagire con le imprese costruttrici dell’erigendo monastero: «Sapevamo come si dice radiatore ma non eravamo in grado di recitare il rosario in lingua». «Mi veniva chiesto se tutti quei lavori non fossero di ostacolo alla vita di preghiera; direi di no, siamo abituate a unire preghiera e lavoro». «Nei miei 30 anni di vita monastica – prosegue madre Lucia nel documentario della tv ceca – ho ricevuto molte obbedienze. (…) Questa è stata per me fonte di gioia ma anche di dolore, perché amavo e amo Vitorchiano, e non è stato facile lasciarlo, sia per me sia per le sorelle che venivano con me. Però devo dire che il Signore ha ricompensato grandemente questa obbedienza. Arrivate qui, abbiamo avuto tanti segni della sua tenerezza: uno dei primi è stata l’accoglienza piena di carità e l’affetto da parte della gente del posto».
Nella loro avventura erano infatti sostenute sia dalla Chiesa locale, sia da religiose di altri Ordini – un aspetto che sorprese molto le italiane, abituate invece a una sorta di «competizione vocazionale».
Acquistato finalmente il terreno e superati gli intralci, dal 2005 al 2007 è sorta dapprima la casa del pellegrino, dove le prime trappiste si trasferirono temporaneamente, mentre il convento vero e proprio e la chiesa furono terminati tra il 2008 e il 2010. La chiesa è stata consacrata invece nel 2012 sempre dal cardinal Vlk, dedicata a Maria Madre dell’unità dei cristiani. Per ricreare l’ambiente tradizionalmente accogliente, anche il materiale di costruzione non è stato scelto a caso – ha spiegato Marco Annoni, uno degli architetti che ha seguito i lavori: – dai mattoni, ai rivestimenti esterni, compresa la pietra rossa che proviene da Assisi, vicino alla casa madre.

Nell’agosto del 2008 il nunzio Causero ha benedetto la prima pietra del convento: «Mostrateci che Cristo è il cammino della felicità e della pienezza. In lui non c’è solo la vita eterna, ma anche l’armonia della vita umana. Fateci vedere quanto è vero che i discepoli del Signore hanno il centuplo in questa vita e poi la vita eterna. Anzi, la vita eterna comincia già qui. La vostra vita ha una disciplina esteriore ed interiore che l’esperienza dei santi ha affinato, affinché sia lo strumento che favorisce un’armonia nella quale la persona cresce davanti a Dio e davanti agli occhi degli uomini. La vita religiosa, ma la vostra in particolare, è fondata sull’adorazione di Dio onnipotente che purifica nell’amore; sull’onore agli uomini, nei quali vediamo e serviamo Cristo; sulla bellezza e la pace che abita nella creazione, perché il Padre ha fatto bene ogni cosa. Questo orizzonte costituito dalla presenza di Dio onnipotente, dalla vita in comune e dall’armonia del creato è fatto per creare un equilibrio spirituale ed umano che dia pace a voi e, a noi che vi guardiamo, dia l’intuizione di un mistero che svegli in noi l’ansia del buono, del bello e il desiderio di Dio. (…)
Prego perché sia con voi quella inquietudine che non distrae; che è segno di giovinezza e che trasfigura la “lettera” della disciplina religiosa. Mantenete la vivacità interiore dello Spirito, la coscienza della presenza di Dio e della crescita personale in Lui: questo è ciò che dà pienezza e sete».

«Le sorelle trappiste – ha scritto Vlk – hanno dato alla loro presenza in questo luogo il bel titolo di “Nostra Signora della Moldava” come se volessero indicare che questo territorio bagnato dal fiume che in qualche modo lo caratterizza, viene posto sotto la protezione della Vergine. (…) Il senso della vostra presenza in questa terra, del vostro sacrificio e delle preghiere, è la sua consacrazione, cioè che si avvicini a Dio».

