20 Giugno 2016

Il contadino, «nemico feroce del socialismo»

Angelo Bonaguro

L’Istituto ceco per lo studio dei regimi totalitari ha allestito, presso il Museo agrario di Praga, la mostra Rozkulačeno, «Dekulakizzato», dedicata a «50 anni di persecuzione del mondo rurale». Resterà aperta sino a fine settembre.

Václav Havel aveva definito la collettivizzazione forzata «un ciclone che si è abbattuto sulle campagne della Cecoslovacchia per non lasciarvi pietra su pietra», che ha provocato «decine di migliaia di vite distrutte dal carcere, sacrificate sull’altare dell’utopia scientifica di un futuro più radioso»[1]. Ma facciamo un passo indietro.
Dalla seconda metà dell’800 il contadino ceco era un uomo libero – si legge sul primo dei grandi pannelli che occupano i locali all’ingresso del museo in ristrutturazione. Nella comunità rurale, socialmente diversificata, la presenza del coltivatore aveva molta importanza: la «pazienza del contadino» non era solo un modo di dire, egli conosceva la natura e l’alternarsi delle stagioni, accettava il raccolto scarso e attendeva l’anno buono, sapeva che non era necessario usare la violenza per risanare tensioni o per ottenere cambiamenti, che spesso bastavano il lavoro paziente e la fede in Dio.
Sfasciatosi l’impero asburgico, con la riforma agraria dell’aprile 1919 era iniziata la ridistribuzione dei latifondi. Nonostante tutto fu una riforma che riuscì a stemperare le tensioni sociali e a creare un certo benessere nelle campagne.

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Angelo Bonaguro

È ricercatore presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si occupa in modo particolare della storia del dissenso dei paesi centro-europei.

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