3 Dicembre 2021

Aleksievič: guardiamo in faccia il dramma in corso

Redazione

Quattro donne, premi Nobel per la letteratura, hanno inviato un appello ai vertici della UE in difesa dei migranti e del popolo bielorusso: un forte richiamo alla coscienza degli europei. Tra loro Svetlana Aleksievič, che ha spiegato a una giornalista come vede la situazione.

Il 9 novembre 2021 il «Frankfurter Allgemeine» ha pubblicato l’appello di quattro scrittrici Nobel per la letteratura al presidente del Consiglio d’Europa e al Parlamento europeo. Sono la bielorussa Svetlana Aleksievič, l’austriaca Elfriede Jelinek, la rumena di lingua tedesca Herta Müller e la polacca Olga Tokarczuk, che hanno chiesto aiuto per i profughi del Medio Oriente bloccati al confine fra Bielorussia e Polonia.


L’appello

«Il governo polacco ha imposto lo stato di emergenza nella striscia di confine tra Polonia e Bielorussia, in base al quale viene impedito a medici e paramedici di aiutare i malati e i moribondi nella zona di confine e ai media di assistere alla tragedia che vi si sta svolgendo. Tuttavia, anche le informazioni incomplete e frammentarie danno un’idea dell’enorme portata della catastrofe umanitaria che si sta verificando ai confini dell’Unione Europea. Sappiamo che in quei territori paludosi la gente è sottoposta alla spietata procedura dei respingimenti ed esposta alla fame, all’esaurimento e all’ipotermia.

Le agenzie viaggio bielorusse controllate dal regime di Lukašenko promettono a questi disperati che potranno entrare nel territorio dell’UE dietro pagamento di grosse somme. Le persone attirate a Minsk in questo modo vengono portate, tramite trasporti organizzati, nei boschi lungo il confine. Da lì vengono spinte con la forza verso la Polonia, e le guardie di frontiera polacche le respingono con la forza in Bielorussia. Nei casi peggiori queste vicende hanno esito mortale. Di alcune vittime conosciamo il nome, altri muoiono restando senza nome.

Come cittadine e abitanti dell’UE, ci rivolgiamo ai rappresentanti democraticamente eletti dell’Europa affinché non distolgano lo sguardo da questa tragedia!

Dobbiamo renderci conto che in questa guerra ibrida le persone sono usate come ostaggi. Queste pratiche diaboliche passeranno alla storia come esempi della nuova barbarie. Nel corso della storia d’Europa ci siamo permessi troppe volte di ignorare certe cose. Abbiamo chiuso gli occhi. Ci siamo tappati le orecchie. Abbiamo taciuto. Le esperienze del XX secolo ci hanno mostrato chiaramente che c’è un sapere che è scomodo e tormentoso. La maggior parte delle persone lo ha rifiutato, per proteggere il proprio benessere.
Oggi, questa situazione si sta ripetendo.

Per noi l’Unione Europea è prima di tutto una comunità morale sovranazionale, basata sulle regole della solidarietà fra persone. Questo ci dà il diritto di esortare a prendere una posizione chiara. Comprendiamo che non è facile far fronte ad un assalto ai confini dell’Europa. Tuttavia, ciò che permettiamo accada lungo questi confini non corrisponde ai nostri valori europei fondamentali.

Ci appelliamo a voi perché questa crisi umanitaria venga risolta nel modo più rapido ed efficace possibile, perché vengano rispettate le risoluzioni della Convenzione di Ginevra sui rifugiati e, in particolare, perché sia garantito l’accesso alla procedura di asilo a tutti coloro che lo richiedono e che vengono trattenuti al confine orientale dell’Unione Europea.

Chiediamo un’iniziativa diplomatica di ampio respiro nei paesi del Medio Oriente per contrastare la narrazione fuorviante del regime bielorusso, che mira a portare il maggior numero possibile di profughi disperati al confine polacco-bielorusso per esasperare e destabilizzare la situazione politica in Polonia e in tutta l’Unione Europea.
Soprattutto chiediamo che le organizzazioni umanitarie che potrebbero fornire assistenza medica e legale siano ammesse nella zona di confine.
Chiediamo che ai giornalisti e ai media accreditati sia permesso di accedere all’area dello stato di emergenza. Questo è essenziale per fornire informazioni complete e veritiere all’opinione pubblica.

