9 Dicembre 2019

Nella nostra vita ci sono dei “fari”…

Tat'jana Krasnova

La caratteristica della santità sta nel fatto che è impossibile passarle accanto e restare come prima. Tanja Krasnova ci racconta la sua vita tra i santi dei nostri giorni.

Vorrei cominciare col dire che sono una persona di grande, eccezionale successo. Anzi, doppiamente fortunata. Sono fatta in modo tale che scelgo io i miei criteri di successo, e onestamente penso che questo compito importante non vada delegato ad altri. Altrimenti rischiamo di gareggiare per tutta la vita nelle corse altrui, e di arrivare ultimi là dove non valeva neppure la pena correre.
Debbo solo a uno straordinario successo il fatto che in mezzo secolo di vita io abbia conosciuto persone, commemorando le quali non posso dire «Che Dio le accolga nel suo Regno», ma chiedo loro spontaneamente: «Intercedete per noi».

Ho conosciuto e voluto bene a padre Georgij Čistjakov, attraverso il quale forse per la prima volta ho visto chiaro e senza ombra di dubbio che la Buona Novella evangelica è un messaggio di gioia. Innanzitutto e soprattutto di gioia.
Ho conosciuto e voluto bene a padre Romano Scalfi, che mi ha insegnato a guardare la mia patria amandola e perdonandola, nonostante tutto. Lui, vedete, aveva proprio questo sguardo sulla Russia.
Ho conosciuto e amato Vera Millionščikova, dalla cui vita sono fioriti gli hospice dove oggi migliaia di persone che varcano la soglia della morte vengono consolate e liberate dal dolore.
Sono stata amica di Galja Čalikova, che ha creato la fondazione «Dona la Vita», una persona che ha cambiato per sempre non solo lo stato dell’oncologia pediatrica, non solo il concetto di beneficenza in Russia ma la Russia stessa, ne sono più che convinta.

Il lavoro compiuto da queste persone, la traccia che hanno lasciato, il loro servizio sono la testimonianza visibile della presenza personale di Cristo nella nostra vita. Vorrei che questa affermazione riecheggiasse più forte e più solennemente possibile. Sì, è una testimonianza. Di fatto, la loro vita stessa di queste persone è una chiamata a cui non si può non rispondere. La santità si riconosce proprio dal fatto che è praticamente impossibile passarle accanto e restare uguali a prima.

Vivendo per qualche anno accanto a Galja ho visto questa meravigliosa caratteristica manifestarsi continuamente, nei luoghi meno adatti. Ad esempio nel supermercato Auchan, dieci minuti prima della chiusura, mentre stavamo acquistando oggetti e prodotti alimentari per un orfanotrofio e gli addetti alla sicurezza gridavano e cacciavano via i volontari con i carrelli stracolmi, è arrivata lei. Ha parlato con quegli uomini per tre minuti non di più, e quegli uomini stanchi, sfiniti e incattiviti sono rifioriti improvvisamente, sono diventati incredibilmente buoni, hanno incominciato a sorridere, hanno aiutato a portare le borse, a caricarle, hanno chiesto dove e come potevano andare a darle una mano nel tempo libero.

Padre Georgij Čistjakov con Galina Čalikova, nel 2005.

Gente abituata a calcolare tempo e denaro ha fatto cose illogiche, folli, che hanno cambiato non solo la traiettoria della loro vita, ma anche il mondo intorno a loro. E da questo loro mondo cambiato sono arrivate nuove persone che si sono messe al loro fianco, e hanno creato con le proprie vite il fondamento di qualcosa che prima non c’era.

È l’azione della santità, o dello Spirito Santo, chiamatela come volete ma per favore non sminuitela, non disprezzatela. È un’azione grandiosa che cambia il mondo per sempre, come lo zucchero che si versa nell’acqua bollente ne modifica irreversibilmente la composizione.

Se permettete, vi racconto una storia che mi ha raccontato Galja Čalikova. Non ha fatto il nome del protagonista, perciò la storia sarà assolutamente agiografica.

È successa all’inizio dei «terribili anni ‘90» a un uomo che all’epoca era abbastanza giovane e guadagnava, come molti allora, facendo né più né meno il delinquente di medio cabotaggio. In compagnia di alcuni amici della sua risma e delle loro ragazze era andato a Londra a fare baldoria. Mentre se la stavano spassando, questi giovani ricevettero dalla Russia la notizia che un loro compagno era stato ucciso in una sparatoria. Rimasero molto male e decisero di andare in chiesa a pregare per lui.
Galja, poi, mi ha riferito le parole del protagonista: «Abbiamo trovato una chiesa russa, abbiamo comperato delle candele, le abbiamo accese e stavamo per andarcene quando all’improvviso salta fuori un vecchio prete che comincia a fare la predica. Di cos’ha parlato? Non mi ricordo neanche una parola. Ricordo solo che stavo lì in piedi, lo guardavo e lungo il viso mi scorrevano lacrime a torrenti. Io sono un tipo tosto, navigato, ne ho viste di tutti i colori… Eppure avevo la camicia inzuppata di lacrime».

