3 Novembre 2023

Madri, padri nel totalitarismo

Carlotta Dorigo

Nel GULag sovietico l’affetto di madri e padri per i figli sfidava lontananza e repressioni. Il nuovo libro di Irina Ščerbakova racconta quanto è prezioso l’esercizio della memoria per la persona, la famiglia, un intero popolo.

Edito da Marcianum Press, è uscito il volume Famiglia, umanità e repressioni sovietiche, a cura di Irina Ščerbakova, tra i fondatori dell’associazione russa Memorial nonché attuale copresidente della rifondata Memorial Internazionale. L’autrice, sviluppando la relazione svolta nel marzo scorso al convegno «IN DIALOGO A VENEZIA. Occidente e Orienti. Famiglia, caritas, cultura, spiritualità, pace per un’umanità da riscoprire», ripercorre i passi del trentennale lavoro sul passato del GULag e sulle repressioni sovietiche condotto da Memorial.
Un lungo cammino spesso irto di ostacoli, in un contesto che va dalla sete di memoria e giustizia che animava gli anni della perestrojka, fino alla nostalgia per il passato sovietico e al tentativo dell’odierna politica statale di maneggiare la storia a proprio vantaggio.
Memorial ha instancabilmente lavorato sugli archivi statali, su progetti (database coi nomi delle vittime, mappe dei luoghi del terrore, manuali scolastici) e iniziative volte a «restituire l’uomo alla storia» e ad aiutare la società civile a formulare un giudizio su un passato doloroso, che ha scosso profondamente la vita di un popolo intero. Proprio la mancata elaborazione di questo passato, secondo l’autrice, consente all’attuale governo di tornare al passato per «impossessarsene», issarvi la propria bandiera e riprodurlo, innanzitutto, nei suoi atteggiamenti repressivi di qualsiasi pensiero dissidente.

Ai radicali mutamenti nella politica della memoria degli scorsi vent’anni, Ščerbakova dedica gli ultimi capitoli del volume. In particolare, descrive la diffusione di un certo «relativismo morale» nella valutazione del passato, cioè l’idea che in fondo la Russia non è il solo paese ad aver commesso crimini di massa, che Stalin va ricordato innanzitutto come fautore della grande vittoria nella Seconda guerra mondiale, che il trauma principale da curare non è più il GULag, ma la dissoluzione dell’URSS. È come se, conclude Ščerbakova,

il vuoto non riempito da un esercizio onesto e obiettivo della memoria fosse diventato terreno fertile per la crescita della menzogna e occasione per imbavagliare ogni parola che sminuisce un presunto «passato luminoso» sovietico.

Nel volume vengono citati progetti scolastici curati da Memorial che coinvolgono studenti russi, quasi tutti con almeno un nonno, un bisnonno o uno zio deportati in qualcuna delle «isole» dell’arcipelago dei lager che copriva gran parte del territorio dell’URSS, e di cui questi ragazzi ignoravano la portata.

Ščerbakova mette in luce come il lavoro sulla memoria sia innanzitutto un paziente dialogo intergenerazionale che ha bisogno di trovare parole adeguate, un «linguaggio in cui parlare del passato» che talvolta le vecchie generazioni ignoravano o hanno cercato di dimenticare in molti modi. Rimuovendo, ad esempio, svariati fatti della propria storia familiare, cancellando volti da vecchie fotografie, ripulendo formulari e camuffando date per paura di ritorsioni.

Come ha scritto una studentessa dopo un periodo di lavoro in archivio: «Se tutta la Russia, come diceva Anna Achmatova, si divideva fra quelli che incarceravano e quelli che venivano incarcerati, in realtà poteva esistere anche una terza Russia, che di tutto questo non si rendeva conto. Concentrandosi unicamente sul come sopravvivere, senza pensare al significato e all’essenza di quanto stava avvenendo…».

Madri, padri e repressioni totalitarie

(archivio Memorial)

Come sottolinea Ščerbakova, proprio questa paura persistente e diffusa spiega la scarsità di reperti provenienti dalle famiglie che hanno subito repressioni, e rende quindi ancora più preziosi manufatti, lettere e documenti che invece hanno superato la coltre di paura e sono confluiti a Memorial, grazie a persone desiderose di contribuire alla creazione di un archivio comune, dove fossero visibili le gigantesche proporzioni della macchina del terrore e le responsabilità verso il passato.
Conservare questi oggetti significava lavorare concretamente per «arrivare a ogni singolo destino», come aveva esortato a fare il fisico Andrej Sacharov, durante l’assemblea di fondazione di Memorial nel gennaio 1989: arrivare cioè ai nomi e cognomi delle vittime, alle vicende personali e familiari racchiuse in ognuno dei materiali raccolti.

Una parte del volume di Ščerbakova è dedicata alle vicende familiari di detenuti in lager, ai loro tentativi di conservare un legame d’affetto con le mogli, i mariti o i figli. Relazioni, osserva l’autrice, della cui importanza magari nella vita in libertà gli stessi detenuti non si erano resi conto. Invece, padri e madri in lager affidano a mezzi di fortuna come brandelli di lenzuola, lische di pesce trasformate in aghi, o fili strappati da vecchi asciugamani, messaggi importantissimi di affetto, preghiere di non essere dimenticati, talvolta sulla soglia della fucilazione o della morte per stenti. La famiglia, spiega l’autrice, subito dopo la rivoluzione è colpita da una serie di provvedimenti legislativi che puntano a indebolirla come luogo educativo, affidando unicamente al partito il compito di forgiare l’«uomo nuovo».

Per questo, le storie raccolte da Memorial e riportate nel volume di Ščerbakova alle sezioni voci dal coro sono un’importante testimonianza.
«Questo quaderno – scrive Gavriil Gordon alla figlia – è stato scritto in luoghi diversi: nello stanzone e nel quartier generale gremito di individui vocianti che imprecavano rozzamente, di notte nella baracca tra il russare di gente estranea, indifferente. È stato scritto in giorni di sospensione ed estenuante attesa di nuove prove. Ma mentre lo scrivevo, il grande affetto per te, bambina mia cara, che muoveva la mia penna, e il ricordo della mia antica passione per la filosofia, mi sollevavano dalla dura realtà circostante… Se queste mie poche paginette ti saranno d’aiuto all’inizio delle tue ricerche, sarò molto felice».

Carlotta Dorigo

Nata a Portogruaro (VE) nel 1994, nel marzo 2019 ha conseguito la laurea magistrale in Scienze filosofiche presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, discutendo una tesi sulle implicazioni etiche e religiose del pensiero politico di Robespierre.

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