2 Marzo 2016

Mosca e la notte delle ruspe

Anna Kondratova

A Mosca demoliti centinaia di chioschi. Un’operazione di risanamento urbano. O forse un’affermazione di natura politica: la proprietà privata e la libertà d’impresa sono a discrezione dello Stato.

A Mosca c’è stata la «notte delle ruspe». Tra l’8 e il 9 febbraio un esercito di scavatrici mandate dal Comune ha demolito a colpi di benna 97 agglomerati di chioschi commerciali ritenuti «abusivi». La televisione russa ha parlato di «baracchini», ma in realtà non si trattava soltanto di piccoli prefabbricati bensì anche di grossi padiglioni in muratura con pretese estetiche, vetrate, frontoni e colonne, come «la Piramide» in via Tverskaja. Erano sorti come i funghi dalla fine degli anni ‘90 attorno alle stazioni del metro e soprattutto in centro, là dove i larghissimi marciapiedi di stile sovietico offrivano ampio spazio. Ospitavano attività commerciali minute e meno minute: ci si compravano frittelle e kebab, acqua minerale, ricariche per il cellulare, fiori, abiti cinesi a poco prezzo, libri e riviste, ma anche alta profumeria e gioielli, ci stavano caffè e ristoranti, addirittura la filiale di una banca. Sembra difficile pensare che imprese commerciali di questo tipo non avessero tutti i documenti in regola. In realtà era stato il sindaco precedente, Jurij Lužkov, che aveva favorito queste piccole attività commerciali.
Comunque, a prima vista non sembra ci sia niente da eccepire: il riordino dello spazio urbano e un taglio netto con il commercio sommerso sono una procedura virtuosa per l’amministrazione di una moderna megalopoli. Questo almeno è quel che spiegano alla tivù e sui giornali, dato che il fenomeno è sotto gli occhi di tutti i moscoviti; e gli amanti dell’ordine e della civiltà hanno plaudito perché abbiamo insieme pulizia, estetica e mani pulite.
In realtà l’operazione di pulizia ha degli addentellati che sfuggono allo sguardo superficiale e che merita invece considerare perché portano lontano.

La delibera del Comune

L’8 dicembre 2015 il Comune di Mosca ha decretato la demolizione delle costruzioni «abusive» situate in 104 punti della città, dando agli occupanti due mesi di tempo per sgomberare; il decreto cita il punto 4 dell’articolo 222 del Codice civile federale, in cui si parla di edifici abusivi. L’articolo 222 è cambiato più volte dal 1994 in qua, col mutare della posizione dello Stato riguardo al problema; il punto 4, però, è stato inserito soltanto il 13 luglio 2015, e in pratica dà ai Comuni la facoltà di demolire gli edifici abusivi per via amministrativa, cioè senza mandato del tribunale; tuttavia trattandosi di proprietà private questa norma contraddice l’articolo 35 della Costituzione in cui si afferma che «nessuno può essere privato di un proprio bene se non per decisione del tribunale». E tutti i chioschi demoliti erano di proprietà privata.
L’avvocato Artur Ajrapetov ha fatto presente che nei mesi scorsi il Comune di Mosca aveva intentato numerose cause contro questi esercizi commerciali, ma le aveva regolarmente perse poiché tutti gli esercenti avevano sfoderato regolari documenti di proprietà e avevano invocato il famoso articolo 35. Infatti, se è vero che il punto 4 della legge 222 conferisce ai comuni il diritto di demolire gli edifici abusivi, è solo il tribunale che può stabilire se un edificio sia o non sia tale. Nel nostro caso invece questo passaggio è stato completamente saltato perché il sindaco Sobjanin, vista l’impossibilità di venire a capo della vicenda, ha aggirato l’ostacolo emanando un decreto che di fatto impediva ai proprietari di ricorrere al tribunale. «Togliere il diritto di proprietà con un semplice tratto di penna, senza l’intervento del tribunale è una cosa che esula da qualsiasi prassi normale» ha detto l’avvocato. Per ora, inoltre, non sembra che il Comune abbia previsto alcuna compensazione per il danno subito dai commercianti, i quali, non va dimenticato, oltre all’acquisto avevano fatto degli investimenti per attrezzare i locali: dalle immagini vediamo le scavatrici fracassare banconi, registratori di cassa, banchi frigorifero, scaffalature, sedie e tavoli.

