26 Agosto 2022

La forza della libertà per riconquistare la pace

Aleksandr Archangel'skij

Giornalista e scrittore, volto della tivù, Archangel’skij è una figura di spicco che ha scelto di non lasciare la Russia. È intervenuto al Meeting di Rimini 2022 per parlare di libertà e di pace.

Per rispondere in breve alla domanda del presidente Scholz, «come sta vivendo la situazione in questo momento storico la popolazione russa», devo dire che il paese è molto diversificato e non abbiamo una sociologia adeguata. Quindi, faccio riferimento solo alle mie impressioni personali. E sono le impressioni di un letterato, non di un politico o di un ricercatore.

Io sono rientrato consapevolmente in Russia il 26 febbraio, da allora sono stato in molte città, grandi e piccole, dagli Urali alla regione di Belgorod, al confine con l’Ucraina, e da Pskov a nord-ovest, ai confini con l’Estonia, fino alle città sul Volga. Ho cercato di parlare con tutti, senza nascondere la mia posizione su quanto sta accadendo, ma senza nemmeno imporla, altrimenti sarebbe stato impossibile guadagnarsi la fiducia. Ho avuto come interlocutori dipendenti di grandi aziende agricole, insegnanti nella tenuta di Tolstoj a Jasnaja Poljana e nella dimora di Puškin a Michajlovskoe, grossi esponenti del mondo degli affari e autisti di autobus di provincia.
Una prima osservazione generale è che c’è bonaccia, immobilismo.

La maggior parte degli interlocutori recepisce quanto sta avvenendo come un episodio politico-militare locale, e non come grande e tragica storia.

Perfino coloro che sono interiormente contrari, spesso guardano alla situazione in maniera semplicistica: parlano di decisioni sbagliate ma non vogliono capire la portata delle cause e delle conseguenze.

Certo, ci sono anche esempi di comportamento eroico: il politico Il’ja Jašin, il giornalista e politico Vladimir Kara-Murza, la giornalista Marina Ovsjannikova rischiano anni di galera, e altri sono già stati condannati. Ma nell’insieme, c’è piuttosto immobilismo. Forse, in questo modo la gente sta adattandosi psicologicamente alla situazione, la recepisce «pezzo a pezzo», sta ricomponendo lentamente il quadro generale del mondo con queste tessere del mosaico. Ma non so se questo quadro si ricomporrà mai, e con che tempi e a che cosa questo condurrà.

Seconda osservazione: la distanza. Manca l’euforia generale che si riscontrava nel 2014 dopo l’annessione della Crimea. Sugli edifici pubblici si espongono enormi striscioni con la lettera Z, ma sulle strade che collegano le città si incontrano al massimo una o due auto con questo simbolo sul vetro posteriore. Quindi, ripeto, non vedo né una seria opposizione, né euforia. Di che cosa si tratti, della calma prima della tempesta o del fatto che il paese sta sprofondando in un lungo letargo, non lo so.

Terza osservazione: si è accentuata la divisione. Divisione tra quelli che pensano in maniera attuale e quelli che vivono con la percezione del trauma imperiale. Divisione fra quelli che stanno nelle città grandi e in quelle piccole. Divisione fra quelli che sono andati all’estero e quelli che sono rimasti. Tra quelli che guardano la televisione e quelli che cercano di informarsi da sé. Quanto più piccola è la città, tanto più grande è il patriottismo imperiale e stretto il corridoio informativo.

Ma, e questa è la più importante, c’è una quarta osservazione: nel mondo degli uomini la legge dei grandi numeri non funziona!

Un autista di autobus di provincia può rivelarsi un convinto pacifista, e l’agiato abitante della metropoli un sostenitore della violenza. È una scelta personale, e non una ferrea legge.

