17 Aprile 2023

Sconfiggere il drago non basta

Evgenij Zacharov | Angelo Bonaguro

Da Charkiv gli attivisti del Gruppo per la difesa dei diritti umani diffondono un bollettino in cui raccontano le iniziative russe contro l’invasione, convinti della necessità di un sostegno reciproco. Amano l’Ucraina ma non fanno sconti al governo, e operano perché l’odio non si radichi nelle giovani generazioni. Intervista al direttore Zacharov.

Perché occuparsi di diritti umani in un paese non autoritario? È la domanda che sorge spontanea di fronte all’ucraino Evgenij Zacharov di Charkiv, 70 anni e un passato da dissidente. Grazie a una madre tutta d’un pezzo, che non si piegò mai all’opinione comune e che conosceva personalità indipendenti come il poeta Boris Čičibabin, Julij Daniel’ e Larisa Bogoraz, Evgenij è cresciuto a pane e cultura alternativa, finché, dopo la caduta del regime, nel 1992 è diventato presidente del Gruppo per la difesa dei diritti umani. Da allora, diversamente da molti ex dissidenti, non ha avuto timore di entrare in politica: è stato nel Consiglio comunale di Charkiv (occupandosi tra l’altro di riabilitazioni delle vittime del regime), mentre nel 2014 ha presieduto il Consiglio di esperti incaricati di riformare la pubblica sicurezza.
Oggi la sua missione in Ucraina consiste nel difendere i diritti umani e le libertà fondamentali da eventuali ingerenze dello Stato, come pure nell’aiutare le autorità statali a sostenere e proteggere tali diritti e libertà.
Il suo gruppo offre assistenza legale gratuita (sono 10mila i cittadini assistiti negli ultimi trent’anni), monitora la legislazione, è in contatto con la Corte europea dei diritti dell’uomo, e ha contribuito all’abolizione della pena di morte in Ucraina e alla revisione del Codice di procedura penale. Un altro ambito interessante è quello formativo, e partiamo proprio da qui per fargli alcune domande sulla sua scomoda posizione di «coscienza critica» dell’Ucraina in guerra.

Sconfiggere il drago non basta

(ChPG)

Prima della guerra, la vostra organizzazione ha tenuto corsi sui diritti umani, dedicati soprattutto ai giovani. Che tipo di formazione proponevate?
Effettivamente da oltre 20 anni conduciamo annualmente seminari per giudici, corsi di formazione per avvocati e per difensori dei diritti umani (per lo più giovani, ma vi hanno partecipato anche quarantenni e cinquantenni). Uno degli obiettivi dei seminari e dei corsi è quello di far conoscere agli ucraini la prassi della Corte europea dei diritti dell’uomo, in modo che possano fare un uso migliore di questo strumento istituzionale. Per le scuole abbiamo cercato di selezionare persone che già lavorano o intendono lavorare in organizzazioni per i diritti umani, in questo senso il nostro obiettivo principale è trovare futuri partner e insegnare loro le tecniche per la difesa dei diritti umani. I nostri corsi erano principalmente applicativi, abbiamo cercato di trasmettere la nostra esperienza. Dopo averne organizzato una trentina, ora abbiamo dei partner in quasi tutte le regioni dell’Ucraina.

Crede che questa guerra possa distruggere anche ciò che di positivo è stato fatto con le giovani generazioni?
La guerra rafforza l’odio, che poi è difficile da superare e con cui è difficile convivere perché distrugge l’uomo.

Ma spero che coloro con cui abbiamo lavorato e che abbiamo formato conservino i nostri valori e che, se l’odio si impossessasse di loro, dopo la guerra saranno in grado di liberarsene. Sconfiggere il drago per trasformarsi loro stessi in draghi non sarebbe una vittoria.

Se almeno tornassero vivi! Dopotutto, questa è una guerra di logoramento, moltissimi ucraini sono già morti, ed erano i migliori. E non se ne vede la fine.