Ci sentiamo dolorosamente smarrite: conoscere significa essere coscienti del male che sta accadendo. Al conoscere dovrebbe seguire il fare».


Aleksievič: guardiamo in faccia il dramma in corso

(Caritas)

Dopo la loro iniziativa, che richiama l’attenzione di tutti su quanto avviene in Europa, una giornalista russa di tvrain.ru ha chiesto a Svetlana Akeksievič come vede il futuro del movimento di protesta in Bielorussia, e cosa pensa dell’Europa e della Russia.   

Prima di tutto, ci può raccontare cosa l’ha spinta a scrivere e a firmare questa lettera?
Probabilmente la disperazione. Vedere quello che sta accadendo giorno dopo giorno. Anche se non vivo in Bielorussia, in sostanza è come se ci vivessi. Ogni mattina comincio la giornata leggendo cosa sta succedendo al confine, ed è intollerabile. Un bambino è morto, il cadavere di un uomo è stato ritrovato in uno stagno. E ad un tratto ho cominciato a capire che quanto sta accadendo in Bielorussia è la goccia che fa traboccare il vaso. Ormai ci siamo abituati a queste cose, continuiamo a vivere come se niente fosse… Proprio per questo abbiamo pensato che dovevamo dire qualcosa, che sarebbe stato molto disonesto tacere.

E i vostri destinatari vi hanno risposto?
Sì, dal Parlamento europeo ci hanno già risposto. …

Quindi, se vi hanno risposto, significa che intendono prendere dei provvedimenti…
Non so, forse…  Al momento nessuno sa che decisione prendere, tutti chiedono: «Cosa possiamo fare? Voi cosa proponete? Come comportarsi con la Bielorussia e con Lukašenko? Cosa si può fare proprio ora, in questa situazione?». È un momento di grande pericolo, la gente al confine spara. Certo, spara in aria, ma presto spareranno l’uno contro l’altro.

In questa lettera parlate non solo delle responsabilità di Lukašenko, ma anche di quelle della parte polacca. La quale, dal canto suo, afferma che le persone ammassate al confine sono dei clandestini senza documenti, e che è impossibile accoglierli tutti. E se tra loro ci fossero degli elementi pericolosi? In questa situazione come fa la parte polacca ad assumere una posizione giusta?
Lei sa che queste persone sono degli ostaggi, che sono state ingannate, molte di loro hanno venduto le proprie case, gli ultimi oggetti preziosi della dote nuziale. È stato detto loro che qui avrebbero potuto cominciare tranquillamente una nuova vita… In molti posti la vita è durissima, la terra si è trasformata in una specie di caravanserraglio. Anche i polacchi, la Polonia hanno le loro ragioni: capiscono che se apriranno le porte non riusciranno più a richiuderle, che continueranno a decollare sempre nuovi aerei che porteranno sempre più persone. Ma sappiamo anche che fino a poco tempo fa la Polonia non ha accolto nemmeno un profugo. Non sono parole mie, ma della polacca Olga Tokarczuk, secondo la quale questa è per i polacchi l’occasione per riscattarsi, per redimersi da come si sono comportati allora.

Aleksievič: guardiamo in faccia il dramma in corso

Immigrati a Minsk. (svaboda.org)

Certo, anch’io concordo pienamente che si può trovare un modo per non isolarsi con un muro, con il filo spinato. È mostruoso…
Ma è altrettanto mostruoso che oggi tutta Minsk si sia trasformata nella capitale dell’Iraq: ci sono immigrati dappertutto, tutti i parchi sono pieni di tende dove vivono migliaia e migliaia di persone. Di fatto è come una trappola: è aperta, tutti ci entrano e ne arriveranno sempre più. Cosa si può fare? È necessario uno sforzo di tutta la diplomazia mondiale, o per lo meno di questa regione, della diplomazia europea, per fare pressione in qualche modo su Putin e su Lukašenko e costringerli a comportarsi da persone civili: dopotutto siamo nel XXI secolo, perché tutta questa barbarie?

