27 Maggio 2024
Andare in prigione per dei fiori
Dar’ja Kozyreva ha portato dei fiori al monumento al poeta ucraino Taras Ševčenko. Ora è una giovanissima prigioniera di coscienza russa.
Dar’ja Kozyreva, diciottenne di San Pietroburgo, è forse il prigioniero politico più giovane che si trovi oggi in Russia. Fermata dalla polizia a San Pietroburgo, lo scorso febbraio, per aver deposto dei fiori e incollato i versi di una poesia di Taras Ševčenko ai piedi della statua dedicata al poeta ucraino, la Kozyreva si trova ora in detenzione nel carcere «Arsenalka», dove rimarrà in attesa di giudizio. L’accusa che il tribunale le imputa è quella di aver diffamato e screditato l’esercito russo, e di averlo fatto ripetutamente.
L’attivismo antibellico della giovane inizia infatti qualche anno fa, quando nel dicembre 2022, ancora minorenne, imbratta con scritte contro la guerra la nuova installazione «Due cuori» montata solo qualche giorno prima nella piazza del Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo e dedicata all’amicizia tra la città russa e Marjupol’. «Assassini, l’avete bombardata! Siete dei Giuda», scrive con la vernice spray lungo i bordi dei due cuori uniti in un abbraccio che a Dar’ja sembra un’enorme menzogna.
«È come omaggiare l’amore tra la vittima e lo stupratore, è un vero bacio di Giuda… Sentivo di doverlo fare. Su questo coagulo di mostruose menzogne, doveva spuntare la verità, ed è spuntata lì», ha spiegato in una lettera dal centro di detenzione.
Si apre allora un procedimento penale, e nella prima sentenza si legge che la ragazza avrebbe causato danni all’installazione (prontamente ritirata, ripulita, e riposizionata) per un ammontare di 250.000 rubli; tuttavia, l’accusa di vandalismo ai danni di Dar’ja ancora diciassettenne non sembra avere seguito.
I mesi passano e, ormai maggiorenne, Dar’ja si iscrive all’Università statale di San Pietroburgo, optando per medicina. Lo scoppio della guerra in Ucraina fa maturare in lei il desiderio di aiutare il prossimo concretamente e, in tempo di guerra, i medici le sembrano le persone più capaci di operare il bene.
Non fa in tempo però a dare i primi esami che nel dicembre 2023 viene colpita da un provvedimento amministrativo che la multa di 30.000 rubli, e nel gennaio 2024 viene espulsa per attivismo politico. Questa volta il motivo è legato a due post pubblicati dalla ragazza su VKontakte risalenti al 4 marzo 2022 in cui criticava apertamente la legislazione sulle fake news e sulla diffamazione dell’esercito approvata e firmata d’urgenza dal governo russo a una sola settimana dall’invasione.
«Nello statuto universitario – spiega Dar’ja – c’è un punto che vieta di offendere la legislazione della Federazione russa, ma che tale legislazione offenda la Costituzione, non interessa a nessuno. Quello di espellermi è un provvedimento deciso dai vertici dello Stato, e non dal personale dell’università che mi ha contattata… In estate mi è arrivato lo screenshot dei miei messaggi con l’avviso che erano stati trasmessi alla sede centrale per la lotta all’estremismo».
Solo un mese più tardi, il 24 febbraio 2024, Dar’ja viene fermata dalla polizia e incarcerata preventivamente: ha portato dei fiori alla statua del poeta ucraino Taras Ševčenko e incollato alcuni versi della poesia Testamento, scritta dal poeta poco prima di morire nel 1845. A quel tempo, Ševčenko soffriva di una grave polmonite e, ridotto allo stremo delle forze, sentiva di essere ai suoi ultimi giorni. Le vicende della vita lo avevano portato lontano dalla sua amata Ucraina di cui aveva cantato incessantemente la liberazione dal giogo della schiavitù e dell’oppressore. Fino al testamento:
Seppellitemi, quando morrò,
In un alto tumulo
Nell’Ucraina amata
In mezzo all’immensa steppa,
Dove gli sconfinati campi,
Il Dniprò e le rive sue scoscese
Si vedano, e ascoltar si possa
Il mugghiante Dniprò ruggire.
Quando il sangue nemico
Egli avrà portato dall’Ucraina
All’azzurro mare… allora soltanto
Lascerò tutto, e campi e monti,
E volerò fino all’Altissimo
Per pregarLo… Ma prima d’allora
Io non conosco Iddio.
Seppellitemi e ribellatevi,
Spezzate le catene,
E del sangue dei nemici impuro
Irrorate la libertà.
E anche me, nella famiglia grande,
Nella famiglia libera e nuova,
Non vi scordate di ricordarmi
Con parola fraterna e mite.
Versi pregnanti, che Dar’ja in occasione del secondo anniversario della guerra vuol fare suoi, ma che il governo russo non apprezza allo stesso modo, in quanto diffamerebbero l’esercito (su di lei pesa infatti l’art. 280.3 del Codice penale): «Taras Ševčenko è il mio poeta preferito. I suoi versi semplici hanno una forza straordinaria, si preoccupava del suo popolo, che soffriva sotto la doppia oppressione della servitù della gleba e dell’impero russo».