È interessante che il vostro gruppo non abbia concesso sconti nemmeno al governo ucraino riguardo alla libertà di espressione e ai diritti umani.
Sì, ci opponiamo alle azioni del nostro presidente, del parlamento e del governo quando le loro azioni violano i diritti umani. Ci troviamo in una posizione difficile, perché le nostre critiche possono essere usate dal nemico contro l’Ucraina. Perciò agiamo pubblicamente solo quando siamo convinti che queste violazioni farebbero il gioco del nemico. Purtroppo gli episodi di questo tipo si moltiplicano. D’altra parte, quando c’è la guerra è facile scivolare nell’autoritarismo, ma anche prima dell’invasione su larga scala erano diffusi le tendenze autoritarie del governo e il disprezzo per la legge. Perciò su questo non possiamo tacere.

Zacharov

(ChPG)

Cosa vi ha spinto a pubblicare un digest settimanale (in inglese e ucraino) sulle proteste russe contro la guerra in Ucraina? È accessibile o diffuso anche in Russia?
Lo pubblichiamo dall’inizio della guerra perché vogliamo informare il nostro paese e il mondo, e sottolineare che una parte della popolazione russa sostiene l’Ucraina e si oppone alla guerra: anche se non supera il 5%, non è nemmeno poco. Sono convinto che questa parte di popolazione abbia bisogno del nostro aiuto e del nostro sostegno, e viceversa. Sono loro che portavano e portano tuttora i pacchi ai nostri prigionieri politici e ai prigionieri di guerra ucraini in Russia, sono loro che aiutano i nostri rifugiati a lasciare la Russia per l’Europa in una situazione in cui, senza questi aiuti, non si sarebbero mossi.

Questo digest è anche un argomento contro l’opinione di quegli ucraini (e purtroppo sono la maggioranza) che credono che tutti i russi sostengano la guerra contro di noi. Non è così, non riguarda tutti.

Secondo Lei l’opposizione socio-politica in Russia ha possibilità di ottenere risultati? Esistono figure in grado di catalizzare queste forze in futuro?
A mio avviso oggi l’opposizione questa possibilità non ce l’ha. Ma potrebbe subentrare dopo che la Russia avrà perso la guerra (credo sia inevitabile, solo non è chiaro quando e a quale costo), e allora potrebbero emergere nuovi leader, soprattutto tra coloro che si sono opposti all’aggressione e per questo sono stati puniti con il carcere, come Vladimir Kara-Murza, Il’ja Jašin, Dmitrij Ivanov e altri.

Nel giro di un anno, in Russia le manifestazioni contro la guerra si sono trasformate in singoli picchetti o in gesti come volantini incollati qua e là, croci piantate nei cortili o nei parchi, singole iniziative encomiabili e «riparatorie» che però non sembrano scuotere l’opinione pubblica. Sembra insomma che le proteste pubbliche non abbiano ottenuto risultati apprezzabili…
Eppure io ritengo che abbiano ottenuto più risultati di quel che appare! Hanno cominciato a esaurirsi perché per aver compiuto gesti come quelli descritti si può essere condannati a una lunga pena detentiva, una punizione evidentemente sproporzionata rispetto al danno che, ipoteticamente, dal punto di vista delle autorità russe sarebbe provocato. È naturale che nessuno voglia marcire nei campi di detenzione russi, ma questo non significa che si sia cominciato a pensarla diversamente. Il problema è che una parte significativa dei russi crede alla propaganda, alle bugie sull’Ucraina e sull’Occidente che vengono riversate a fiumi dagli schermi tv e dai microfoni. Ma anche il numero di questi russi diminuirà man mano che aumenterà quello delle bare dei soldati che rientrano dall’Ucraina. A quanto pare, la maggior parte dei giovani russi non sostiene più la guerra, perché non vuole morire e uccidere gli altri. Penso che questi processi gradualmente aumenteranno.

