24 Ottobre 2023

Majakovskij, un gigante tradito

Giovanna Parravicini

La nuova biografia del poeta riesce ad esprimere compiutamente la sua tragica avventura umana, nel contesto di una cultura vivacissima, che stava per essere soffocata.

Majakovskij, un gigante tradito

La copertina del volume di B. Jangfeldt, Majakovskij. Una vita in gioco, Ed. Neri Pozza 2022.

In un’appassionante quanto documentata narrazione lo slavista norvegese Jangfeldt, docente all’università di Stoccolma, presenta l’iter esistenziale e artistico di Majakovskij nel contesto storico-politico della Russia e dell’Unione Sovietica, sullo sfondo di movimenti, correnti e circoli letterari e culturali artistici esistenti nel paese e in tutta Europa, e infine nel travaglio delle sue burrascose vicende esistenziali – battaglie ideali, ricerche artistiche, amicizie e tormentate relazioni sentimentali – in primis l’amore per Lili Brik e il complesso rapporto con lei e il marito, ma anche legami con altre donne, una delle quali gli avrebbe dato una figlia.

Realmente «una vita in gioco», come sottotitola il volume. È questo il tema che il biografo ha il merito di sviluppare a tutto campo, evocando con vivezza e dovizia di particolari i protagonisti della cerchia di rapporti all’interno della quale Majakovskij si muove: oltre ai già citati coniugi Brik, il gruppo dei futuristi, Roman Jakobson, Viktor Šklovskij, Boris Pasternak e altri protagonisti della vita letteraria del tempo, che accanto a personaggi più controversi come Gor’kij o Lunačarskij concorrono a delineare il quadro di una generazione in cui la genialità e una profonda erudizione si accompagnano a una drammatica ricerca esistenziale e artistica, a una provocatoria battaglia per la libertà e l’autenticità, che ben presto si risolve in sconfitta.

La rivoluzione sognata non solo non riesce a coincidere con i mutamenti politici e la nuova ideologia che si instaura nel paese, ma nel tempo ne viene brutalmente defraudata;

il progressivo imporsi di un regime ferreo e determinato dalla lotta per il potere finisce per costringere all’esilio chi non si rassegna a rientrare nei ranghi – si tratti dell’emigrazione o addirittura del suicidio (quello di Esenin, ad esempio).

Il tema del suicidio, ricorrente nella biografia di Majakovskij fin dagli anni giovanili, affiora proprio quando il poeta si scontra con l’impossibilità di realizzare quell’istanza umana a cui aspirava la sua «anima senza un solo capello canuto».

Da questo impeto di pienezza scaturiscono la passione per l’azzardo, il desiderio affannoso, quasi brutale di strappare l’essenza della vita in tutto: nel modo di porsi con gli amici o in pubblico, nella mania quasi ossessiva per il gioco, nel bisogno di monopolizzare le persone amate, nel massimalismo politico.
Come pure nella sua maldestra tenerezza di eterno adolescente, che troviamo espressa ancora una volta nei rapporti umani, nelle liriche amorose che costituiscono grande parte della sua produzione poetica, paradossalmente accanto ai manifesti di propaganda e ai temi politici che fecero di lui il simbolo stesso della rivoluzione; nell’acuta sensibilità che gli farà aborrire per tutta la vita ogni falsità percepita, lo renderà così disarmato nei rapporti personali e nei confronti del potere, e lo condurrà infine alla morte, quando la solitudine, l’estraneità, la menzogna di coloro e di ciò in cui aveva creduto si faranno ineludibili.

Majakovskij, un gigante tradito

Inaugurazione del monumento a Majakovskij (1958). (wikimedia)

Da più parti negli anni è stata avanzata l’ipotesi che il suicidio di Majakovskij fosse stato in realtà un omicidio ben orchestrato dal potere. Se la biografia di Jangfeldt attesta, attraverso lo studio delle fonti, che fu proprio il poeta a premere il grilletto, il racconto dei suoi ultimi anni e mesi di vita descrive un uomo progressivamente messo con le spalle al muro, emarginato dal sistema e dalla sua politica letteraria, prosciugato delle sue energie vitali, deluso nelle sue speranze più intime fino a essere spinto nel baratro.

E in morte venne ucciso nuovamente dal potere, che cercò in ogni modo di occultare il grido di dolore, di ribellione che aveva voluto esprimere togliendosi la vita, riducendo il suicidio a motivazioni puramente individuali e sentimentali, «piccolo-borghesi», e snaturando la sua personalità fino a farne un emblema dell’ideologia.

Paradossalmente, qualche decennio dopo, nell’estate del 1958 proprio ai piedi del suo monumento in una delle piazze centrali di Mosca, alcuni giovani daranno voce alla rinascita di una poesia e di una cultura libere, che segnerà l’inizio della stagione del samizdat e del dissenso.


Foto di apertura: V. Majakovskij (a destra) con A. Lunačarskij, 1924 (wikimedia)

Giovanna Parravicini

Ricercatrice della Fondazione Russia Cristiana. Specialista di storia della Chiesa in Russia nel XX secolo e di storia dell’arte bizantina e russa. A Mosca ha collaborato per anni con la Nunziatura Apostolica; attualmente è Consigliere dell’Ordine di Malta e lavora presso il Centro Culturale Pokrovskie Vorota. Dal 2009 è Consultore del Pontificio Consiglio per la Cultura.

LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI

Abbonati per accedere a tutti i contenuti del sito.

ABBONATI