29 Gennaio 2016

Custodire in noi stessi l’uomo

Tat'jana Krasnova

Docente presso la facoltà di Giornalismo dell’Università Statale di Mosca Lomonosov, coordinatrice dell’Istituto di beneficenza per bambini “Una busta per Dio“.

Il mio amore per la Aleksievič è ben più vecchio del suo giovane Premio, e sono molto contenta che ora il Comitato del Nobel faccia pubblicità ai suoi libri tra quelli che non li conoscevano. È stato piuttosto difficile darli ai miei amici dicendo: “Leggi, ti piacerà!”
No, non ti piacerà.
Ti spaventerà e ti farà soffrire, ma soprattutto non riuscirai a staccartene perché solo la verità fa così male. E poi di solito non si soffre così tanto per una cosa estranea.
La voce dell’uomo qualsiasi, questo, secondo me, rende cristiani in modo disarmante i libri della Aleksievič.

Il tempo ci ha scavalcati ed è cresciuto più di noi. Ci ha superati in altezza e noi siamo spariti, ci siamo persi sullo sfondo dei suoi movimenti tettonici. Le nostre piccole vite sono diventate poco interessanti, le nostre morti vengono considerate delle tragedie soltanto se a morire siamo cento alla volta.
Siamo diventati sordi e ciechi a causa del continuo flusso di informazioni, che non lascia tempo per piangere e compatire noi stessi e gli altri.
L’Aleskievič dà voce al nostro dolore. Alla stanchezza. Alla disperazione. E, più importante di tutto, al nostro amore che cresce come erba dall’asfalto di ogni epoca. Ci rende udibili. E noi, credo, così ci ricordiamo chi siamo e cosa ci stiamo a fare in balìa del vento impietoso della Storia.
Due settimane prima della consegna del Nobel ho sentito Svetlana Aleksievič a Pietroburgo, all’interno del progetto «Biblioteca aperta». Parlava assieme al famoso regista Sokurov. La sala (ad ascoltarli c’era una sala stracolma) voleva sapere cosa fare e come tirare avanti. Proprio ora, in questo momento di sconvolgimento, nella la crisi, nella paura e nell’insicurezza.
Sokurov, con la sua genialità, ha parlato di pace e di guerra, del cambio generazionale, di processi globali.
L’Aleksievič ha ribadito diverse volte la sua risposta alla domanda: “cosa dobbiamo fare?”. La sua risposta è stata: custodire in noi stessi l’uomo.
Fare in modo di non diventare un ingranaggio del sistema. Non permettere di essere considerati come un punto indistinto nella massa. Non lasciarci convincere che la nostra vita, il nostro amore e la nostra felicità non contano nulla rispetto agli “interessi geopolitici”.
L’uomo dell’Aleksievič è proprio l’uomo per il quale è venuto Cristo.
Un uomo piccolo. Piccolo quanto basta perché ci stia una goccia di fede e una scintilla di Luce Divina. Finché non riusciamo a farci stare dentro dell’altro, non abbiamo motivo di diventare più grandi.

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