9 Ottobre 2020

I «pensieri pericolosi» di Jurij Orlov

Giovanna Parravicini

Ricordando un dissidente degli anni ’70 riscopriamo, incredibilmente attuali, i cardini del suo impegno. Come la centralità della persona e il dialogo pieno di rispetto. Forse è su questo punto che oggi abbiamo sbagliato strada.

Il 27 settembre è morto Jurij Orlov, uno dei patriarchi del movimento in difesa dei diritti umani. Basta sfogliare le annate della nostra rivista dall’inizio degli anni ’70 per veder ricorrere il suo nome in calce a dossier, lettere aperte, petizioni, denunce – testimonianza di un’indefessa attività a sostegno del processo di democratizzazione nel paese. Anche a distanza di decenni, ciò che gli vale l’indiscussa ammirazione di quanti l’hanno conosciuto e avuto come compagno di tante battaglie, è soprattutto il sentimento di profonda responsabilità personale che ha animato la sua protesta e la sua attività pubblica, a prescindere dai rischi che comportava e dagli scarsi esiti prevedibili.

«Pensieri pericolosi» – così Jurij Orlov ha intitolato le memorie che ha scritto nel 1991, ormai in America, dopo essere stato espulso dall’URSS nel 1986 in seguito a uno scambio di prigionieri concordato da Gorbačev e Reagan nell’incontro di Reykjavik.

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Giovanna Parravicini

Ricercatrice della Fondazione Russia Cristiana. Specialista di storia della Chiesa in Russia nel XX secolo e di storia dell’arte bizantina e russa. A Mosca ha collaborato per anni con la Nunziatura Apostolica; attualmente è Consigliere dell’Ordine di Malta e lavora presso il Centro Culturale Pokrovskie Vorota. Dal 2009 è Consultore del Pontificio Consiglio per la Cultura.

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