21 Aprile 2019

È ancora Pasqua!

Redazione

L’incendio di Notre-Dame ha toccato delle corde profonde dei francesi. Non è soltanto emozione ma un desidero profondo e spesso inconsapevole.

Mentre i pompieri facevano un lavoro durissimo, lottando col fuoco di Notre-Dame, un popolo in ginocchio pregava la nostra Signora di Parigi. Una «collaborazione» che ha dato i suoi frutti, così che ad accogliere i primi pompieri entrati nella cattedrale salvata c’era quell’incredibile croce dorata sul fondo, intatta e splendente in mezzo alla devastazione di calcinacci e travi carbonizzate. Come in contrasto con la croce infuocata del tetto di Notre-Dame all’inizio e in un riconoscimento finale: è Me che avete salvato, soprattutto. La sinergia che si è vista quel giorno tra i pompieri e la gente in preghiera è in fondo la trama normale della nostra vita, senza che ce ne accorgiamo. I miracoli, per lo più, avvengono proprio così: attraverso un accanito sforzo umano che la Grazia sostiene e fa andare a buon fine. I pompieri stessi hanno detto che a lungo le sorti della cattedrale sono rimaste sospese, poteva andare a finire molto male.

La presenza dei parigini in preghiera, la maggior parte giovani, è stata una sorpresa che tutti hanno notato. Non si poteva non notarla. È venuto in primo piano il permanere solido di un popolo credente, minoritario fin che si vuole ma significativo. Forse solo abituato a vivere nelle proprie ridotte per non entrare continuamente in contrasto con un’ideologia laicista piuttosto aggressiva. Del resto, a ben guardare, più che una sorpresa è stata una conferma, nessuno poteva davvero credere che la Francia fosse tutta scristianizzata. Anzi, questa potrebbe essere stata l’occasione perché i cristiani escano definitivamente dalle ridotte, non più in contrapposizione, ma in un’opera che si impone come opera comune.

Ma cosa ancora più sorprendente e bella sono stati i «laici»; il fatto che in tanti ci sia stato un moto di affetto, un contraccolpo, un riconoscimento istintivo che «quella radice» appartiene a ciascuno e non è indifferente, estranea. Non si tratta di estetica o di orgoglio nazionale, è qualcosa che è piantato al cuore di Parigi e della Francia. Innanzitutto come un punto di indicibile bellezza e solida armonia, un luogo cui tantissimi erano abituati, passandovi davanti senza farci caso, dove magari migliaia di parigini non entravano da anni o addirittura non erano mai entrati. Eppure talmente forte e perentorio nella sua oggettiva presenza, che ciascuno nel momento dell’incendio lo ha riconosciuto senza discorsi o retoriche. In quel momento è stato chiaro che è «Notre»-Dame, nostra di tutti, anche a non volerlo. Un’appartenenza cui non si sfugge, come alla figliolanza.

Ce lo ha confermato un amico parigino, che ha scritto:

«Io stavo in una riunione alla libreria YMCA, in Rue de la Montagne Sainte Geneviève, quindi molto vicino a Notre-Dame. Quando il fuoco si è palesato sono uscito e sono sceso verso la Senna con tanti altri, turisti ma anche molti francesi che tornavano dal lavoro, e posso dire di non aver mai visto una folla simile: attonita, grave. Certo, non pregavano tutti ma tutti erano toccati nel vivo. Perché è sbagliato, come ho pensato sempre, credere sulla parola a quanti dicono di essere “atei”, mentre in realtà il più delle volte sono semplicemente confusi. I giornali, questa mattina, sono pieni di testimonianze di “non credenti” che hanno sentito muoversi al fondo di loro stessi qualche cosa che non può che essere definito cristiano, o perlomeno religioso. L’attaccamento alla Madonna e a suo Figlio sono più forti di quanto si possa immaginare. Questa è la buona novella che ci arriva in seno alla disgrazia che ha toccato tutta la Francia e tutta l’Europa. Il cristianesimo non è una vana parola…».

A lui ha fatto eco un amico russo, in una discussione su facebook:

«Guardate le immagini sul canale France24. È presto per dichiarare morta l’Europa. Troppo presto».

Insomma la cattedrale di Notre-Dame, nella sua stupenda bellezza, costituisce davanti a tutti una testimonianza del «Mistero» che si impone come oggettività che attrae, capace di muovere le viscere profonde degli uomini e che non soffre di complessi, non si confonde col resto ma non cerca difese e non ha bisogno di apologie. L’incendio ha rivelato che in fondo tutti desideriamo, cristiani e no, che esista una simile portentosa bellezza, espressa nelle forme o nei gesti. In gesti, magari, come la «scandalosa» genuflessione di papa Francesco davanti ai politici belligeranti del Sud Sudan, che ha lasciato tutti i presenti senza parole per la sua bruciante carità, che superava ogni immaginazione, ogni etichetta, ogni convenienza politica. Solo un cristianesimo così, all’altezza della sua vera natura, «non è una vana parola».

Ed è la Pasqua, di nuovo.

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