22 Ottobre 2018

Mosca-Damasco. Un’amicizia che continua

Jean François Thiry

Prosegue l’insolita amicizia tra il Centro culturale di Mosca «Biblioteca dello Spirito» e la comunità cristiana di Siria che incomincia a ricostruirsi. E punta a riaprire il dialogo con tutte le realtà del paese, che la guerra ha diviso.

Avevo lasciato la Siria nel giugno 2017, una prima permanenza di qualche giorno che mi aveva lasciato un gran desiderio di ritornare, per conoscere la fede e la storia di quel paese e approfondire le amicizie nate. L’occasione era stata quella di una riflessione sulla creazione di un Centro culturale a Damasco, desiderato dai Francescani e sostenuto dal’Associazione Pro Terra Sancta. Come mi aveva confidato allora Padre Bahjat, parroco della chiesa di Bab Tuma e del santuario di Sant’Anania a Damasco: «La guerra ha distrutto la fiducia e la capacità di dialogare, e soprattutto la tensione al bello. Perché non pensare a un luogo che possa riproporre la bellezza della tradizione e della nostra storia all’interno di dialoghi, come è sempre stato nella società siriana prima della guerra, con le altre confessioni e religioni presenti qui?».

L’esperienza del Centro culturale «Biblioteca dello Spirito» a Mosca, fondato da Russia Cristiana, mostra come il creare dei luoghi di incontro reale, di dialogo serio e di educazione, sia un bisogno profondo per una società che ha sperimentato molti traumi. Luoghi che, basandosi sulla certezza della fede, siano in grado di sostenere uno sguardo capace di trasformare le persone e la società. Un anno e mezzo dopo la mia prima visita, l’esperienza del nostro centro culturale di Mosca continua a essere sentita utile anche per il contesto siriano, e così riparto per qualche settimana.

In questo anno e mezzo, ho cercato di seguire le traversie siriane attraverso i mass media europei che raccontavano della sofferenza del popolo sotto il regime di Assad e delle catastrofi umanitarie nelle zone limitrofe a Damasco, nel Ghouta. Ma la prima cosa che colpisce entrando a Damasco è la scomparsa della maggior parte dei posti di blocco che controllavano tutte le auto. Ne deriva un’atmosfera più serena e un maggior senso di sicurezza. Un sentimento che sparisce, tuttavia, fin dal secondo giorno, quando, passeggiando per la città, sento delle esplosioni e vedo i lanci della contraerea siriana nel cielo. È l’esercito israeliano che ha lanciato due missili sulle posizioni iraniane nelle vicinanze dell’aeroporto. Il mio amico Suleyman si mette a ridere davanti al mio spavento: «Ma questo è niente! È lontano. Avresti dovuto essere qui a marzo e aprile, quando piovevano fino a 300 colpi di mortaio dal Ghouta sulla capitale! Miravano ai bambini all’uscita delle scuole, agli ospedali… Ma adesso tutto ciò è finito. Viviamo in pace». Ma di questo parlavano poco i giornali occidentali!!!
Basta poco per far riaffiorare i ricordi di quei tempi bui, di appena qualche mese fa. All’uscita della messa per la festa di Sant’Anania una parrocchiana mi racconta che anche durante i bombardamenti la gente veniva ogni giorno a pregare al santuario: «È sicuramente la Madonna che ci ha protetto, che ci ha dato la forza di venire qui ogni giorno per chiedere la fine della guerra. Senza di Lei non avremmo potuto sopravvivere».

Fadia, collaboratrice di ATS Pro Terra Sancta alla parrocchia di Bab Tuma, ricorda con spavento: «Il nostro parroco, padre Bahjat, ci diceva di rimanere a casa. Ma io non volevo arrendermi. E a che cosa serviva vivere per restare rinchiusi nella propria camera? D’altra parte, non eravamo sicuri di tornare illesi a casa alla sera». E Hazar, una giovane professoressa di inglese, mi confida che tuttora, appena sente la voce ufficiale del telecronista, spegne la televisione, perché le fa rivivere gli annunci dei bombardamenti.
Ma da dove può venire la forza per continuare a sperare, per creare un centro culturale o per educare i propri bambini?

Suor Elvira è appena tornata da un viaggio nei villaggi a predominanza curda nel nord-est della Siria. Ha visitato parrocchie cattoliche e ortodosse dove, indipendentemente dalla confessione cristiana, ha letto e meditato con la gente la Bibbia. Là ha incontrato una famiglia cristiana con un destino particolare. Questa famiglia si trovava di passaggio in un villaggio della regione quando di notte sono arrivati i terroristi, che hanno fatto prigionieri tutti gli uomini del villaggio, compresi loro che erano di passaggio: il marito, i due figli e anche il nonno. Per un anno sono rimasti prigionieri dei banditi e la moglie riusciva a contattarli saltuariamente via whatsapp. La proposta dei terroristi era semplice: abbracciate la fede musulmana e vi liberiamo. Davanti al loro rifiuto categorico hanno inscenato più volte l’esecuzione capitale, vestendoli dell’uniforme arancione. Ma per quelle persone abiurare era impensabile. Spazientiti i terroristi hanno addirittura telefonato alla moglie, dicendole che doveva convincere i familiari a farsi musulmani se voleva rivederli in vita. E lei ha risposto che se ricusavano la fede cristiana potevano pure rimanere là, perché non voleva più vederli. È trascorso un anno di preghiere e di affidamento totale alla Madonna. E poi la liberazione e il ricongiungimento familiare (tutti illesi) sono apparsi come un miracolo.
Padre Antonio, che era parroco in un altro villaggio cristiano quando sono entrati i terroristi, me lo ha confermato: «Solo la fede permette alla nostra gente di stare in piedi, far famiglia, di ricostruire la società, di sperare!».

Jean François Thiry

Direttore del Centro culturale “Pokrovskie Vorota”, Mosca.

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