Come avrete capito (e proprio per questo si tratta di agiografia), quel «prete» altri non era che il metropolita Antonij Bloom. E il nostro buon ladrone che aveva incontrato il suo santo, Galja lo ha trovato al cantiere per la costruzione dell’ospedale di oncologia pediatrica. Dato che proprio in quell’impresa aveva investito tutti i suoi guadagni non appena tornato in patria.

La vita del metropolita Antonij, la vita di persone come Galja, padre Georgij, padre Romano, Vera Millionščikova e la sua incredibile figlia Njuta Federmesser, è servizio. Servizio pieno di abnegazione, vero, autentico. Al limite delle forze, e spesso oltre il limite. Forse bisognerebbe richiamare tutti coloro che si ritengono cristiani a servire esattamente così, oltre a richiamarli alla santità e alla salvezza dell’anima.

E tuttavia una vita come questa è una vocazione particolare che, come il monachesimo, non è per tutti. Lungo il cammino di una persona ordinaria che sceglie questa via per sé, è inevitabile che sorgano dei problemi molto difficili da risolvere. Il meno grave di questi è la sindrome da stress; il più tremendo, a mio avviso, è il messianismo e la convinzione che stai realizzando una grande opera e perciò hai diritto a qualche privilegio. Per esempio, quello di sapere come devono vivere gli altri.

Noi tutti possiamo fare molto poco. Il giardino che coltiviamo è più piccolo di un fazzoletto. Molto spesso non ci bastano le forze e le risorse per dare aiuto. Per la nostra debolezza spesso ci cadono le braccia e ci facciamo prendere dalla disperazione.

Galina Čalikova (1958-2011).

Per dirla apertamente, è quello che è successo a me quando è morta Galja Čalikova. Su di lei si reggevano talmente tante cose, era una tale trascinatrice, riusciva ad aiutare così tanti, era l’asse di un universo così immenso che la sua dipartita per qualche tempo ci ha paralizzati tutti. In quella circostanza mi ha aiutato un video che mi ha mandato un amico musicista.

Immaginate un’orchestra che sta suonando una sinfonia. Violini, viole, flauti, oboe… Una sinfonia lunga e maestosa. In cui c’è, fa l’altro, una parte per triangolo. Per tutti questi 45 minuti di sinfonia la telecamera non distoglie l’obiettivo dal suonatore di triangolo. In 45 minuti questi colpisce lo strumento per due volte: alla fine del primo movimento e nel finale. Per il 99% del tempo quest’uomo sembra inutile. La sua parte sembra minuscola e di poca importanza. Insieme a tutta l’orchestra vibra per ogni nota, ma sembra che all’orchestra non serva. Finché finalmente la bacchetta del direttore non punta verso di lui, e lui batte sul suo strumento luccicante. E tu capisci che c’è, e che senza la sua parte non ci sarebbe la sinfonia.

Noi abbiamo ruoli diversi. Ci sono quelli che stanno sulla pedana. Ci sono i primi violini, le viole, gli oboe, ci sono i timpani. E c’è il triangolo. C’è il grande e immortale Compositore, del quale suoniamo le opere. Così che, secondo me, non c’è da temere di suonare una piccola parte. Sarebbe una vergogna suonare male, e sarebbe triste non suonare affatto.
Molto presto verrà inaugurato a Mosca un hospice pediatrico della fondazione «La Casa con il Faro». Fulcro di questo hospice è una ragazza Lidočka, Lidija Moniava, una donna giovane e bellissima, che conosco da quando era piccola. Ora è lei il Guardiano del Faro.

Il mio contributo alla sua casa è microscopico. Ho dipinto cento quadretti che raffigurano dei fari per decorare le pareti dell’hospice. È molto poco.
La mia parte è quella del suonatore di triangolo.
Ma a volte mi sembra che stiamo suonando una splendida sinfonia.

Tat'jana Krasnova

Docente presso la facoltà di Giornalismo dell’Università Statale di Mosca Lomonosov, coordinatrice dell’Istituto di beneficenza per bambini “Una busta per Dio“.

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