Non c’è niente di predeterminato, niente di fisso. E per la maggioranza i nuovi emigranti sono benevoli nei confronti di chi è rimasto in Russia, e chi è rimasto in genere non è aggressivo. Molti vescovi ortodossi hanno peccato di retorica militarista, e il patriarca pronuncia prediche che somigliano a dei briefing del ministero della difesa; non è un caso che papa Francesco l’abbia chiamato «chierichetto di Putin». Ma c’è stata una lettera che esortava alla pace firmata da centinaia di sacerdoti, e in tutta una serie di chiese a Pasqua si è pregato per l’Ucraina. Non dichiarazioni politiche, ma una preghiera profondamente personale.

Nessuno scrittore di un certo rilievo (tranne Zachar Prilepin) si è pubblicamente dichiarato favorevole alla violenza. Al contrario, la commissione speciale della Duma presieduta dallo stesso Prilepin ha appena pubblicato un elenco di 142 esponenti della cultura che non appoggiano l’«operazione speciale». Come minimo sono rimasti in silenzio, come massimo si sono espressi contro. A dire il vero, la commissione ha lavorato in maniera così frettolosa e approssimativa che nell’elenco dei contrari è finito il direttore del principale canale televisivo di Stato Konstantin Ernst.

Meritano un discorso a parte gli insegnanti, che sono in una situazione molto difficile: la scuola è un’istituzione statale, e la tradizione della denuncia non è affatto scomparsa. Ma come minimo in molte scuole si rispetta la neutralità, non si fomenta nei ragazzi l’aggressività e non si permettono scontri fra scolari di famiglie e tendenze ideologiche diverse. E si continuano a trasmettere valori umanitari, basandosi sulla cultura contemporanea e sui classici. Cosa che, tra parentesi, nel contesto attuale talvolta richiede coraggio.

Racconterò una storia esemplificativa, che riguarda una mia collega, la traduttrice Ljubov’ Summ. Ha fatto un picchetto individuale, con un cartello che riportava i versi di un poeta democratico del XIX secolo, Nikolaj Nekrasov. Una poesia che fa parte dei programmi scolastici:

«Osservando gli orrori della guerra
Ad ogni nuova vittima dello scontro
Mi dispiace non per l’amico, o la moglie,
Non mi dispiace per l’eroe in persona…
Ma per le lacrime delle povere madri!
Come potranno dimenticare i loro figli
Uccisi sul campo insanguinato…».

E ora vi leggo il verbale di polizia dopo il fermo. Vi avverto che non è una parodia, ma un testo reale.

«Summ Ljubov’ Borisovna ha esposto uno strumento di palese propaganda, un cartello con la scritta… La suddetta palese propaganda riporta versi della poesia di N. Nekrasov Osservando gli orrori della guerra, scritta dall’autore negli ultimi anni della guerra di Crimea sotto l’influsso dei Racconti di Sebastopoli di L. Tolstoj. Dette opere contengono un’ideologia eversiva del potere, che critica il governo in quanto giustifica la violenza…».

Anche semplicemente trasmettere idee e concetti umanitari tradizionali richiede un certo coraggio. Questa, sottolineo, non è resistenza in senso classico, e tanto meno una fronda politica, ma qualcos’altro. Esiste l’espressione «restare saldi nella fede». È quando una persona non va all’attacco, non cade in preda alla rabbia, non si preoccupa di dimostrare al potere e alla società di essere nel giusto. Ma non rinuncia neppure ai propri principi per semplificarsi la posizione sociale. Come scrisse Lutero: «Qui sto, e non posso fare altrimenti». Oggi assistiamo non solo al restare saldi nella fede, ma anche, direi, al restare saldi nei valori umani.

La forza della libertà e la riconquista della pace

A. Archangel’skij durante l’incontro al Meeting. (facebook)

Un bilancio

E quindi: immobilismo, comprensione frammentaria di ciò che accade, presa di distanza, divisione, scelta dei valori umani, scelta personale.
Da un lato, siamo in una situazione molto scomoda per fare analisi e pronostici. Dall’altro, la situazione ci dà motivo di nutrire un certo ottimismo sulle persone.

La storia si è abbassata dalle vette mondiali fino al livello della singola persona. La singola persona è più facile da vincere fisicamente, ma più difficile da superare moralmente.

