8 Ottobre 2022

Nobel a Memorial: è stato chiuso, ma esiste

Elena Žemkova | Marta Dell'Asta

Elena Žemkova è in Memorial dall’inizio. È sua l’invenzione del «ritorno dei nomi» delle vittime staliniane, diventata un momento fondamentale di aggregazione. Nell’intervista di Marta Dell’Asta spiega lo spirito per cui Memorial ha meritato il premio Nobel.

Dopo la chiusura di Memorial continuate in qualche modo a lavorare?
Il lavoro di Memorial continua anche oggi come ricerca sul passato, sulla storia delle persone, sulle vittime delle repressioni per chi cerca i propri cari. Continuiamo il nostro lavoro di supporto ai centri di ricerca, ai musei. Tutto questo è ancora legale.

Tanti anni fa abbiamo cominciato a digitalizzare il nostro archivio, non tutto ma una parte consistente è già stata digitalizzata. E noi speriamo che l’anno prossimo una parte di questo lavoro venga pubblicata.

Tu ci hai detto che fra voi collaboratori di Memorial c’è piena libertà di coscienza, ma il fatto che l’uomo sia al centro della storia è un’asserzione che deve essere necessariamente condivisa da tutti? Ne discutete?
Non se ne parla apertamente, ma una persona con un altro punto di vista non potrebbe rimanere a lungo a Memorial. Comunque da noi nessuno per adesso è stato licenziato o si è licenziato. Anzi, c’è gente che è rimasta nonostante alcune volte non ci fossero i soldi per pagargli lo stipendio.

Non ci sono da noi persone che non condividono questo sguardo umano sulla storia, perché sarebbe qualcosa di contrario all’organizzazione stessa, al suo statuto. Lo statuto esiste e questo statuto dice che non accettiamo nessun tipo di nazionalismo o nessun atteggiamento aggressivo.

Hai detto che la parte più difficile del tuo lavoro sono le persone. Cosa intendevi? Bisogna convincere la gente che la storia è andata in un certo modo?
Non è questione di convincere, ma di spiegare. Noi desideriamo che la gente arrivi alle cose da sola. Cerchiamo di spiegare cose difficili con parole semplici. Ad esempio, come si fa a trovare la linea sottile che separa l’aguzzino e la vittima? Come si fa a giudicare il passato se tutti i colpevoli sono morti? Si possono giudicare i morti? Tutte queste sono domande molto difficili, e noi cerchiamo il modo di parlare di queste cose difficili con parole comprensibili.

Magari non si tratta nemmeno di spiegare, forse spiegare è ancora la cosa più semplice, si tratta piuttosto di cercare di far sorgere domande nelle persone. Perché se le persone iniziano a fare domande vuol dire che stanno cercando di capire,

se non fanno domande invece mi preoccupo perché significa che non stanno veramente entrando nel merito della cosa. Le domande ci sono sempre.

Memorial chiuso ma esiste

Agosto 2022, Memorial al Meeting di Rimini, nella foto E. Žemkova, e I. Šerbakova, con A. Archangel’skij e G. Parravicini davanti alla tomba di Dante.

Non vi è mai capitato, quando cercate di spiegare, gente che si oppone alla narrazione dei fatti?
Certo che succede, e nemmeno troppo di rado, anche tra le vittime, o i figli delle vittime delle repressioni. Non dico che sono tantissime, ma succede. Anche tra le vittime c’è chi tuttora condivide le idee del comunismo. Che ci siano persone che non traggono conclusioni, è un grande problema. Penso che sia un grande problema in Russia, ma forse non solo in Russia il fatto che ci sono molte persone che non sono abituate a fare domande, a pensare, a discutere.

Cosa fate voi di fronte a queste cose?
Cerchiamo di parlare, ma se mi rendo conto che il mio interlocutore sta tirando su un muro, credo non abbia senso fargli violenza, credo non sia pronto ad ascoltare.

Vedo che avete sempre un certo rispetto della libertà altrui…
Ci proviamo…

Qual è nel tuo lavoro la cosa che ti ha dato più gioia?
Sicuramente l’aver trovato una formula felice per ricordare le vittime del terrore. Mi ero accorta già negli anni ’90 che la celebrazione del Giorno della memoria delle vittime del terrore, il 30 ottobre, stava scivolando nella retorica, era una nuova formalità politica fatta di discorsi pronunciati dal palco. Così ho cercato una formula diversa, che sfuggisse alle strumentalizzazioni politiche, che fosse alla portata di tutti e che al tempo stesso esigesse una scelta libera da parte di ciascuno. La lettura pubblica dei nomi (sono migliaia) delle persone fucilate a Mosca negli anni del grande terrore staliniano è fatta in modo che qualsiasi cittadino possa venire e decidere di partecipare. Noi organizziamo luci, microfoni, stufette a gas, tè caldo, stampiamo i fogli con i nomi… ma chi sceglie liberamente di prendere un foglio e andare al microfono è la singola persona, che per un breve momento accetta di identificarsi con uno sconosciuto fucilato 80 anni fa. Richiamandolo dal nulla.