Sconfiggere il drago non basta

«Quanti sono morti a Mariupol’? E per che cosa?». Croce piantata in un parco cittadino. (Telegram)

Lei ha vissuto in prima persona anche l’epoca del dissenso sovietico: sua madre era in contatto con alcune personalità della cultura informale, Lei stesso è stato corrispondente del quotidiano indipendente «Express-Chronika» nonché membro del Gruppo Helsinki moscovita.
Quali sono le differenze tra la situazione dei diritti umani allora e quella nella Russia attuale?
La situazione dei diritti umani nella Russia contemporanea sta diventando sempre più simile a quella del tardo socialismo brežneviano: la guerra afghana, iniziata nel 1979 e che fu molto meno dolorosa per la Russia, l’assenza di libertà politica in generale e delle sue manifestazioni – la libertà di parola, di informazione, di confessione religiosa, di riunione – e le pochissime persone che si opponevano a quella politica venivano severamente punite con lunghe reclusioni in lager.
La differenza è che allora era quasi impossibile emigrare, mentre oggi lo si può fare, sia pur con difficoltà. Ma allora per i cittadini russi la speranza di cambiamento era riposta nella sostituzione della decrepita leadership sovietica, mentre ora le speranze sono davvero scarse, perciò c’è l’emigrazione di massa, soprattutto dell’élite scientifica e culturale.

Monumenti distrutti, manuali di storia riscritti, scrittori censurati, da una parte e dall’altra. Come affrontare i pericoli legati alla cancel culture, sia in Russia che in Ucraina?
Come ha scritto Bulat Okudžava1:
«Colpevole non è la lingua ma un meschino spirito servile,
polacco o moscovita, in un cervello avvelenato»2

Non perdo mai l’occasione di citare questa strofa, di parlare, quando è il caso, dei russi che sono a favore dell’Ucraina e di ringraziarli per il loro coraggio e il loro aiuto.

La bielorussa Tat’jana Gacura-Javorskaja ha realizzato un breve documentario sui russi che combattono per l’Ucraina, e io lo sto diffondendo. Naturalmente, finisco per scontrarmi con l’élite culturale ucraina, per la quale la cosa principale oggi è liberarsi dal colonialismo della cultura russa imperiale, ma per me l’onestà intellettuale vale di più.

Sono convinto che nella cultura russa fossero presenti due correnti, quella imperiale e quella anti-imperiale, e il fatto che ora la corrente anti-imperiale abbia perso non significa che sia per sempre. Spero che dopo la guerra l’intelligencija ucraina si rapporti in modo più sereno alla cultura e alla lingua russa, al cui sviluppo gli ucraini, tra l’altro, hanno contribuito molto.

Orlov Pavlicenko Zacharov drago

Zacharov (al centro) con O. Orlov di Memorial (a sin.) e A. Pavličenko, Direttore del Gruppo Helsinki ucraino e funzionario della Commissione presidenziale per la Grazia. (ChPG)

Non teme un’ondata di nazionalismo in Ucraina, che tende a escludere i russofoni e tutto ciò che non corrisponde alla difesa della patria? Ritiene che si debba fare qualcosa al riguardo?
No, non lo temo. Nell’Ucraina post-sovietica non c’è mai stato un forte nazionalismo, per gli ucraini sono state più importanti la democrazia interna e la tolleranza. Ricordo che alle elezioni presidenziali del 2014, tutti e quattro i candidati delle formazioni nazionaliste – eroi di piazza Majdan, tra l’altro! – tutti insieme hanno ottenuto meno del 2%.

Ho più paura delle decisioni populiste contro gli avversari politici, i ricchi, i top manager delle aziende statali accusati indiscriminatamente di corruzione, che della lotta contro i russofoni. Il russo è la lingua madre di almeno un terzo della popolazione ucraina, se non di più, e credo che il buon senso nel dopoguerra prevarrà. Ora dobbiamo stroncare tutti i tentativi di discriminazione di questo tipo, senza permettere che si concretizzino a livello parlamentare. Una cosa diversa è che attualmente molti russofoni passano all’ucraino sotto l’influenza della guerra, cioè non vogliono parlare la lingua dell’aggressore.

(intervista di A. Bonaguro)


(foto d’apertura: ChPG)

Evgenij Zacharov

Nato nel 1952 a Charkiv, ingegnere, in epoca sovietica è stato attivista per i diritti umani e giornalista del samizdat. Negli anni ’90 è stato deputato del Consiglio comunale di Charkiv, e dal 2011 è direttore del locale Gruppo per i diritti umani.

 

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Angelo Bonaguro

È ricercatore presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si occupa in modo particolare della storia del dissenso dei paesi centro-europei.

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