Tutte le nostre prigioni sono piene zeppe di persone che vengono picchiate, i figli vengono tolti ai genitori. Non dimenticherò mai un fatto che mi hanno raccontato di recente e che metterò nel mio nuovo libro. Una bambina è uscita di casa per andare a scuola e quando è rientrata non c’erano più né mamma, né papà. E ha scritto di nascosto sul diario alla sua maestra: «Io mi impicco, vogliono mettermi in un orfanotrofio». Capisce cosa vuol dire sentire giorno dopo giorno delle informazioni così assolutamente disumane?

Sta parlando della situazione a Minsk?
Sì, se poi aggiungiamo quanto sta accadendo al confine, si vede che è un parto delle fantasie di Minsk, delle fantasie di Lukašenko. L’Europa è rimasta in silenzio, la Russia è rimasta in silenzio, anzi, ha difeso Lukašenko in ciò che sta facendo, in questa barbarie. E lui ha mostrato di cosa è capace.

Vorrei che parlassimo di cosa sta provando a quasi un anno e mezzo dalle proteste di Minsk, eccezionali, grandiose e senza precedenti. Lei faceva parte del Consiglio di coordinamento dell’opposizione bielorussa. Quali sentimenti prova ora, che forse questi avvenimenti si possono valutare a mente fredda? Delusione, rabbia, rancore, dolore?
Innanzitutto sono molto fiera della nostra gente, soprattutto dei giovani. Sto scrivendo un libro su di loro. Molti vengono condannati a sei, sette, dieci anni di campo di lavoro, eppure si osserva una certa parvenza di legalità, e al processo si concede loro l’ultima parola. Se sapesse che splendide parole pronunciano, che persone stupende sono. Sono persone nuove! Li arrestano all’ultimo anno di università, e loro vanno in tribunale e dicono queste cose, se solo vedesse i loro volti!

Penso che noi, del precedente Comitato di coordinamento, oggi veniamo accusati di aver voluto manifestare con i fiori e i palloncini, ma non è con i fiori e i palloncini che si prende il potere e si rovesciano i dittatori. Sarà anche vero. Ma ci sembrava che nel XXI secolo avrebbero dovuto esserci ormai altre forme di resistenza, non come quando nel 2017 avevano occupato la posta e il telegrafo. Ci sembrava che saremmo riusciti a tirar fuori dalla gente un altro tipo di energia. E questa energia c’era veramente: io c’ero fra la gente che partecipava ai cortei. Non andavano a incendiare, a far saltare qualcosa. C’era un clima di festa. Eravamo in tanti, eravamo insieme.

Sa, sentivo di voler vivere in questo paese quando guardavo quei volti, quelle persone. Voglio dirle che sì, ora non scendiamo più in piazza, ma tutto quello che è successo ci è rimasto nella testa, nella memoria, nonostante il trauma crudele che il dittatore ha inflitto al suo popolo, quando lo ha picchiato, quando, secondo lui, lo ha messo in ginocchio.

Eppure non riesce a darsi pace perché si accorge che la gente tace, sì, ma comunque pensa. Su questo lui non ha più alcun diritto, non ha potere di fare alcunché. Lo penso, l’ho detto e lo ripeto: quest’anno, in questi mesi, in questi giorni mi sono innamorata del mio popolo.

Aleksievič Minsk manifestazioni

(O. Shnarkevich, unsplash.com).

E tuttavia, considerando lo stato attuale delle cose, lei pensa che qualcuno abbia fatto qualcosa di sbagliato nell’estate del 2020? Non mi aspetto un giudizio sugli errori o sulla delusione, ma forse lei, valutando i passi fatti allora dal Consiglio di coordinamento e, in generale, dai capi dell’opposizione, vede o no qualcosa che si sarebbe potuto o dovuto evitare?
Non so. Ci accusano perché, quando è sceso in piazza mezzo milione di persone, non siamo andati a protestare davanti al palazzo presidenziale. Ricordo che Marija Kolesnikova ha detto che non ci si poteva più spingere oltre, così la pensavamo. Avevamo molta paura che cominciasse a scorrere il sangue: no, non avrei voluto essere uno di quei capi che aizza la gente a spargere sangue. Tutti dicono: «C’erano tantissime donne. E allora?». Abbiamo proposto nuove forme di resistenza incruenta, perché non vogliamo che ogni vittoria sia pagata con il sangue, come nelle opere di Nekrasov, dove scorre sangue dappertutto. Volevamo che questo non accadesse e non è accaduto.

