15 Luglio 2016

Storia di dentisti e di taxi

Tat'jana Krasnova

Docente presso la facoltà di Giornalismo dell’Università Statale di Mosca Lomonosov, coordinatrice dell’Istituto di beneficenza per bambini “Una busta per Dio“.

Questa, ragazzi, è una storia dell’URSS e della vita felice che menavamo. L’ho già raccontata a molti, ma repetita iuvant.
Mi faceva male un dente. Doveva essere il 1983. A quei tempi nessuno andava da nessuna parte, e i primi dentisti americani ancora non avevano guardato stupefatti dentro le bocche russe chiedendo: «Ma quella piombatura se l’è fatta da solo? Come ci è riuscito?!».

Il dente mi faceva male ma, naturalmente, dal dottore non ci ero andata perché non sono mica masochista da andare di mia iniziativa alla Gestapo. Avevo preso della Novalgina (allora non c’era nient’altro) e il mio cavaliere mi aveva riportato a casa in motocicletta. Era forse novembre e naturalmente avevo preso un colpo d’aria, così al mattino dopo mi ero svegliata talmente gonfia e con un dolore tale che mi era toccato andare alla Gestapo.
Al policlinico di via Preobraženka mi avevano torturato per un paio d’ore senza anestesia (l’anestesia in URSS era questa: tieni duro, tanto non muori!), dopodiché il «dottore» mi aveva detto di andare a casa e di fare risciacqui con la salvia.

Ero uscita dalla Gestapo e immediatamente ero svenuta accasciandomi nel fango. Mi ero risvegliata su un taxi, che non avevo chiamato io, tutta sporca di fango e di sangue (dalla gengiva massacrata) e con in mano dieci rubli che prima non avevo.
Per lunghi anni ho ricordato nelle mie preghiere l’ignoto signore che mi aveva levata dal fango e messa su un taxi…
Io sono una mollacciona. Temo che venderei qualsiasi patria per un buon antidolorifico. E non me ne frega niente del loro «cemento spirituale», voglio un dentista civile.

Però… oggi quelli che raccolgono da terra la gente che cade per strada sono più numerosi.
E questo è un merito dei miei amici.