Estetica e vita quotidiana

Dal punto di vista estetico, c’è chi è favorevole perché sostiene l’immagine di una città moderna lineare e pulita con «spazi democratici» dove la gente possa passeggiare e trovarsi. Ma alcuni urbanisti e studiosi d’arte hanno risposto che la soluzione non è creare «spazi ampi e sterilizzati» dove c’è spazio solo per delle panchine ma la vita è assente. E che ricercare una città di questi tipo sarebbe l’ennesima utopia, una cattiva imitazione di modelli occidentali applicati a una città con una forte impronta staliniana, dove le grandi vie e piazze e gli spazi vuoti non erano affatto concepiti per la vita sociale. «Qualsiasi città normale si edifica in funzione della vita… Magari non sono costruzioni bellissime ma la loro presenza testimonia che la città è viva, che è popolata di persone che organizzano la vita a propria misura e secondo le proprie necessità. …Un ambiente urbano sterile, privato di tutto questo, testimonia soprattutto di essere un luogo da cui la vita se n’è andata, non resta che un museo», scrive Levon Nersesjan, studioso d’arte.
Quanto al punto di vista giuridico ed economico, la vicenda manda un segnale abbastanza inquietante, innanzitutto perché qualsiasi investitore oggi, a Mosca, non può essere sicuro al 100% di poter disporre della proprietà che ha legalmente acquisito; nelle immagini della «notte delle ruspe» vediamo tante vetrine con affisso l’inutile cartello: «noi non siamo abusivi!!!». Secondariamente perché, come hanno detto vari commentatori, in questo modo il potere giudiziario russo ha piantato l’ultimo chiodo sul coperchio della propria bara, mostrandosi definitivamente come un organo puramente decorativo, che si può bellamente scavalcare senza neanche bisogno di procedure formali.
Ma non sono soltanto il diritto e l’economia ad essere in gioco. C’è un più ampio contesto che dal piano economico e politico porta a quello sociale e, più in là, umano. Ognuno di questi 104 agglomerati demoliti e da demolire, ospitava in media una decina (o più) di esercizi commerciali, dove lavoravano diverse persone, se facciamo un calcolo approssimativo risulta che diverse centinaia di persone hanno perso il lavoro e tutti i propri investimenti in una notte.
«Quando nel nostro paese è finito il comunismo – scrive l’urbanista Dar’ja Paramonova – è subentrata l’economia di mercato che permetteva al singolo di guadagnarsi da vivere in svariati modi. Oggi viene distrutta una componente essenziale della libertà d’impresa. Nello spazio urbano di una città come Mosca non rimane posto per l’uomo. La città è concepita come uno spazio per grandi avvenimenti e mega progetti, mentre il cittadino diventa superfluo. Così il piccolo imprenditore su cui si regge l’economia di mercato non può più inserirsi nell’economia cittadina… Certo è più conveniente offrire lo spazio libero a un grosso pescecane del business». A proposito di considerazioni estetico-economiche, ricordiamo che nel 2013 il Comune aveva concesso lo spazio della Piazza Rossa alla ditta Vuitton per esporre un immenso e bruttissimo baule pubblicitario. C’era voluto il Cremlino per farlo rimuovere.

Questo il punto focale su cui molti commentatori si soffermano: «La lezione principale che se ne trae, mi sembra, è la vulnerabilità della persona nella società russa attuale. Tu, si dice alla persona, non sei niente. I tuoi interessi alla pubblica amministrazione non interessano… C’è l’autorità, che non deve rendere conto a nessuno e può tutto. E tu al suo confronto non sei niente… Però se ti ribelli verrai punito», scrive Viktor Sudarikov.
L’operazione notturna con le scavatrici assume così, senza volerlo, il valore di un gesto simbolico. Rappresenta la pubblica amministrazione che cancella con un colpo di spugna ciò che non le serve, secondo la logica statalista che l’autorità può tutto e il cittadino non può che adeguarsi. E dunque: «Difendere la vita privata significa difendere la libertà. Non la propria ma quella comune», scrive Svetlana Panič. Questo è il terreno non politico dell’opposizione oggi. C’è una parte della società che sta maturando una consapevolezza nuova di sé e della propria dignità, e cerca in vari modi di far sentire la propria voce, ora con manifestazioni, ora con lettere aperte, petizioni, raccolte di firme, ora con gesti d’impegno assolutamente individuali. Che meriterà raccontare, prima o poi.

Anna Kondratova

Moscovita, laureata in sociologia. Ha seguito da vicino lo sviluppo del movimento d’opposizione in Russia. Giornalista e saggista.

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