Nobel a Memorial

I collaboratori di Memorial scoprono di aver vinto il Nobel presso il tribunale distrettuale di Mosca Tverskoj, dove si è tenuta un’udienza che ha tolto a Memorial la sua sede. (Facebook)

Come sta insieme questa cosa, col fatto che pubblicate anche le liste di čekisti, cioè dei carnefici?
Sì, pubblichiamo liste di čekisti ma non traiamo nessuna conclusione, non scriviamo vicino: «questi sono i colpevoli», non le chiamiamo «liste degli aguzzini». Sarà la gente poi a fare i suoi ragionamenti. Anche perché in questi elenchi ci sono persone molto diverse, con destini diversi, persone che davvero sono state aguzzini, sadici, e persone che magari hanno fatto i dattilografi, cioè che battevano a macchina gli elenchi dei fucilati. Si può pensare che questi impiegati avessero dei figli affamati a casa, e che per loro non c’era altra possibilità di lavorare se non quella. Voglio dire, occorre capire che le persone sono diverse.
Un’altra questione importante è quella della responsabilità di ogni uomo nelle circostanze che vive. Per cui non siamo tutti uguali, non dobbiamo appiattire.

Assolutamente deve essere riconosciuta la responsabilità, ci dev’essere la punizione per i crimini, però questo non vuol dire che col nostro lavoro cerchiamo di fare di ogni erba un fascio. Questo non per dire che ognuno ha il suo punto di vista, ma per dire che ognuno ha la sua responsabilità, e che le responsabilità sono diverse. Dire che ognuno ha il suo punto di vista sembra una giustificazione mentre noi non vogliamo giustificare, perché capendo che le persone sono diverse, in certi casi anche la responsabilità aumenta. La cosa più importante è che le persone che guardano questi elenchi traggano da sole le proprie conclusioni. Quindi pubblichiamo questi elenchi non dicendo sono elenchi di colpevoli, di aguzzini, diciamo solo: sono elenchi dei čekisti.

Alla fine della mostra del Meeting 2022 c’è un video dove Katerina Gordeeva chiede a Irina Ostrovskaja di scegliere tra misericordia e giustizia, e lei sceglie la misericordia. Ma questo non toglie qualcosa alla giustizia?
Qui i nostri pareri si dividono a seconda della persona a cui si chiede, però mi sembra che in nessun caso la giustizia debba essere mutilata. In ogni caso però la condizione essenziale per la giustizia è la trasparenza. Il ruolo della persona e la sua posizione, i suoi crimini, la sua indifferenza o la sua non partecipazione, il mancato soccorso, sono tutte cose che devono essere rese note, di questo si deve sapere per forza. Poi è un’altra questione sapere quale sarà il giudizio umano o divino su questa persona, però quello che ha fatto si deve sapere. Non mi sembra sia una questione di scelta tra misericordia e giustizia: mi sembra che sia sbagliato come è stata posta la domanda; non è giusto dover scegliere tra misericordia e giustizia, ma devono andare insieme.

nobel a memorial

La mostra “Uomini nonostante tutto. Testimonianze da Memorial” curata da Russia Cristiana e Memorial è stata esposta al Meeting di Rimini 2022.

Rispetto alla situazione di oggi, come facciamo a parlare di «giudizio», «misericordia», «giustizia», «perdono»?
Penso che oggi sia ancora più importante che in passato. Infatti è importantissimo, nel momento in cui vengono compiuti dei crimini, che chi li compie sappia che poi ci sarà un giudizio. L’importante è che la gente capisca che le azioni comportano una responsabilità. Non vuol dire che allora non sbaglieremo mai, c’è sempre la libertà di scelta, l’uomo non è ideale. Ma

l’importante è che una persona sappia che dovrà rispondere delle proprie azioni. L’uomo è piccolo, ma è parte della storia e le sue azioni sono importanti.

Questo è sfiancante, è come stare sempre di fronte allo specchio. Spesso ti dimentichi che stai guardando nello specchio, ogni tanto non ti percepisci come un uomo all’interno della storia. Però più riuscirai a farlo, meglio sarà per tutti.

Tanta gente dice: è difficile giudicare perché ci sono tante fake news…
Sono d’accordissimo, ci sono tante notizie difficili da verificare, è difficile giudicare oggi… ed è proprio il motivo per cui bisogna pensare, cominciare ad ascoltare, cercare di capire chi sono le persone autorevoli, di chi ti puoi fidare…è così importante il rapporto d’amicizia, perché non puoi controllare tutto, verificare tutto. E non c’è nemmeno bisogno di controllare tutto: se tu mi presenti una persona e mi dici che di lei ci si può fidare, che è una brava persona, che è tuo amico, non ho bisogno di controllarlo. Il mondo funziona così…

Elena Žemkova

Laureata in matematica, fin dal 1987 fa parte dell’associazione Memorial, di cui è direttore esecutivo dal 1995. Nell’ambito dell’associazione ha coordinato concorsi e progetti intenazionali. Le sue sfere di interesse sono la storia delle persecuzioni politiche e l’analisi comparata dei meccanismi repressivi nazisti e sovietici.

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Marta Dell'Asta

Marta Carletti Dell’Asta, è ricercatrice presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si è specializzata sulle tematiche del dissenso e della politica religiosa dello Stato sovietico. Pubblicista dal 1985, è direttore responsabile della rivista «La Nuova Europa».

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