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13 Novembre 2023
Sacharov, la battaglia dell’«Asceta»
È uscito recentemente il volume Oggetto di sorveglianza. Il KGB contro Sacharov, curato da Memorial. La recensione apparsa sulla rivista «Znamja» rievoca efficacemente l’atmosfera degli ultimi decenni sovietici e il «potere dei senza potere» rappresentato dai dissidenti.
La pubblicazione di questa raccolta, ottimamente curata dal punto di vista scientifico, di ben 183 documenti desecretati sulla sorveglianza e le repressioni del KGB nei confronti dell’accademico Andrej Sacharov (1921-1989) e di sua moglie Elena Bonner (1923-2011), fa ulteriormente luce sui rapporti tra Stato totalitario e movimento del dissenso negli anni ’60-80.
Come scrive nella sua introduzione lo storico delle repressioni sovietiche Nikita Petrov, sebbene il numero delle persone incriminate tra il 1974 e il 1986 per «agitazione e propaganda sovietica» oscillasse annualmente tra la quindicina e la cinquantina, a essere arrestati e condannati in questo periodo erano in genere i dissidenti più in vista, oltre al fatto che gli agenti del KGB tenevano attivamente «sotto pressione» fino a ventimila cittadini sovietici all’anno. Tutto questo valeva a mantenere nel paese un’atmosfera di terrore morale e a ostacolare con successo il formarsi di una società civile.
A scopo cospirativo, ai leader della resistenza al totalitarismo e al militarismo gli agenti davano nei documenti interni dei nomi in codice che rendevano in qualche modo l’idea che si erano fatti dei soggetti da sorvegliare. Ad esempio, Elena Bonner era la «Volpe», Solženicyn il «Ragno», Galič il «Bardo», Roj Medvedev il «Pedagogo» e così via.
A Sacharov venne affibbiato il nome, non meno eloquente, di «Asceta».
Come osservava in una delle sue note Andropov [presidente del KGB], Sacharov andava soggetto a «bruschi sbalzi passando da distacco e chiusura ad attivismo e comunicatività».
La vita di Sacharov, insieme a Solženicyn uno dei più famosi dissidenti dell’ultima fase sovietica, mostra quanto possa fare per la libertà di tutti una sola persona impavida, dotata di un’intelligenza penetrante e di una volontà inflessibile, attenendosi unicamente a metodi pacifici e legali di lotta contro un sistema volto a soffocare qualunque dissenso.
La prima cosa che salta all’occhio leggendo questo libro, in cui ogni documento è accompagnato da un esaustivo apparato critico, è la negligenza con cui erano stilati i rapporti dei servizi segreti per il Politburo del PCUS sulla situazione dell’accademico Sacharov e dei suoi compagni di battaglia. Sovente vengono confusi i nomi degli attivisti, delle città, le date dei fatti; vengono distorti o inventati i titoli di libri e articoli «dannosi», come pure le citazioni riportate; sono alterate le circostanze delle varie iniziative e azioni. In altre parole, perfino i documenti top secret, destinati esclusivamente a informare i boss del partito, erano conditi con una buona dose di manipolazione e menzogna.
Si penserebbe che i cinici čekisti, a differenza degli ideologi comunisti ufficiali, dovessero stilare rapporti analitici attenendosi scrupolosamente ai fatti, evitando di metterci del proprio, ma in effetti non era così. Il linguaggio di questi documenti è zeppo di sfoghi emotivi contro coloro che il KGB non lasciava vivere e lavorare in pace. Non di rado vi si trovano espressioni come «pasquinata», «calunnia a scopo di denigrazione», vi si dice che le vittime «abbaiano impunemente contro il potere sovietico», «non stanno nella pelle» e così via.
Man mano che si procede nella lettura risulta inoltre evidente come cresceva gradualmente l’influsso del KGB, e personalmente del suo capo Jurij Andropov, nel prendere le decisioni non solo rispetto a Sacharov, ma in generale nelle questioni di politica interna. Se inizialmente alcune proposte del presidente del KGB venivano rimandate a tempo indeterminato, oppure semplicemente ignorate dai membri del Politburo (si ritiene che il principale «difensore» di Sacharov fosse Leonid Brežnev, che lo conosceva di persona), con il passar del tempo cominciarono a essere assunte pressoché come direttive per l’azione.
