22 Novembre 2016

I cambiamenti epocali sono il tempo della misericordia

Francesco Braschi

Certamente non si può affermare che la lettera apostolica Misericordia et misera, pubblicata il giorno successivo alla chiusura della Porta Santa, sia giunta come qualcosa di inaspettato: è infatti una […]

Certamente non si può affermare che la lettera apostolica Misericordia et misera, pubblicata il giorno successivo alla chiusura della Porta Santa, sia giunta come qualcosa di inaspettato: è infatti una consolidata abitudine (si pensi ad esempio alla Novo millennio ineunte di san Giovanni Paolo II, pubblicata il 6 gennaio 2001) quella che vede i pontefici accompagnare la conclusione di un anno giubilare con uno scritto che ne indichi i frutti e le prospettive per il proseguimento del cammino della Chiesa. Eppure questa consuetudine nulla toglie allo stupore e alla consolazione che vengono dallo scritto di papa Francesco, che tutto si può ritenere tranne che l’adempimento di una sorta di «dovere d’ufficio» rispettoso delle regole ecclesiastiche: nella Misericordia et misera, infatti, si coglie, in un testo non particolarmente esteso, una sapida densità di contenuti, nella quale si uniscono il racconto e la condivisione di un’esperienza di fede con la capacità di offrire un giudizio e una serie di indicazioni per il futuro nelle quali troviamo un afflato profetico e colmo di slancio, tutto intento a riproporre come principale criterio di azione della Chiesa e dei suoi membri il desiderio di riconoscere la presenza di Cristo per continuare a camminare, anzi a correre sulle sue orme.
La lettera si apre con la memoria dell’incontro tra Gesù e la donna adultera (Gv 8,1-11), che viene riconosciuta e indicata dal papa come l’«icona di quanto abbiamo celebrato nell’Anno Santo» (MM 1), un incontro, cioè, tra Cristo e l’uomo peccatore che è sempre personale, e che pone al centro non «la legge e la giustizia legale, ma l’amore di Dio, che sa leggere nel cuore di ogni persona, per comprenderne il desiderio più nascosto, e che deve avere il primato su tutto». Si chiarisce così che l’unico criterio di giudizio pertinente al riconoscimento di quanto ci è stato donato in questo Giubileo è il riaccadere di Cristo, solo evento in grado di «rimettere in moto» la vita di ogni peccatore, che si vede guardato con tutta la verità della misericordia e proprio per questo viene rialzato, reso capace di «guardare al futuro con speranza» e, «se lo vorrà» (perché mai l’azione di Dio cancella o non rispetta la libertà della persona), di «camminare nella carità» da quel momento in avanti.

Papa Francesco attesta che questo evento di perdono e ripresa del cammino è avvenuto con abbondanza, quando afferma: «Ho ricevuto tante testimonianze di gioia per il rinnovato incontro con il Signore nel sacramento della confessione» (MM 9), e individua proprio nell’economia sacramentale della Chiesa (in particolare nella messa, nella confessione e nell’unzione dei malati) il primo modo di «celebrare la misericordia«, continuando così «con fedeltà, gioia ed entusiasmo» (MM 5) a sperimentarne la ricchezza.
Ma la narrazione di quanto è accaduto si unisce all’indicazione di un principio teologico e metodologico fondamentale e di inestimabile valore, la cui assunzione consapevole è decisiva per comprendere il cammino che la Chiesa è chiamata a proseguire, e cioè la prevalenza della carità rispetto al peccato. Così esprime questa verità (che si ritrova già in Padri e Dottori della Chiesa come Ambrogio, Agostino, Isacco di Ninive e altri, ma che oggettivamente non è ancora abbastanza presente alla coscienza dei fedeli e del clero) papa Francesco: «È questo un contenuto fondamentale della nostra fede, che dobbiamo conservare in tutta la sua originalità: prima di quella del peccato, abbiamo la rivelazione dell’amore con cui Dio ha creato il mondo e gli esseri umani. L’amore è il primo atto con il quale Dio si fa conoscere e ci viene incontro. Teniamo, pertanto, aperto il cuore alla fiducia di essere amati da Dio. Il suo amore ci precede sempre, ci accompagna e rimane accanto a noi nonostante il nostro peccato» (MM 5).

È il desiderio di custodire e promuovere questo sguardo credente sul mondo, capace di mostrare l’originale (e ancora per molti versi inedita) portata conoscitiva della fede che riconosce il primato della carità divina, a muovere le determinazioni concrete che il pontefice colloca nella seconda parte della lettera, e che si possono comprendere – evitando inconsistenti sensazionalismi tipici di una lettura totalmente superficiale – proprio come la modalità operativa attraverso la quale a nessun fedele viene tolta la possibilità di incontrarsi innanzitutto con la misericordia di Dio. Tali determinazioni riguardano il consolidamento di decisioni già prese dal Papa in occasione del Giubileo straordinario: la prosecuzione del ministero dei Missionari della Misericordia; la concessione in via stabile e ordinaria «a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero» della «facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto», pur ribadendo tutta la gravità di tale delitto (MM 12); e, infine, il prolungamento della concessione per cui i fedeli che si rivolgono ai sacerdoti della Fraternità San Pio X (fondata da Marcel Lefebvre e ancora in difetto della piena comunione con la Chiesa cattolica) ricevono da essi validamente l’assoluzione sacramentale.

Da queste decisioni concrete si passa – nella parte conclusiva del testo – all’indicazione delle opere di misericordia come fondamenti di una nuova cultura della misericordia stessa, rivolta a tutti per far comprendere come l’epoca che viviamo sia proprio «il tempo della misericordia». Siamo così condotti alla possibilità di leggere alla luce della Provvidenza il cambiamento epocale che stiamo vivendo. E non sembra azzardato pensare che proprio questo mutamento di giudizio sia stato uno dei frutti più ricercati e attesi da questo Giubileo, poiché già nella bolla di indizione Misericordiae Vultus si leggevano, l’11 aprile 2015, queste parole: «L’Anno giubilare si concluderà nella solennità liturgica di Gesù Cristo Signore dell’universo, il 20 novembre 2016. In quel giorno (…) affideremo la vita della Chiesa, l’umanità intera e il cosmo immenso alla signoria di Cristo, perché effonda la sua misericordia come la rugiada del mattino per una feconda storia da costruire con l’impegno di tutti nel prossimo futuro. Come desidero che gli anni a venire siano intrisi di misericordia per andare incontro ad ogni persona portando la bontà e la tenerezza di Dio! A tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del Regno di Dio già presente in mezzo a noi» (MV 5).
Il desiderio che già allora papa Francesco esprimeva era quello di una misericordia offerta a tutti, «credenti e lontani», come «segno del Regno di Dio già presente in mezzo a noi». Questo riconoscimento diviene così il punto di partenza per uno sguardo credente al mondo e per un’azione ecclesiale che sia, sempre più limpidamente, trasparenza di un Altro che agisce.
Saremo degni di questo tempo di grazia che ci è offerto?

Francesco Braschi

Sacerdote, dottore in Teologia e Scienze Patristiche, dottore della Biblioteca Ambrosiana di Milano e direttore della Classe di Slavistica dell’Accademia Ambrosiana. È consultore della Congregazione del Rito ambrosiano e docente a contratto di Teologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

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