13 Aprile 2018

Il DNA e Dostoevskij

Paolo Polesana

La nostra epoca di disincanto ha lentamente corroso l’idea astratta di Dio e ci ha lasciati in un vuoto ateo. Fortunatamente Dio non è quell’idea astratta e l’età post-cristiana può aprirsi ad una riscoperta autentica di Dio.

La California, si sa, è la patria di molte delle aziende tecnologiche e innovative oggi sulla cresta dell’onda. Una di queste ha ultimamente attratto la mia attenzione: il suo prodotto, ovviamente acquistabile online, è una provetta sterilizzata nella quale occorre lasciare un campione della propria saliva. Questa provetta, rispedita al mittente, viene minuziosamente analizzata dagli apparati biometrici dell’azienda, i quali ottengono da essa una impressionante quantità di informazioni genetiche, rispedite poi all’acquirente in compact disc.

Ad oggi tre milioni di persone hanno eseguito questo test spinte dalla curiosità di conoscere aspetti nascosti della propria persona. A quali malattie degenerative come l’Alzheimer sei maggiormente esposto? Quanto del tuo DNA influisce sul tuo aspetto fisico, sulla perdita dei capelli, sulla capacità di percepire il gusto. Quanto del tuo patrimonio genetico è iberico, askenazita, balcanico, centrafricano, asiatico, ecc., e in quale periodo storico hai ereditato quel tratto genetico? Quanto risale, addirittura, all’uomo di Neanderthal, i nostri cugini umani della preistoria? La quantità di domande su di te a cui questa azienda sa rispondere supera di gran lunga la mia immaginazione.

Tutto ciò ha dello straordinario: una goccia d’acqua del mio corpo è sufficiente a svelare questa montagna di informazioni su di me. E questo perché in ogni cellula, grande dieci millesimi di millimetro, sono contenute 23 lunghissime molecole, tre metri in tutto, contenenti tre miliardi di nucleotidi. Praticamente un papiro con tre miliardi di sillabe dove c’è scritto chi sei, come probabilmente morirai e cosa lascerai ai tuoi discendenti. Tutto vero! È la chimica!

Questa suggestione mi ricorda un passo del romanzo I Fratelli Karamazov di Dostoevskij. A un certo punto il focoso Dmitrij Karamazov parla con il mite e pio fratello Alëša delle ultime scoperte scientifiche dell’epoca: «Immagina: nei nervi, nella testa, cioè i nervi sono nel cervello (che vadano al diavolo!)… ci sono una specie di codine, le codine dei nervi appunto, e non appena quelle si agitano… cioè, quando guardo qualcosa con gli occhi, ecco, quelle codine cominciano ad agitarsi e appare l’immagine… Ecco perché io vedo e poi penso… per via delle codine e non già perché ho un’anima e sono fatto ad immagine e somiglianza, quelle sono tutte fandonie. Questo, fratello, me lo ha spiegato Michail ieri e mi ha semplicemente messo il fuoco addosso. È magnifica, Alëša, questa scienza! Sta nascendo un uomo nuovo, questo lo capisco… Tuttavia mi dispiace per Dio! (…) È la chimica, fratello, la chimica! Non c’è niente da fare, reverendo, fatevi un pochino più in là, sta arrivando la chimica!».

Sorprende la facilità con cui le argomentazioni di Michail, personaggio alquanto ambiguo nel romanzo, conducano senza sforzo Dmitrij Karamazov a una sorta di ateismo. La descrizione di dettagli anatomici invisibili a occhio nudo, le «codine» dei nervi, sono per Dmitrij la dimostrazione che la libertà è illusoria, che non è il discernimento del bene e del male a guidare gli uomini nella storia, ma il gioco di minuti fattori fisiologici. La scoperta delle cellule nervose dimostrerebbe che gli uomini non vengono da Dio, che non hanno in Lui un’origine e un destino comune.

Sembra quasi che le idee di Dio e di libertà nella mente di Dmitrij Karamazov si siano infrante come fragilissimi cristalli al soffio di una spiegazione scientifica. Max Weber, pochi decenni dopo, spiegò questa crisi come il passaggio da un mondo magico a un mondo disincantato. Il crescente dominio della razionalità avrebbe diradato nelle menti le immagini oniriche dei racconti religiosi anche in chi scienziato non è, proprio come Dmitrij.

Dmitrij (C. Pani, a sin.) e Alëša (C. Simoni), fotogramma dallo sceneggiato tv di S. Bolchi (RAI 1969).

La scienza, le ciarle e la ragione

Come purtroppo oggi è evidente, questo non ha fatto la fortuna degli scienziati e della ragionevolezza. Di questi tempi lo scettro è passato dalla razionalità all’impulsività emotiva, per cui oggi una notizia è ritenuta vera per l’emozione che suscita più che per la sua verità. Nell’epoca delle post-verità, anche le spiegazioni scientifiche sembrano magia e si credono vere le teorie più incredibili. Per l’uomo della strada, infatti, sono invisibili tanto l’Onnipotente quanto gli agenti chimici molecolari. È facile non raccapezzarsi e rimanere incantati da fantasiose teorie del complotto, come quella delle scie chimiche in cielo, che i governi userebbero per il condizionamento psicologico di massa. Il crescente dominio del razionalismo non ha salvato dunque gli uomini dallo sragionare.

Padre Pavel Florenskij, eminente scienziato e teologo russo, si accorse con lucidità di questa debolezza del pensiero moderno. Le idee astratte infiacchiscono il pensiero, e la ragione diventa «malaticcia» proprio a causa del razionalismo. Florenskij si chiede come si possa superare quel pensiero vago che, ultimamente, ha portato a non credere in Dio e a cominciare a credere a qualsiasi cosa. «La ragione cessa di essere malaticcia quando incontra la Verità: allora diviene intelletto. Ciò è possibile quando diventa ragione amante».

È questo per Florenskij il paradigma della conoscenza autentica: ogni cosa, persino la matematica, va innanzitutto incontrata ed amata per poter essere conosciuta. E se questo vale per la matematica, tanto più per Dio! Fintanto che dell’Onnipotente abbiamo un’idea astratta si afferra un pugno di mosche: è cercando il suo volto che le cose cambiano. Se di Dio si scopre il volto concreto, la sua esperienza non si dissolve come un sogno al contatto con la realtà.

La nostra epoca di disincanto ha lentamente corroso l’idea astratta di Dio e ci ha lasciati in un vuoto ateo. Fortunatamente Dio non è quell’idea astratta e l’età post-cristiana può aprirsi ad una riscoperta autentica di Dio. Come le molecole sono invisibili ad occhio nudo, anche Dio nessuno lo ha mai visto, eppure il Vangelo ha qualcosa di interessante da dire a riguardo: «Proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18). Anche per il Dio invisibile c’è un punto di rivelazione, qualcuno da incontrare ed amare: l’uomo Gesù di Nazareth.

Quell’uomo, come tutti gli uomini, aveva il suo volto preciso, un suo timbro di voce, una sua gestualità. La sera della sua ultima cena con i suoi a un suo amico, l’apostolo Filippo, aveva detto: «Filippo, da tanto tempo sei con me e ancora non mi conosci? Chi vede me, vede il Padre!».
Forse è arrivato anche per noi il tempo di iniziare a conoscerlo personalmente.

Paolo Polesana

Dopo la laurea all’università statale di Milano, ha conseguito il dottorato in fisica a Como e ha lavorato nei laboratori laser dell’università di Vilnius (Lituania). Ora è sacerdote diocesano a Bergamo. Da diversi anni collabora con l’Associazione Russia Cristiana

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