Versi che le costano cari, procurandole appunto l’accusa di estremismo, il fermo per due giorni alla stazione di polizia e la reclusione preventiva. Inizia così, anche per lei, quell’iter penale condiviso con gli altri prigionieri di coscienza che oggi abitano le carceri russe: da Il’ja Jašin a Vladimir Kara-Murza, da Aleksej Gorinov a Oleg Orlov e Aleksandra Skočilenko. Con quest’ultima Dar’ja ha un incontro ravvicinato durante un trasferimento. «Tu quale articolo hai preso?» chiede Dar’ja ad Aleksandra, incarcerata lo scorso novembre per aver sostituito dei cartellini dei prezzi al supermercato con messaggi contro la guerra. «Dar’ja sembrava un po’ agitata, ma soprattutto molto felice. Ha detto che in questi due anni non è mai stata così serena come adesso. Conosco bene questa sensazione», confida la Skočilenko, come a testimoniare che il lavoro e l’impegno per la verità generano in sé una certa pace e una certa libertà anche tra le sbarre.
Dar’ja racconta di aver sofferto molto dopo lo scoppio della guerra e nei giorni successivi all’invasione, di non aver fatto altro che sfogliare i giornali, leggere i bollettini, e piangere.
«Le notizie sui prigionieri politici mi hanno colpito al cuore, – spiega la ragazza. Forse, se allora avessi saputo che sarei diventata una di loro, mi sarei sentita meglio». E ancora: «Già il primo giorno passato in cella di isolamento temporaneo, ho capito che la mia coscienza si sarebbe finalmente placata. Erano due anni che mi tormentava. Non sono rimasta con le mani in mano, ma tutto mi sembrava insufficiente. Mi vergognavo dolorosamente di essere al caldo e libera, mentre altri languivano in prigione per la verità. Ora sento che non ho nulla da rimproverarmi. Per la prima volta dopo due anni sono in pace. Penso a Denis, il mio amore, penso alla mia famiglia. Ma non è tutto invano».
L’associazione Memorial ha riconosciuto Dar’ja Kozyreva prigioniera di coscienza. Per questo, in carcere, la giovane è supportata dal progetto, sempre di Memorial, «Sostegno ai prigionieri politici», che prevede l’invio di lettere ai detenuti; sul sito dedicato ci sono indicazioni sui contenuti da scegliere e sulle modalità per fare arrivare la posta.
Dar’ja non solo riceve lettere, ma si dedica anche alla scrittura di diversi messaggi che i suoi sostenitori postano sul canale Telegram «Libertà a Dar’ja Kozyreva» dedicato alla sua vicenda. Proprio su questo canale, tra i molti messaggi, compaiono anche i versi di una poesia, stavolta composta in carcere dalla stessa Dar’ja: «L’amore per la Madrepatria – spiega agli amici nelle righe che la introducono – è difficile da strappare via, e nonostante tutto, io amo la mia Russia. Solo che le è successo qualcosa di terribile; in questi versi cerco di capire cosa»:
Dove sei, cara
Madre indesiderata?
Io non ti conosco,
mi sforzo di conoscerti.
Tu giaci lì ad appassire,
marcendo viva.
Presto diventerai
L’ombra di te stessa.
In un altro messaggio dalla prigione ha precisato che le sue non sono state «ragazzate» di un animo ribelle, ma qualcosa di più serio e consapevole:
«Se loro ci ordinano di chiuder la bocca, di stare zitti e buoni e tener giù la testa, vuol dire che è sacro dovere del cittadino onesto parlare. Parlare in ogni occasione, appena si offre la possibilità. Dire tutta la verità, dire tutto quello che si pensa di questo regime anche se si rischia un’ammenda o addirittura la prigione. Mi dispiace molto che tanti abbiano paura. Tra l’altro è proprio su questo che si regge la dittatura, sul muto consenso dovuto a indifferenza o paura».
A diciotto anni, con una determinazione e un impegno per la verità che non cedono di un passo alla paura, Dar’ja aspetta di conoscere gli sviluppi del suo futuro in una prigione russa:
«La prima notte – fa sapere la ragazza, – ancora in cella di isolamento temporaneo, ho calcolato, ipotizzando di prendere il massimo della pena che, comunque, quando uscirò da qui, non avrò più di 23 anni. Sarò ancora così giovane! Non ho paura di scontare questa pena. Darei la vita per le mie convinzioni se me lo chiedessero, e qui mi strappano solo qualche anno. Accetto volentieri questo calice amaro e sono orgogliosa di berlo…
Mi è difficile immaginare come potrò sentirmi se sarò rimessa in libertà davvero “troppo presto”. La gioia di essere libera, di rivedere i miei cari, sarà forse mista alla vergogna di non essere riuscita a soffrire veramente per la verità, e di vedere che quello stesso calice da cui ho avuto appena il tempo di bere un sorso, mi sia già passato oltre. Ma non aspiro nemmeno a rimanere qui. Mia madre e mio padre, la mia famiglia, mi aspettano. Mi aspetta Denis, gli manco molto. Desidero renderlo felice, standogli di nuovo vicino. So che un giorno tutto questo accadrà, e con il cuore in gola aspetto il momento in cui saremo di nuovo insieme. La felicità è sicuramente davanti a noi!».
(immagine d’apertura: telegram)
Carlotta Dorigo
Nata a Portogruaro (VE) nel 1994, nel marzo 2019 ha conseguito la laurea magistrale in Scienze filosofiche presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, discutendo una tesi sulle implicazioni etiche e religiose del pensiero politico di Robespierre.
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