22 Novembre 2017

Furto con scasso negli archivi

Giacomo Foni

Quarant’anni fa dei giovani dissidenti tentarono di applicare all’ambito scientifico il richiamo a «vivere senza menzogna». Ne nacquero delle raccolte storiche clandestine di enorme valore, anche metodologico.

Nell’ampio panorama dei testi samizdat pubblicati a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80, l’almanacco storico Pamjat’ (Memoria) merita certamente un posto speciale, per la sistematicità, il rigore e la profondità del suo contributo. Il titolo Memoria rappresentava a tutti gli effetti la dichiarazione programmatica degli autori-redattori – tra cui ricordiamo l’allora trentenne Arsenij Roginskij, tra i futuri fondatori di Memorial – oltre che l’orizzonte ideale a cui essi tendevano nel loro lavoro. Cosa accade quando tutta la società viene colpita da amnesia? – si domandavano nella prefazione al primo numero. L’amnesia è una malattia grave, l’individuo perde la percezione della continuità con il passato, il legame con esso: perde ogni consistenza, diventando inerme e malleabile. La storia viene soppiantata dal mito, la verità si perde, annacquata nella menzogna.

Tentativo degli autori di Pamjat’ è allora quello di «salvare dall’oblio tutti i fatti e gli eventi storici condannati a scomparire, soprattutto i nomi delle vittime, delle persone vessate, calunniate; ma anche quelli dei carnefici, dei delatori, dei denigratori». Dal 1976 al 1981, anno dell’arresto di Roginskij, escono clandestinamente cinque volumi di circa 800 pagine dattiloscritte l’uno, in cui vengono pubblicati studi e memorie su vari aspetti della storia russa del XX secolo: storia dei partiti politici, dossier sulle repressioni, studi sulla scienza sovietica, sulla diplomazia, documenti di archivi privati e statali, di cui era proibita la pubblicazione. Gli stessi volumi saranno pubblicati anche negli Stati Uniti dal 1978, sotto la cura editoriale di Natal’ja Gorbanevskaja.

Un tentativo di «vivere senza menzogna» – secondo l’espressione di Solženicyn – che non si limita solo alla pubblicazione di materiali dimenticati o proibiti, ma che riguarda il metodo stesso di lavoro: l’indagine storico-scientifica rigorosa, il tono sobrio, la minuziosa revisione dei testi pubblicati, la verifica delle fonti, sono già segno di diversità rispetto a una storiografia ufficiale capziosa, menzognera e negligentemente «smemorata».
Il volume L’almanacco storico Pamjat’ – Materiali e studi 1. recentemente pubblicato in Russia dalla casa editrice NLO, costituisce il primo studio dedicato all’esperienza di Pamjat’. Oltre a due saggi introduttivi, uno della storica canadese Barbara Martin e l’altro di Anton Svešnikov, sul contesto storico, storiografico, e sulla storia editoriale, contiene sei interviste agli ex-redattori; per mezzo di questo materiale inedito i curatori cercano di tirare un bilancio di tale esperienza. E tuttavia, oltre alla volontà di produrre un’opera storico-scientifica di valore, ci pare di scorgere nella pubblicazione del volume qualcosa di più: un monito discreto alla società e alle coscienze contemporanee. E forse per la Russia odierna – ma non solo, – in cui spesso la memoria storica cede il passo al gossip, agli umori di pancia e alle passioni politiche, diventando così strumento nella mano del potere di turno, il richiamo alla sobrietà e all’oggettività che l’esperienza di Pamjat’ testimonia, può davvero costituire una medicina preziosa e salutare.

Giacomo Foni

Ricercatore e traduttore presso la Fondazione Russia Cristiana, vincitore nel 2015 del premio Russia-Italia attraverso i secoli per la traduzione di Lettere ai Nemici del filosofo Nikolaj Berdjaev. Fra i suoi interessi la letteratura e la cultura filosofica russa, la storia della Chiesa, i problemi legati ai rapporti religiosi tra Oriente e Occidente.

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