Oasi in una società secolarizzata

In effetti, parlando dei rapporti tra la trappa e i visitatori esterni, suor Lucia conferma che quella ceca è una società molto secolarizzata, più di quanto si possa sperimentare, ad esempio, in Italia. Tuttavia, questa sorta di tabula rasa ha anche i suoi risvolti positivi: se c’è ignoranza del cristianesimo, al contempo non ci sono preconcetti, e questo permette proprio di avvicinare molti. Lo richiamava anche monsignor Causero nella sua omelia: «Celebriamo un avvenimento eccezionale: la posa della prima pietra di un monastero di vita contemplativa in un paese dove, per il regnante conformismo e la storia avversa, l’opinione comune si gloria di essere la nazione più secolarizzata d’Europa. Tuttavia, qui e là, oasi di spiritualità intensa e radicale o sono già presenti o stanno sorgendo: le carmelitane, i trappisti ed ora le trappiste. Ho detto “oasi”, perché sono piccoli luoghi di vita, in un terreno arido. Hanno un significato immenso sia dentro che fuori della Chiesa. Soprattutto dentro, perché la nostra Chiesa ha bisogno di richiami vigorosi all’essenziale e necessita un ritorno al fervore ed alla passione per mostrare il volto di Cristo; sconosciuto, perché mai incontrato».
La priora racconta di coloro che depongono fiori ai piedi della croce lungo la via che porta al convento, e che pur non conoscendo il significato di quel simbolo, lo fanno «per tradizione», perché qualcun altro lo faceva prima di loro. O dell’episodio curioso della coppia di vicini hussiti che da tempo bazzicava il monastero e una mattina si sono fermati a messa facendo la comunione. «Da quando siete cattolici?» – domandano le suore che ormai li conoscono. «Ah, da stamattina…» – e iniziano un percorso di conversione. C’è anche il falegname che, dalla Moravia, per un passaparola misterioso, decide di regalare al convento tutti i mobili necessari. «La Repubblica ceca è un paese di persone cordiali e accoglienti – conclude suor Lucia, – e anche se i turisti sostengono che “sorridono poco”, sappiamo che hanno un cuore buono».

Nel 2004 la comunità fondatrice è formata da 9 suore: 3 ceche, 5 italiane e un’ungherese, ma fin da subito altre giovani abbracciano la vita monastica nella comunità, e oggi sono 24.
«Qui vengono donne – ha spiegato suor Lucia alla stampa locale – che vogliono attingere la forza proprio da questo silenzio, staccarsi da ciò che le circonda perché spinte dalla vocazione, non perché vogliono allontanarsi dal mondo. Non è una cosa fine a se stessa, è piuttosto una componente della vocazione di completa dedizione a Dio»: in questo modo si inizia a far capire che la clausura non è un disinteressarsi della vita di chi affronta tutte le difficoltà della quotidiana esistenza bensì, al contrario, un modo di essere sorelle attraverso la misteriosa forza della preghiera e dell’offerta di sé per la vita del mondo.

La giornata inizia con la sveglia delle 3.40, e alle 4 comincia la vigilia, preghiera corale che dura tre quarti d’ora. Centro della vita è la lode a Dio – si legge sulla breve presentazione online del convento, – il cui centro è la celebrazione eucaristica quotidiana. La comunità si ritrova sette volte al giorno per la liturgia delle ore, oltre alla lectio divina e alla preghiera personale. Ai momenti di preghiera possono partecipare gli eventuali ospiti. Le suore non dispongono di tv o di radio, ma seguono le notizie dalla stampa o da internet e le informazioni più importanti vengono lette in refettorio. Per sostenersi economicamente si dedicano al lavoro dei campi, allevano le api, producono biscotti, «scrivono» icone e stampano biglietti augurali. Lo stile di vita del monastero è cenobitico, nel silenzio e nella clausura, necessari per una vita di continua preghiera.
L’edificio principale del complesso è la chiesa, attorno lo scriptorium dove la comunità legge e studia, il capitolo, e il refettorio. A pianterreno si trovano anche le celle e poi ancora gli ambienti di lavoro. Parte del convento è destinata all’accoglienza degli ospiti (donne o uomini, credenti o non credenti) che intendono passare alcuni giorni in silenzio e attingere nuova forza per la vita quotidiana.

Dal gennaio 2013 la comunità è priorato e alla fine di luglio diventerà abbazia, con la possibilità di «generare» essa stessa nuove fondazioni. Nell’invito diffuso per la nomina della badessa si legge: «L’elezione si svolgerà a porte chiuse (…). Le sorelle giovani, che costituiscono la metà della comunità, rimarranno in chiesa a pregare oppure – molto più probabilmente – saranno impegnate a preparare la festa che seguirà»… È quello che madre Lucia riassumeva parlando della «concretezza dell’Incarnazione».
Non possiamo concludere queste note senza sottolineare la profonda impressione che la visita a Poličany ha prodotto nei partecipanti all’itinerario proposto dalla Biblioteca Ambrosiana e da Russia Cristiana: anche agli italiani è utile avvicinare un cammino impegnativo e radicale, eppure colmo di serenità e di letizia, come quello che abbiamo visto testimoniato sulle colline boeme.

Angelo Bonaguro

È ricercatore presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si occupa in modo particolare della storia del dissenso dei paesi centro-europei.

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