Colpiscono le massicce proporzioni della pressione esercitata su Sacharov e la sua famiglia: dalla sorveglianza totale e i colloqui «educativi» fino a perquisizioni, aggressioni criminali e all’isolamento nel soggiorno forzato (a metà tra l’arresto e il confino) a Gor’kij. Un posto speciale occupavano la campagna di stampa contro l’«Asceta» e la fabbricazione di materiali che potessero comprometterlo, destinati a seminare sfiducia e odio contro il premio Nobel sia all’interno dell’URSS che all’estero (a questo scopo venivano usati influencer che agivano negli ambienti giornalistici occidentali, tipo Victor Louis).
Si tentò di accusare Sacharov di divulgare segreti di Stato nei suoi contatti con stranieri, e addirittura di coprire dei terroristi. Si escogitarono astuti stratagemmi per rovinare i suoi rapporti con i compagni di lotta e i familiari più stretti. Fu proprio il KGB a creare e promuovere attivamente il mito di un Sacharov completamente imbelle e soggetto ai cattivi influssi di terzi, in primo luogo della moglie ebrea, strettamente legata ai servizi segreti occidentali e al sionismo mondiale, che l’avrebbe costretto con tutte le sue forze a partecipare all’attività antisovietica. Nei documenti della raccolta si incontrano in effetti numerosi apprezzamenti antisemiti, alcuni anche appartenenti a Gorbačev.
Un altro strumento di pressione su Sacharov era l’«indignazione popolare» per la sua «attività eversiva», indignazione che veniva fomentata dagli agenti della sicurezza. Ad esempio, nel 1973 vennero preparate alcune lettere di denuncia e si costrinsero a firmarle vari suoi colleghi accademici, con alcuni dei quali in precedenza era stato in buoni rapporti (come il premio Nobel per la chimica Semenov), e noti scrittori. In calce alla lettera degli scrittori apparsa sulla «Pravda», in cui si diceva che Sacharov «offende l’onore e la dignità degli studiosi sovietici», oltre a nomi scontati come Michail Šolochov, Sergej Michalkov e Jurij Bondarev, apparivano anche le firme di Čingiz Ajtmatov, Vasil’ Bykov, Rasul Gamzatov, Sergej Zalygin e altri ancora. Pur di screditare Sacharov non venne risparmiata neppure la reputazione di compositori come Dmitrij Šostakovič e Rodion Ščedrin, che ovviamente non avrebbero mai firmato di propria iniziativa una lettera del genere.
Una cosa che faceva soffrire l’ostinato «Asceta» erano anche segnali d’altro genere, relativi alle rappresaglie subite da quanti si rivolgevano a lui per chiedere aiuto. Ad esempio, nel novembre 1975, tornando a casa dopo essere stato da Sacharov, perì – gettato dal treno in corsa – il consulente legale Evgenij Brunov, che si era lamentato dei suoi conflitti con le autorità. Nel giugno 1976, in seguito a gravi traumi infertigli da ignoti mentre stava facendo ritorno a casa, morì Konstantin Bogatyrev, filologo, traduttore e amico di Sacharov. Gli aggressori non furono mai scoperti. I casi analoghi capitati a conoscenti dell’accademico non sono pochi.
È sorprendente, ma tra il momento in cui il movimento del dissenso in URSS fu completamente sbaragliato – il 1983 (con la cessazione della «Cronaca degli avvenimenti correnti» e l’interruzione dell’attività pubblica del Fondo di aiuto ai detenuti politici e alle loro famiglie), – e i radicali mutamenti politici che trovarono espressione, in particolare, nell’allentamento della censura di Stato e nella liberazione dei prigioni politici, trascorsero solo pochi anni. E certamente, una delle pietre miliari simboliche più evidenti a separare la vecchia e la nuova epoca fu il ritorno a Mosca di Sacharov e della Bonner dal confino a Gor’kij nel dicembre 1986. Il Ppaese recepì questo gesto di Gorbačev come l’inizio vero, e non di facciata, della perestrojka.
Foto di apertura: Sacharov a Gor’kij, febbraio 1980. (Archivio Sacharov)
Nikolaj Podosokorskij
Nikolaj Podosokorskij è ricercatore presso il centro Dostoevskij e la cultura mondiale. Storico di formazione, si è specializzato in letteratura russa approfondendo in particolare il romanzo L’idiota di F.M. Dostoevskij.
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