Alla domanda se la cultura può essere il terreno per una ricomposizione, rispondo che da una parte la risposta alla domanda è evidente: Europa e Russia oggi possono incontrarsi solo sul terreno della cultura..

Il dialogo fra le Chiese è venuto repentinamente meno, a motivo delle posizioni dell’episcopato russo. La scienza ha cessato di essere una piattaforma per motivi oggettivi: gli scienziati russi vengono riconosciuti come personalità, ma non esiste e non può esistere nessuna collaborazione internazionale.
Anche nella sfera culturale la cooperazione incontra difficoltà, le case editrici cessano di vendere i diritti per le traduzioni, le compagnie cinematografiche non vendono i diritti per i film, i teatri interrompono le tournée, e non si prevedono scambi di mostre. Se verrà presa la decisione di abolire i visti Schengen per i russi non ne soffriranno solo gli estimatori delle boutiques milanesi, ma anche quelli che continuano ad avere un influsso sulle menti all’interno della Russia. Saranno più indifesi davanti all’arbitrio, non avranno dove rifugiarsi in caso di sventura.

Ma, innanzitutto, questi problemi sono imparagonabili a quello che subiscono i profughi.
In secondo luogo, la cultura è organizzata diversamente dalla scienza, almeno in alcune sfere è in grado di fare a meno delle istituzioni, presuppone un rapporto personale con l’artista, lo scrittore, il pensatore. Molto al suo interno esiste a prescindere dalle frontiere, è in grado di sopravvivere anche se non c’è libertà e sa abbattere la cortina di ferro. Infine, attraverso la cultura, come attraverso un tubo sott’acqua, sovente in Russia riescono a respirare sia la Chiesa priva di libertà, sia la filosofia cacciata dalle università.

Ricordiamo il grande romanzo scritto da Pasternak nell’URSS staliniana. Un romanzo cristiano, un romanzo filosofico. Un romanzo uscito per la prima volta proprio in Italia, in italiano. Un romanzo scritto da uno scrittore che non poté recarsi all’estero dal 1936 fino alla sua morte nel 1960.

Talvolta sembra che puntare sulla cultura sia una posizione troppo debole e ingenua. E che non ci siano chances di ripristinare la fiducia persa, e ogni tentativo sia inutile. Eppure, voglio ricordare che proprio nel 1957, quando a Milano usciva Il dottor Živago, sempre a Milano padre Romano Scalfi con l’amicizia di don Luigi Giussani fondava l’associazione laicale «Russia Cristiana». Russia Cristiana era un progetto sia religioso che sociale e culturale.

Voglio sottolineare ancora una volta la data. Il 1957, vale a dire 4 anni dopo la morte di Stalin costituire una simile associazione in Occidente era altrettanto inutile che scrivere Il dottor Živago all’Est.

In conclusione, il romanzo di Pasternak fu letto da milioni di persone, una rinascita cristiana in Russia iniziò, sia pure lentamente. E ad un tratto ci si accorse che anticipare i tempi, fare ciò che adesso sembra impossibile era l’unica scelta sensata. «Impossibile? Allora vuol dire che val la pena provarci». Proprio così (recita la leggenda) rispose papa Giovanni XXIII all’obiezione che convocare il Concilio Vaticano II come aveva pensato era impossibile.

La forza della libertà e la riconquista della pace

Un pannello che inneggia ai soldati russi imbrattato con la scritta “assassino”, San Pietroburgo. (facebook)

C’è però un altro aspetto del problema. E ci sono questioni ben più complesse. E cioè: in che forme e con quali contenuti cooperare? Cooperare, con quale cultura? Innanzitutto parliamo delle forme. Esse cambieranno completamente, non ci sarà più nessuna abituale diplomazia culturale, nessuna infrastruttura di scambio. Ci sarà una cooperazione individuale con persone concrete. Con quelli che sono venuti in Occidente sarà diretta e immediata, con quelli che sono rimasti in Russia avverrà attraverso le piattaforme che continuano a rimanere, ad esempio la Biblioteca dello spirito di Mosca.

