29 Ottobre 2022

Memoria e Memorial, la forza dei nomi restituiti

Vladimir Zelinskij

Il legame con i morti sacrificati e cancellati dallo Stato crea solidarietà e speranza.

Il Premio Nobel per la pace attribuito nel 2021 a Dmitrij Muratov, caporedattore dell’unico giornale russo d’opposizione, era stato una sorpresa, aveva fatto sensazione.

Nel 2022, invece, lo stesso premio andato al difensore dei diritti umani Ales’ Bjaljacki in Bielorussia, a Memorial in Russia e al Centro per le libertà civili in Ucraina, è stato percepito dall’opinione mondiale come il tributo portato dai popoli d’Occidente ai loro fratelli dell’Europa dell’Est che si trovano in pericolo mortale; quasi come un gesto dovuto. Tre nazioni unite sotto il triplice segno: diritti, memoria, libertà; per i regimi dittatoriali sono tre nemici giurati, strumenti dell’offensiva dell’Occidente contro i cosiddetti «valori tradizionali». Infatti, si tratta dello scontro di due tipi di valori e ambedue le parti non nascondono di essere ormai coinvolte in qualche cosa di più grave di un semplice conflitto di parole. Il conflitto è tra quali valori?

Da una parte entra in gioco la mitologia di un passato aureo, di una tradizione che non esiste più, del mondo russo forte e monolitico, coniugato sempre con la violenza ma anche con il denaro proveniente dal petrolio. Dall’altra viene fuori l’idea (non sempre esplicitata ma sicuramente meditata) della persona irripetibile, della protesta umana comunicata dalla gente che ha sofferto tempo fa e che soffre oggi.

Uno scontro così tipico per il cammino storico dell’impero russo, e simboleggiato all’inizio del XIX secolo dal geniale poema di Puškin Il cavaliere di bronzo, dove una statua dell’imperatore va a caccia di un pover’uomo qualsiasi, che alla fine muore. L’impero enorme, tronfio e violento dove il semplice cittadino non conta nulla, e che s’impone come un valore supremo per cui vale la pena perdere la vita. Lo zarismo, il comunismo, il paese attuale con il suo autoritarismo che non ha ancora un’identità chiara: il rapporto uomo-Stato quasi non cambia, sembra che il disprezzo nei confronti delle vite umane costituisca la tradizione nazionale.

Troppo spesso le vite umane sono state sacrificate al Moloch della guerra, del terrore, dell’ideologia. Migliaia, milioni, forse decine di milioni di vite immolate, all’epoca non contate quasi da nessuno e dimenticate.

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Il masso proveniente dalle Isole Solovki in piazza Lubjanka a Mosca.

L’iniziativa di Memorial a prima vista appare come il semplice ricordo della persona singola persa nelle turbolenze della storia implacabile le cui tracce sono visibilmente sparite. Ma secondo la statistica ufficiale, nel periodo 1930-1953 circa 3,8 milioni di cittadini sono stati arrestati senza nessun motivo valido, di questi circa 800mila sono stati condannati a morte.
Forse in qualche archivio, sulla carta invecchiata e gialla si poteva trovare il nome del nonno, e il nipote poteva leggerne la condanna: 10 o 15 anni di lager, 10 anni senza diritto di corrispondenza (eufemismo per intendere l’esecuzione), oppure senza eufemismi: fucilato.

Alcuni archivi sicuramente sono stati bruciati, gli altri non sono ancora stati scoperti, ciò che è rimasto non contiene tutta la verità, ma le sue tracce comunque rimangono. L’impero era un organismo burocratico e cercava di fissare tutti i suoi atti criminali, che la doppia coscienza voleva allo stesso tempo giustificare e nascondere.

Memorial è nato come appello per risvegliare la memoria. Non soltanto la memoria generale delle persecuzioni del passato, ma la memoria della persona concreta, che era in vita e a cui la vita è stata spezzata dal «mostro più freddo di tutti i mostri freddi», come Nietzsche chiamò lo Stato.

Il calore della vita umana, sia pure spenta da tanti anni, è diventato come la sfida a questa freddezza. La memoria si è trasformata nella catena di solidarietà dei viventi con i morti, di cui sono rimasti solo i nomi.

Più di tre milioni di nomi sono stati scoperti e pubblicati nei Libri della memoria che contano qualche centinaia di volumi. Ma ciò che è più importante: questi nomi sono tornati a vivere nel cuore di altri, per la maggior parte sconosciuti, nella compassione e nella solidarietà che sono entrate nella vita dei loro discendenti. Di più, la memoria è sbocciata nella confessione, religiosa o no, è rivolta all’immagine del Cristo crocefisso.

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Il foglietto col nome di una delle vittime delle repressioni.

Il premio Nobel concesso a Memorial, già soffocato da tempo come «agente straniero» (il giorno stesso in cui è stata annunciata l’attribuzione del premio, un tribunale putiniano gli ha tolto l’ultimo domicilio legale a Mosca); al difensore dei diritti umani in Bielorussia che si trova in prigione; al Centro per le libertà civili in Ucraina, che vive sotto le bombe, oltre al suo ovvio messaggio politico e sociale, porta un altro messaggio: quello della dignità umana che nasce dalla resistenza.

Il premio è già un segno che i morti, gli scomparsi senza lasciare traccia, non sono stati cancellati definitivamente dalla vita comune del genere umano. Il premio è anche un gesto di speranza nel fatto che l’uomo può vincere nel suo combattimento silenzioso contro tutti mostri freddi. Mi ricordo un celebre pensiero di Pascal, come fosse scritto oggi, sulla grandezza del servizio della memoria:
«L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di chi lo uccide, dal momento che egli sa di morire e il vantaggio che l’universo ha su di lui; l’universo non sa nulla. Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero».

Tutta la nostra dignità è nel pensiero, è vero, ma anche nel cuore. Nel pensiero-cuore grato, uscito dalla memoria, dalla compassione, dalla fedeltà ai nostri predecessori, dalla saggezza della vita stessa creata e amata da Dio. Memorial, soffocato oggi ma destinato sempre a rinascere, rimane come un segno della nobiltà umana, anche in tempi bui come i nostri.

La restituzione dei nomi organizzata dai membri dell’Associazione Memorial Italia.

 


Foto di apertura: october29.ru

Vladimir Zelinskij

Sacerdote ortodosso (del Patriarcato di Mosca) è filosofo, teologo e traduttore. Dal 1991 vive in Italia, ha insegnato lingua e civiltà russa all’Università cattolica di Brescia e di Milano. Ha al suo attivo numerosi testi di teologia e spiritualità.

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