21 Marzo 2024

Chiedo perdono in ginocchio agli ucraini

Roman Ivanov

Il 6 marzo 2024 il giornalista di RusNews Roman Ivanov è stato condannato a sette anni di colonia penale per aver pubblicato tre post sui crimini dell’esercito russo. Il giornalista non si è mai riconosciuto colpevole e l’Associazione Memorial lo considera detenuto politico. Presentiamo la sua ultima parola prima della condanna.

Vostro onore, non ho preparato la mia ultima parola, quindi dirò quello che penso.

Non voglio parlare e discutere del giornalismo e dei suoi problemi in Russia, perché in Russia non esiste più giornalismo. Non voglio parlare del sistema giudiziario, dei tribunali, perché anche il sistema giudiziario e la giustizia in Russia non esistono più. Non voglio parlare di politica, perché nemmeno questa esiste più in Russia.
Voglio semplicemente parlare di noi, di tutto il popolo, dei russi. Voglio dire che quel che tutti noi vogliamo è essere felici.

L’uomo è fatto in modo da sognare la felicità. Saranno felici quelli che hanno intentato questo processo contro di me, quelli che mi hanno perseguito, che mi stanno giudicando, che mi fanno la guardia? Se io sarò infelice, se la mia famiglia sarà infelice? Evidentemente no. Dovremmo chiederci perché stiamo seminando miseria e infelicità intorno a noi, e perché una valanga di miseria e infelicità ha ricoperto il nostro paese.

Lavorando come giornalista freelance nella città di Korolëv1, ho cercato di rispondere alla sofferenza umana, di reagire a qualsiasi problema, di aiutare tutti. Per me, forse, una delle conseguenze peggiori di questo processo sarà che, per molto tempo ancora, gli abitanti di Korolëv saranno privati del mio aiuto. Non potrò far conoscere i loro problemi. Non potrò dire loro la verità su ciò che sta realmente accadendo a Korolëv. Non trasmetterò più in diretta dalla sede della Commissione elettorale territoriale, in modo che la gente sappia come vengono gestiti i risultati delle elezioni a Korolëv. Questa è probabilmente la cosa più spiacevole per me.

Ho parlato di felicità, e forse il mio discorso potrà sembrare un po’ confusionario. Ma vedete, la felicità può esistere solo attorno a chi è felice. Io mi considero una persona felice perché ho degli amici, che sono sempre pronti ad aiutarmi. Ho una famiglia, che non vedo da dieci mesi. Ho una donna che amo. E sono l’uomo più felice del mondo perché ha accettato di sposarmi.
Voi cercate di rendermi infelice. E io non so a che cosa vi serva. E ovviamente mi dispiace, mi dispiace per la mia famiglia, per mia moglie. Perché avevo grandi progetti per noi, come famiglia. Volevamo avere dei figli. Mentre adesso non sappiamo cosa succederà con tutto questo.

Ero felice del mio lavoro. Felice di aiutare la gente. Avevo grandi progetti per la mia carriera. C’erano molti argomenti che volevo affrontare. Avevo un mio progetto che volevo sviluppare. Anche su questo ormai, posso tranquillamente mettere una croce.

Come ho già detto, non so perché qualcuno voglia rendermi infelice. Per me è incomprensibile. Ma sarò comunque felice. E come persona felice, diffonderò bontà e felicità intorno a me. Non porto rancore a nessuno.

Non porto rancore alle persone che hanno sfondato la porta del mio appartamento, e che l’hanno perquisito. Non serbo rancore a nessuno. Sono cose che non servono.

All’inizio ho detto che il nostro paese è stato travolto da una valanga di dolore che nessuno vuole vedere. Così come nessuno vuole vedere che questo dolore si è abbattuto su di me. A tutti sembra che sia assolutamente normale che persone che non hanno fatto nulla di male si trovino in una gabbia. Ed è terribile che questa disgrazia si stia diffondendo al di fuori del nostro paese. Che altra gente stia soffrendo a causa nostra.

Con la moglie Marija Nekrasova. (Telegram)

Fin dall’inizio ho parlato della natura criminale, del carattere criminale dell’«operazione militare speciale». Fin dall’inizio ho detto alla gente che avrebbe portato solo miseria e dolore. Che non ne sarebbe venuta nessuna felicità.
Tutti hanno letto da bambini L’uccellino azzurro di Maeterlinck. Il tema è la ricerca della felicità. Si tratta di prendere quell’uccellino tra le mani. E il momento più spaventoso del libro è quando Tyltyl cerca l’uccellino azzurro nel palazzo della Regina della Notte. Deve aprire la porta della grotta dentro la quale si trova la Guerra. Non ha mai visto nulla di più orribile in vita sua, tanto che gli è bastato anche soltanto aprirla per un secondo e poi richiuderla subito. Ecco, oggi quella porta non è più solo socchiusa, è spalancata.

Se io sarò infelice e la mia famiglia sarà infelice, prima o poi questo destino toccherà a tutti. In una situazione come questa l’infelicità si diffonde come una valanga.

Per concludere, vorrei raccontare una storia personale che mi è rimasta nel cuore, nell’anima.