Non so, forse adesso arriveranno persone diverse da noi, probabilmente arriveranno, perché è proprio Lukašenko che sta rendendo il suo popolo più accanitamente rivoluzionario di quanto non lo fosse in agosto. Ora la gente non scenderà più in piazza con fiori e palloncini.

Pensa che scenderanno ancora?
Penso di sì. E temo che ci sarà una guerra civile. Già ora è in atto una sorta di guerra fredda. In che senso? Ieri nel mio libro ho inserito questo episodio: una donna, vedendo che sotto la sua finestra stava passando un corteo, stavano sfilando delle persone, lei, anziana, ha trascinato sul balcone una tinozza piena di acqua bollente e l’ha versata sulla gente che passava. Capisce che odio si è scatenato contro questa vita nuova, diversa? Questa è la società, oggi non c’è una Bielorussia sola.

Ma cos’è oggi il regime bielorusso? È una cosa solida, che ha afferrato nella sua morsa tutta la società civile? È un’entità che mette dentro chi scrive commenti sui social, che distrugge tutto ciò che di libero trova sulla sua strada? È stabile o può crollare da un momento all’altro?
Sì, potrebbe verificarsi quello a cui abbiamo assistito più volte, ad esempio con Ceaușescu e con altri. Penso che non possa durare a lungo una cosa che rema contro il progresso; non è possibile. Al contrario, mi è capitato di parlare con dei tredicenni, letteralmente dei bambini che sono già dei rivoluzionari, e a farli diventare così è stata proprio la situazione attuale. Non si può remare contro il tempo.

Lei ha scritto una lettera in difesa dei profughi iracheni e siriani, ma pare che oggi sia la maggior parte della società bielorussa, la maggior parte dei bielorussi ad aver bisogno di protezione. Si può aiutarli in qualche modo coinvolgendo quelle stesse istituzioni europee e di tutto il mondo occidentale o, più concretamente, i leader, i parlamentari, i politici europei?
Penso di sì, ed è quello che speriamo. Mi sembra che proprio le vicende del volo Ryanair [fatto dirottare dal regime bielorusso per arrestare l’oppositore Protasevič] e quanto sta accadendo con i migranti al confine costringeranno l’Europa a capire che questo non è solo un problema della Bielorussia. Sta diventando un problema dell’Europa e sta minando la pace e la stabilità dell’Europa.

Francamente mi sembra che l’Europa, nonostante mostri spesso indignazione e preoccupazione per ciò che sta accadendo sia in Russia che in Bielorussia, non stia facendo dei passi che possano cambiare veramente la situazione.
Sa, l’Europa interverrebbe con più forza e noi stessi forse riusciremmo a cambiare le cose se Putin non sostenesse così fattivamente Lukašenko. È proprio questa simbiosi fra Lukašenko e Putin a rendere l’Europa così cauta.

Ma ora Lukašenko è con le spalle al muro, non può più barcamenarsi cercando di blandire con una mano l’Unione Europea e con l’altra Putin. Adesso non ha alternative.
Non penso. Continuerà a prendere tempo e ad imbrogliare. Vedremo: adesso si parla del referendum costituzionale annunciato da Lukašenko, ma dubito che si svolgerà.

…Capisce, è incredibile ma siamo disarmati contro questo male totale, perché è un male senza regole. Il male entro certi limiti esiste anche in tempo di pace, ma in questo caso è totalmente senza regole.

Una volta ho dialogato con Soros, e lui mi ha detto che vincerò la partita con Lukašenko. Io gli ho risposto: «Come si fa a vincere la partita con una persona del genere? Posso mettermi alla scacchiera, meditare le mosse, ma lui la rovescerà con un calcio. Punto e basta». Provi lei a vincere la partita con una bestia feroce: come può vincere contro questa logica ferina?

bielorussia manifestazioni

(O. Shnarkevich, unsplash.com).

