20 Luglio 2021

«Enzo Boletti. Dall’inferno sovietico al miracolo economico»

Delfina Boero

L’avventurosa biografia di Enzo Boletti, ultimo reduce italiano liberato dalla prigionia in URSS. Arruolatosi negli alpini «per costruire la storia», finì prigioniero dei nazisti da cui riuscì a fuggire e si unì all’esercito clandestino polacco. Catturato dai sovietici, passò da un lager all’altro prima di essere liberato grazie all’intervento della Croce Rossa.

Enzo BolettiFra i prigionieri italiani del campo sovietico di Suzdal’, Eugenio Corti nel romanzo Il cavallo rosso ricorda un gruppo di «irriducibili» inviati per punizione in un altro lager a regime più duro. Fra questi, il celebre cappellano militare padre Brevi e l’alpino Enzo Boletti, ultimo reduce italiano a essere liberato dalla prigionia in URSS dopo la seconda guerra mondiale. Questo volume è la prima biografia di Boletti, romanzata ma basata su fatti storici e documenti come memorie, corrispondenza, l’archivio di famiglia, testimonianze di chi lo ha conosciuto da vicino, articoli dalla stampa dell’epoca.

Nato nel 1919 da una famiglia liberale e antifascista della borghesia bresciana, l’adolescente Enzo è invece infatuato di Mussolini, l’unico – secondo lui – in grado di fare grande l’Italia. Non l’ideologia fascista in sé ma l’aspirazione a costruire in prima persona la Storia, spinge Enzo ad arruolarsi volontario pur potendo evitarlo, visto che ha già due fratelli sotto le armi. Contro la volontà dei genitori e della fidanzata, Boletti entra poco più che ventenne nel corpo degli alpini. Qui trova l’ambiente adatto a smussare le asperità del suo carattere e a valorizzare la sua generosità e il suo talento per i rapporti umani. Da soldato semplice viene presto promosso a tenente. Suo malgrado perché, piuttosto che frequentare i corsi per ufficiali, Enzo preferirebbe combattere al fronte in prima linea. L’occasione arriva quando viene destinato alla campagna di Jugoslavia. Qui Boletti si distingue per coraggio e abilità, ma inizia anche a intravedere che nella distruzione e nella morte violenta di tanti militari e civili non c’è nulla di glorioso, e la sua salda fede nel duce mostra le prime crepe.

Tornato in Italia, viene dislocato al Brennero. L’armistizio dell’8 settembre 1943 e la proclamazione della Repubblica di Salò controllata militarmente dalla Germania nazista, danno il colpo di grazia alle sue illusioni; sul finire della vita scriverà:

«Fu uno sconcerto deprimente fino allo smarrimento, ma divenne nel contempo, per ognuno di noi, anche il momento della scelta fra l’acquiescenza a dissennate ideologie … o la fedeltà ai giuramenti fatti e ai valori umani del vivere sociale».

Arrestati dalle truppe del Terzo Reich, Boletti e i suoi commilitoni sono costretti a scegliere se unirsi ad esse, come li invita a fare Mussolini in un messaggio registrato, o finire in campo di concentramento come delinquenti comuni. Enzo e molti suoi compagni optano per la seconda alternativa, e per loro inizia una via crucis da un campo di prigionia all’altro, in cui vedono morire di malattie e di stenti molti amici. Ma ci sono anche spiragli di luce, come l’incontro con Giuseppe Lazzati, anch’egli prigioniero, e la partecipazione agli incontri di preghiera e riflessione da lui proposti: «In quel tempo però io non avevo certo la serenità di un uomo come Lazzati, e tanto meno la forza che a lui veniva dalla preghiera e dalla comunione profonda con lo Spirito. Sentivo in me più forte la rabbia contro ogni volontà di svilire la nostra dignità», scriverà nel 1990 in una lettera all’amico Magni. Perciò nel 1944, durante un trasferimento, Enzo e altri due alpini riescono a buttarsi dal vagone bestiame, e si trovano catapultati in terra polacca. Qui si uniscono all’esercito clandestino in lotta per la liberazione della Polonia dai tedeschi:

“Fu un anno durissimo di sacrifici indicibili, ma anche di fede profonda nei valori della patria e della civiltà, di speranza incrollabile nella libertà di una nazione e di un paese feriti a morte da una guerra assurda”.

Boletti diventa così un eroe della resistenza polacca con il nome di battaglia di Czarny, il Nero, per il colore dei capelli.

L’alpino non sfugge all’attenzione dei servizi segreti dell’URSS, il cui esercito avanza vittorioso verso Ovest. Formalmente alleati della resistenza polacca, i sovietici cercano in realtà di eliminare il governo clandestino polacco con sede a Londra per inglobare più facilmente la Polonia nella loro sfera di influenza. Con un tranello attirano Boletti in territorio sovietico e tentano dapprima «con le buone» di carpirgli i nomi dei capi dell’esercito patriota polacco e della sua rete segreta di agenti operativi, infiltrati sia nell’esercito tedesco che in quello sovietico, ma anche quelli dei referenti della resistenza polacca a Londra.

