27 Luglio 2020

Il caso Dmitriev, chiusure e spiragli

Marta Dell'Asta

Il «caso Dmitriev» è noto in Russia dal 2016 quando lo storico, scopritore delle fosse comuni staliniane, fu arrestato con l’accusa di pedopornografia. Dopo ben due processi e un’assoluzione, ora ha avuto tre anni e mezzo… Troppo poco se è colpevole, troppo se è innocente. Un filo rosso lega la memoria del terrore e il processo appena concluso.

Jurij Dmitriev, medico senza laurea ed operaio, è diventato storico sul campo da quando nel 1988 ha dato inizio alla ricerca dei luoghi dove negli anni ’30-40 venivano fucilate le vittime delle purghe e i detenuti dei lager della Carelia, regione a nord-ovest della Russia. Inizialmente era come cercare un ago in un pagliaio, visto che tutta la regione è coperta di fitti boschi e le fosse comuni avrebbero potuto essere ovunque. Sono state le sue ricerche negli archivi che gli hanno fornito il bandolo della matassa: ordini di trasferimento di prigionieri, documenti di «azioni speciali» (le fucilazioni, nel gergo dell’NKVD) tutti rigorosamente senza indicazione di luogo ma che portavano alla cittadina di Medvežegorsk, e di lì ai boschi in un raggio di 10-12 km. Poi erano seguite anche lunghissime ricerche sul terreno, con l’aiuto di un cane. Il perché di tanta pertinacia lo ha spiegato lui stesso al processo [vedi sotto]. E finalmente, dopo 8 anni di accanita ricerca, nel 1997 il rinvenimento in località Sandarmoch di numerosi teschi (9.500 almeno), tutti con un foro nella nuca. Erano lì le fosse comuni, 10 ettari di sepolture.

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Marta Dell'Asta

Marta Carletti Dell’Asta, è ricercatrice presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si è specializzata sulle tematiche del dissenso e della politica religiosa dello Stato sovietico. Pubblicista dal 1985, è direttore responsabile della rivista «La Nuova Europa».

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