Secondo lei, osservando dall’esterno la situazione nei due paesi, Putin ha preso le distanze da Lukašenko in fatto di diritti civili, libertà e democrazia?
Penso che in generale stiano diventando sempre più simili l’uno all’altro, e che questa unione stia diventando piuttosto pericolosa. Prima noi, ex-democratici, nutrivamo qualche ingenua speranza nei democratici russi. Ricordo che quando ho scritto Tempo di seconda mano e viaggiavo per la Russia, chiedevo ai miei amici che abitavano là cosa diceva la gente, e loro mi rispondevano: «È molto semplice, ormai è un processo irreversibile. Voi siete dei contadini che non se la sanno cavare, ma da noi non si tornerà indietro». Si è visto che la democrazia, se mai ne abbiamo avuta una in Russia e in Bielorussia, è una creatura così fragile che è molto facile ingabbiarla di nuovo e tirarla fuori solo all’occorrenza, quando arriva gente dall’Europa.

Alla fine hanno deciso che era meglio e più facile liberarsi di lei. Quando pensa che riuscirà a tornare a casa? Lei, il premio Nobel Svetlana Aleksievič.
È una domanda dolorosa. Vorrei tanto tornare. Già mezzo milione di persone se ne sono andate, e la maggior parte di loro vuole tornare a casa, non cerca una vita migliore in un altro paese, vorrebbe fare una vita buona e dignitosa a casa propria. È ciò che provo anch’io. Sono fiera di quelli che sono rimasti e che comunque stanno vivendo con dignità questo momento. Per me sarebbe difficile riuscire a tornare, perché sono troppo conosciuta.

Secondo lei, Marija Kolesnikova potrebbe in futuro diventare presidente della Bielorussia o ricoprire qualche altra carica di questo tipo?
Penso di sì. Sarei contenta se fossero delle donne a ricoprire cariche importanti, ma non subito, se cambieranno i tempi. …Altra questione è che oggi secondo me i bielorussi non vogliono un presidente ma una repubblica parlamentare. I bielorussi sono così spaventati da quello che hanno vissuto in questi ventisei anni, che difficilmente avremo un nuovo presidente: vogliono una repubblica parlamentare.

Lei ha detto spesso che difficilmente Lukašenko potrebbe avere la posizione che ha, di barbaro e dittatore, senza Vladimir Putin. Lei pensa che siano amici, che si comprendano sinceramente, che siano simili, che siano partner? Chi sono l’uno per l’altro, e come vede i loro rapporti?
Sono due freddi politici e al momento attuale hanno bisogno l’uno dell’altro, ognuno per i propri fini politici. Dubito che a Putin piaccia Lukašenko e che possano sedersi a discorrere di qualcosa che non sia quali e quante persone hanno messo e metteranno in galera. Non riesco a immaginarmi che possano discorrere umanamente tra loro.

Ricordo che a uno dei nostri candidati alla presidenza, Babariko, proprio davanti alla prigione in cui Lukašenko lo ha fatto rinchiudere quando si è accorto che la gente avrebbe eletto proprio lui, hanno chiesto: «Cosa chiederebbe a Lukašenko perché capiamo che uomo è?». Lui ha risposto: «Gli chiederei: ma tu ami qualcuno?». Capisce? Queste sono domande umane. Mentre Lukašenko è una persona che viene da un altro pianeta, ha un’altra concezione della vita. Questi discorsi con lui non si possono fare. Penso che perfino con Putin si potrebbero fare, ma non con lui. La sua anima, i suoi pensieri stanno su un altro piano, completamente diverso.

Nel senso che si è abbrutito? O è sempre stato così?
No, sa, la dittatura è una forma primitiva, un regime primitivo, e anche le persone che ne sono a capo lo sono… Ricorda L’autunno del patriarca di Marquez? A capo della Russia e della Bielorussia oggi ci sono persone che negli anni ’90 non avrebbero potuto aprir bocca. C’era da vergognarsi a dire certe cose, invece adesso è normale, ormai è la filosofia dello Stato di oggi. Come è potuto succedere?

 

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