Boletti rifiuta di parlare e viene dapprima portato alla Lubjanka in cella di isolamento, dove trascorre un anno e mezzo. Interrogatori estenuanti, torture e percosse lo riducono in fin di vita. Processato in base all’articolo 58 per «spionaggio, terrore, propaganda sovversiva e organizzazione armata», è condannato a otto anni di lavori forzati nel lager di Vorkuta, oltre il Circolo polare, dove partecipa alla rivolta dei detenuti del 1947. Sempre a causa dei maltrattamenti subiti viene ricoverato, di nuovo in fin di vita, nell’infermeria di un lager di transito.

Nel dicembre 1950 con l’aiuto della Croce Rossa, riesce a spedire dal lager una cartolina al padre. La famiglia, che aveva perso le speranze di rivederlo, si mobilita per sollecitare il suo ritorno in patria. Di lì a poco, transitando per Kiev, Mosca e Suzdal’, Boletti viene trasferito al lager di Stalino e poi al penitenziario di Čeljabinsk, negli Urali, dove trascorre in isolamento il resto della pena. Da ultimo il confino a Noril’sk, oltre lo Enisej, sino alla liberazione, alla fine del 1954.


 L’arrivo di Boletti a Brescia in un filmato dell’Istituto Luce (dicembre 1954).

Nonostante l’accoglienza calorosa e l’attenzione dei media, emerge ben presto la fatica del reinserimento nella società. In condizioni di salute precarie, senza un lavoro né una laurea, Enzo si trova catapultato in un’Italia per lui del tutto nuova. Ma la sua è anche «una storia d’amore»: la fidanzata Ines Marini, divenuta nel frattempo medico e studiosa della radioattività nella cura dei tumori, lo ha atteso tutti questi anni. Dopo il matrimonio, è soprattutto grazie alla moglie, che ha sempre creduto nel suo valore, che Enzo ricomincia a combattere, dedicandosi alla riorganizzazione aziendale e alla consulenza alle imprese, aiuta la città in cui si è stabilito, Castiglione delle Stiviere, e il territorio circostante a uscire dalla depressione economica e dalla crisi occupazionale. Entra in politica nelle liste della DC, ma ci tiene a presentarsi come indipendente. Chi lo vota, fa riferimento non al partito ma alla sua umanità, e Boletti sarà per molti anni sindaco di Castiglione.

Ma l’alpino non dimentica il suo passato, soprattutto il suo debito verso la Croce Rossa. Per gratitudine, nel 1959 fonda il primo Museo internazionale della Croce Rossa. Solferino non è lontana da Castiglione delle Stiviere dove, il giorno dopo la famosa battaglia, Henry Dunant, colpito dalla «compassione fraterna» delle donne del posto verso i soldati feriti al di là dell’appartenenza nazionale, fondò appunto questa istituzione. Boletti sarà presidente del Museo, e nel 1997 otterrà il massimo riconoscimento della Croce Rossa, la medaglia «Henry Dunant», unico italiano a riceverla.

Quando il 22 giugno 1991 san Giovanni Paolo II visita Castiglione delle Stiviere per il quarto centenario aloisiano, entrato nel duomo si avvicina al primo banco, dove è seduto Boletti, gli stringe la mano e gli dice in polacco: «Corvo Nero, i miei compatrioti la ricordano oggi con l’affetto e la gratitudine di allora». Enzo Boletti muore il 19 maggio 2005.

Questo volume aggiunge un importante tassello al lavoro della memoria, e potrebbe essere il punto di partenza per ricerche storiche più ampie. Non si tratta di una biografia asettica, ma nasce dalla frequentazione dell’autore Manlio Paganella con Boletti e la sua famiglia. Del romanzo ha tutti i vantaggi, perché rende il protagonista una figura viva, ma anche gli svantaggi: alcuni preziosi spunti rischiano di andare persi all’interno di una struttura narrativa che si sofferma su descrizioni molto particolareggiate.

Il suo pregio è comunque quello di offrire l’esempio di un uomo che è sempre stato soggetto attivo, accettando gli avvenimenti senza mai subirli, in un lungo percorso dall’ideologia alla realtà.

Il particolare carattere di Boletti, forgiato dalle esperienze drammatiche vissute, lo porta a pensare in una prospettiva eterna, e a gustare appieno delle gioie del presente, pur nella constatazione dei limiti propri e altrui. Il segreto di questa vita intensa si può intuire da un altro passo della sua lettera del 1990, già citata: «Solo più tardi, dopo lunghe vicissitudini e nella solitudine di una cella che sembrava avermi isolato per sempre dal mondo ho conosciuto i valori dello spirito e la vera natura dell’uomo; ho potuto liberare la mente da ogni ingombro del passato e ho scoperto così gli immensi tesori che sono in ognuno di noi, spesso nascosti dalla pochezza del nostro egoismo. E ora, alla fine del cammino, sento in me la gioia serena della vita, e sembra che nella stanchezza del corpo anche il dolore sia diventato la dolce colorazione di un meraviglioso tramonto, felice presagio dello splendore di domani».

Manlio Paganella
Enzo Boletti. Dall’inferno sovietico al miracolo economico
Edizioni Ares, Milano 2021, € 24,00

Delfina Boero

È ricercatrice presso la Fondazione Russia Cristiana. Fra i suoi interessi, la storia e la cultura della Repubblica Democratica Tedesca, la vita religiosa e culturale in URSS, nella Federazione Russa e nelle ex Repubbliche sovietiche.

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