1 Febbraio 2024
Una mostra che attraversa i cuori, i confini geografici e le generazioni
La mostra «Uomini nonostante tutto» non ha ancora finito di peregrinare tra le città italiane e straniere. Ovunque suscitando reazioni intense e domande pregnanti. Questo racconto ci viene da Bari.
Nella bellissima sede del Palazzo della Città Metropolitana, Bari ha ospitato per due settimane la mostra del Meeting di Rimini 2022 «Uomini nonostante tutto. Testimonianze da Memorial», realizzata da Russia Cristiana in collaborazione con Memorial Internazionale e Memorial Italia. Promotore di questa iniziativa un gruppo di amici che, accesi dal fascino dei suoi contenuti e dalla delicata e profonda umanità della narrazione, hanno desiderato estenderne a tutti la proposta. Questi amici, che da qualche tempo si sono costituiti come CIPO-APS (Centro Interculturale Ponte ad Oriente)1, insieme al Dipartimento di Meccanica, Matematica e Management del Politecnico di Bari ed al Centro Culturale di Bari, hanno visto crescere intorno al loro entusiasmo una rete di volontari che con grande professionalità e intraprendenza ha curato il gesto. Si è messa in moto una macchina organizzativa nata più da un cuore pulsante che non da una mera competenza manageriale, generando un commosso e motivato lavoro di incontri che è una delle grandi ricchezze che questa mostra ci ha regalato.
Opera nell’opera è stato il progetto formativo sviluppato con sei scuole secondarie di secondo grado tra Bari, provincia e Taranto, con il coinvolgimento di oltre 170 studenti e 12 docenti, impegnati ad approfondire la mostra dal punto di vista storico e culturale attraverso webinar e seminari sul totalitarismo e i totalitarismi, sulla storia di Memorial (insignita del Nobel per la pace e contemporaneamente soppressa dalla Corte Suprema della Federazione Russa), sulla nascita e la struttura della mostra. Un coinvolgimento educativo perché ha permesso che i ragazzi facessero esperienza dei contenuti, a loro sconosciuti, e trasformassero la vibrazione emotiva in narrazione personale nelle visite guidate, nell’accoglienza, nella registrazione e nel supporto informatico da parte dei corsi di sviluppo e tecnologie avanzate. Un percorso che non si è ancora concluso ma che impegna attualmente gli studenti a continuare un lavoro su di sé attraverso i laboratori di «diario visivo» che stiamo loro proponendo a partire dai contenuti della mostra.
Da non tacere inoltre che, tra i moventi del progetto formativo, c’era l’esperienza che alcuni studenti, adottati, avevano degli orfanotrofi russi e bielorussi. In particolare, in loro è affiorata la sorpresa e la consapevolezza del valore della famiglia nel custodire potentemente la memoria dell’identità personale. La memoria, dunque, è diventata strumento di un paziente dialogo intergenerazionale che ha ridato – non solo nell’Unione Sovietica del Gulag – attualità e contenuto a parole fondamentali ma ormai quasi anacronistiche come «giustizia», «misericordia», «dignità», «ideale», «libertà», «compassione». Oltre alle classi delle scuole che hanno aderito al progetto formativo, hanno visitato la mostra altre sei scuole pubbliche del territorio, con la partecipazione di oltre 450 ragazzi accompagnati da 20 docenti.
Il compito di ridare memoria al singolo, altrimenti inghiottito dalla crudele macchina repressiva del Gulag sovietico, l’importanza di ogni persona nel fare la storia, la passione per il recupero della verità storica, l’irriducibilità dell’uomo a qualsiasi circostanza, anche la più tragica e nefasta, l’accendersi di testimonianze luminose di responsabilità, di amore, di amicizia, di compassione, di dignità e di bellezza hanno inevitabilmente toccato le corde dei nostri cuori e di quelli dei nostri interlocutori, giovani e non più giovani. Un racconto originale che ci ha permesso di
guardare la storia non solo come narrazione di eventi ma come fatta da persone con i loro legami, con la loro fede, con le loro radici. Una capacità di bene vissuta dentro un sistema di male.
Una possibilità, totalmente originale, di chiedere perdono per un sistema violento che non ha lasciato nessuno indenne e che nessuna giustizia umana potrà mai riparare, la possibilità di scegliere per la misericordia, una nuova via per tornare a vivere e costruire, non dimentichi del passato ma liberi di non ripeterlo, cioè liberi dalla giustizia come «vendetta». Una via di pace!
In tal senso si sono espressi anche i visitatori nei loro commenti. «Il bene unisce», «Un lume di speranza nel buio della disperazione», «Grazie per questo spazio di libertà. Nulla è scontato!», «Non dimenticare perché il passato non è mai passato!».
Tra i tanti frutti di questo lavoro siamo stati particolarmente sorpresi da alcuni incontri imprevisti come quello tra Palina, liceale bielorussa, guida alla mostra, e due ragazze, una siberiana e l’altra kazaka, che hanno espresso grande stupore di incontrare a Bari l’organizzazione Memorial, soppressa in Russia per propaganda antinazionale. Le ragazze hanno scritto: «Continuate!». Venendolo a sapere, la responsabile dell’Archivio centrale di Memorial Irina Ostrovskaja, ora rifugiata in Repubblica ceca e intervenuta all’inaugurazione della Mostra a Bari il 28 ottobre, ha commentato «questa mostra non è solo interessante ma molto necessaria».
Nei fatti, negli incontri, nei commenti abbiamo continuato a sorprenderci della misteriosa trama che ha accompagnato questa avventura. Non sapevamo, iniziando, cosa ci avrebbe chiesto e cosa ci avrebbe regalato. Oggi abbiamo il cuore pieno di commozione perché «non volendo svergognare i carnefici che la storia ha già condannato, ma preservare il germe che è stato fecondato», come disse in passato padre Romano Scalfi, fondatore di Russia Cristiana, abbiamo di fatto ridato voce a chi non ne aveva, ci siamo trovati ad annunciare che la giustizia va fatta ma che si riparte solo dalla misericordia e a sperimentare «quanto coraggio occorre per sostenere la speranza degli uomini!» (Luigi Giussani).
Di fronte alle recenti vicende della guerra in Ucraina e in Palestina, del caso di Indi Gregory o della barbara morte di Giulia Cecchettin, che oggi affollano le cronache in maniera spesso strumentale e che tuttavia suscitano in ciascuno il desiderio di giustizia, di verità e di pace, ci accorgiamo che il giudizio su di essi non può essere solo un’opinione, fosse così resteremmo tutti come prima, è piuttosto una immedesimazione, una lealtà col cuore e col dolore altrui, una conversione per implorare di non scandalizzarci della croce, ma di accogliere la sfida che il cardinale Pizzaballa ci ha lanciato da Gerusalemme: «Dov’è l’uomo?». Domanda che, dopo le ore e i giorni dedicati a questa mostra, è divenuta «Ed io?».
(Flora Caradonna Moscatelli)
Foto: Facebook