Il compito che ci aspetta non è quello di abolire il passato, no, ma di parlare insieme del futuro. Quali idee e figure fondamentali della Russia abbiano superato la prova della catastrofe, e quali no; e soprattutto, far nostra la nuova esperienza. Ad esempio, la poetessa Ol’ga Sedakova ha pubblicato il libro Tradurre Dante, che contiene la traduzione in prosa di tre canti del Purgatorio e del Paradiso, con relativo commento. E d’un tratto ci si accorge che lavorare su Dante è legato alla cruenta contemporaneità.
Con questa cultura russa un dialogo è possibile, e necessario.

In Russia ci si preoccupa molto perché nel mondo «ci cancellano». È uno spauracchio agitato dalla televisione, e sui social divampano lunghe monotone discussioni. Ma, innanzitutto, in realtà a cancellare la cultura russa è il verbale di polizia su Nekrasov e Tolstoj che ho citato.
In secondo luogo, a Puškin e Bulgakov è indifferente che i loro monumenti ci siano o no. Non è così importante che cosa sarà del blocco di metallo, l’importante è un’altra cosa: che soffrano degli innocenti. Se sia possibile la pace dopo la catastrofe. Se vinceranno i «buoni sentimenti» e la «misericordia» celebrati da Puškin nella poesia che si intitola appunto Monumento. Se noi, anche sul fondamento della cultura, sapremo costruire una società diversa e dare un ordine nuovo al mondo, anche Puškin sarà sano e salvo. Verrà letto, di lui si parlerà. In caso contrario, non ci sarà nessun Puškin che possa salvarci.

Per il momento dobbiamo lavorare sugli errori. Non sto parlando del potere, che è troppo lontano da noi e per il quale non sono disposto a rispondere, ma innanzitutto dei miei stessi errori.

Ad esempio, dobbiamo cambiare la nostra ottica, ampliare il diapason, imparare dall’esperienza altrui. Magari dall’esperienza della libera poesia ucraina del XX-XXI secolo, per viverne la bellezza e intensità. E, forse, riscoprire qualcosa in noi stessi.

Molti anni fa sono stato in un museo che si trova a Perm’, sul luogo dove sorgeva un lager per detenuti politici negli anni 1970-80. Mi guidarono in questo museo il dissidente Sergej Kovalev e uno dei fondatori dell’associazione Memorial, Arsenij Roginskij. Entrambi erano stati detenuti in questo lager.
Fu allora che per la prima volta sentii parlare del poeta e detenuto ucraino Vasilij Stus, morto a Perm’ nei primi anni di governo di Gorbačev. In segno di protesta aveva indetto uno sciopero della fame, da cui non sarebbe tornato indietro. Quando ho letto i versi di Stus, molte cose nella vita mi si sono chiarite. E voglio concludere il mio intervento con una sua poesia, che suona come un comandamento di stoico umanesimo. E, forse, come una speranza che l’umano nell’uomo vincerà.

Sopporta, sopporta – la pazienza ti plasma,
Si tempra il tuo spirito, e tu sopporta, sopporta.
Nessuno ti salverà dalla sventura,
nessuno ti strapperà dal tuo sentiero.
Lì rimani e fai fronte sino alla morte,
sino alla luce e al sole, rimani, stai.
Che tu possa percorrere tutto il tuo cammino
verso il paradiso, o l’inferno, o la prigionia
e che tu possa resistere.
Crea la tua strada, quella che è solo tua,
quella che ti ha scelto per i secoli eterni.
Le sei consacrato dall’infanzia
Il Signore stesso te l’ha imposta.

Vasil’ Stus

Rivedi l’incontro La forza della libertà e la riconquista della pace:


(foto apertura: facebook Meeting di Rimini)

Aleksandr Archangel'skij

Giornalista, scrittore e conduttore televisivo. Ha collaborato con le maggiori testate russe e ha al suo attivo numerose pubblicazioni. È docente alla facoltà di comunicazione multimediale presso la Scuola superiore di economia di Mosca.

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