Io e mia moglie siamo andati in Ucraina nell’estate del 2018; semplicemente, ho preso la macchina e siamo andati in vacanza nella regione di Odessa. Era il 2018, e tutti mi dicevano che non potevamo andarci, che avrebbero visto che eravamo russi, che ci avrebbero ucciso. A noi non è successo nulla del genere. Abbiamo attraversato tutta la regione di Odessa, scendendo lungo la costa fino al confine con la Romania. Abbiamo viaggiato con la tenda, fermandoci un po’ dappertutto, dove si fermano i normali turisti.
Abbiamo incontrato molti ucraini provenienti da diverse città. C’era persino una tenda con la bandiera nazionale, come una specie di ostentata presentazione, a volte si trova gente così. E anche queste persone non ci hanno detto nulla. Non si sono lamentati, anche se la guerra era già in corso. Era in corso a Doneck e a Lugansk. Tutti erano felici di vederci, abbiamo parlato con tutti in maniera stupenda, tranquilla. Perché non eravamo andati lì su un carro armato. E non eravamo andati con il diritto del più forte.

Sono rimasto molto sorpreso nel vedere che in Ucraina non c’era quasi nessun russo. In estate, il Mar Nero è magnifico e la gente ci viene in vacanza, sono posti da fiaba. Vengono a farci le loro vacanze ucraini, polacchi, baltici, moldavi della Transnistria. Ma quasi nessun russo. Poi a un certo punto hanno guardato un po’ sorpresi il numero di targa della nostra auto: e hanno visto che era una targa di Mosca.
Mi si è spezzato il cuore quando ho capito che i nostri popoli erano stati fatti a pezzi, che questo potere criminale aveva fatto a pezzi persone così vicine a noi.

(Telegram)

Ma poi è successo l’episodio più importante.
Eravamo a Lebedevka, un luogo molto popolare per chiunque vada a far vacanza in tenda al mare in Ucraina. C’era una famiglia della periferia di Kiev, di Belaja Cerkov’. Genitori e figli. Un bambino sui nove anni e una bambina un po’ più piccola. Siamo diventati amici e abbiamo giocato insieme con dei giochi da tavolo, e si era molto allegri. Ma ho notato che i bambini erano un po’ tesi. E mi sembrava molto strano.
Poi, a un certo punto, è successo qualcosa di sconvolgente. Il ragazzino ha iniziato a chiedere se venivamo davvero dalla Russia. Gli abbiamo risposto che sì, venivamo dalla Russia. E lui ci ha chiesto se venivamo davvero da Mosca. Gli ho spiegato che venivamo dalla città di Korolëv, non proprio Mosca, ma lì vicino. È rimasto un po’ in silenzio e poi mi ha chiesto, molto seriamente, senza scherzare: «E non ci ucciderete?». Dire che sono rimasto scioccato è dire niente. Ero sconvolto da quello che stava accadendo e da quello che poteva accadere ancora.

Ne ho parlato con i suoi genitori e poi ho chiesto loro perché era successa una cosa simile, perché i bambini ci dicessero queste cose. Il padre ha risposto che era per la guerra nel Donbass, perché a scuola era stato detto loro che la Russia era nemica dell’Ucraina e che aveva piani di aggressione.
Ho chiesto loro di spiegare ai bambini che i russi comuni, i semplici russi non volevano fare niente di male agli ucraini, che si trattava di un problema dei vertici russi.

Sono già passati diversi anni e oggi, nel 2024, penso con orrore di aver ingannato questi bambini, dicendo loro di non avere paura, che non sarebbe successo nulla, che non li avremmo uccisi.

Purtroppo li stiamo uccidendo. Non so cosa sia successo a questa famiglia, perché i missili hanno colpito anche Belaja Cerkov’. Ma li ricordo ancora. E penso che quando ci incontreremo di nuovo, sarà molto difficile per me parlare con loro come ho fatto allora.

Ho pubblicato il mio primo post sulla situazione a Buča2 perché i russi si rendessero conto dell’orrore della guerra. Che non porta altro se non paura, dolore, lutto, distruzioni e lutti. Nel paese a noi vicino, ma anche nel nostro. Migliaia di famiglie hanno perso i loro cari: padri, figli, nipoti che non sono tornati dal fronte. E altre famiglie attendono con orrore l’arrivo di una notifica di morte.

Dobbiamo renderci conto che tutto quello che è successo è colpa nostra. Riconosco che in tutto quello che è successo c’è anche una mia parte di colpa. Come cittadino russo che ha permesso che ciò accadesse, che ha permesso alle autorità russe di prendere decisioni così catastrofiche.

Come giornalista che non è riuscito a raggiungere la società e a spiegare che la legge del più forte risale al Medioevo, che stiamo vivendo nel XXI secolo e che è semplicemente mostruoso e meschino compiacersi di queste passioni da cavernicoli.

Cosa possiamo fare in questa situazione? Sinceramente non lo so. Ma vorrei chiedere perdono a tutti i cittadini ucraini, ai quali il nostro paese ha portato disgrazia, a tutti quelli che sono stati privati dei genitori, di persone care e di amici che non torneranno mai più.

Chiedo perdono non a nome del mio paese, ma a nome mio, personale, come il cittadino della Federazione russa Roman Viktorovič Ivanov. Voglio inginocchiarmi davanti ai parenti di coloro che sono stati uccisi a Buča. Perché anche se non so chi li ha uccisi, la loro morte è la conseguenza di quello che ha fatto il nostro paese. Grazie.

Roman Ivanov

Roman Ivanov (1973) è originario della regione di Mosca. Sposato, è giornalista di RusNews e autore di blog e canali Telegram. Il 6 marzo 2024 viene condannato a sette anni di colonia penale per aver pubblicato tre post sui crimini dell’esercito russo.

 

 

 

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