2 Gennaio 2017
Le brecce di papa Francesco
Lo spazio cristiano è tornato unitario. Il movimento impresso da una parte si comunica spontaneamente a tutto il corpo. È l’onda lunga dell’incontro di Cuba, che passa attraverso la stima umana fra le persone. A Mosca una mostra omaggio a papa Francesco.
Una mostra fotografica dedicata a papa Francesco in occasione dei suoi ottant’anni. Non ci sarebbe niente di straordinario, se non fossimo a Mosca e l’ente organizzatore non fosse il «Centro Solženicyn – Casa della Russia all’estero», un’istituzione culturale della città di Mosca posta sotto il prestigioso nome dell’autore di Arcipelago GULag, volta a promuovere la memoria delle grandi figure dell’emigrazione intellettuale e religiosa del secolo scorso, a riannodare un legame spezzato per decenni e ricostruire un ingente patrimonio culturale, artistico e spirituale andato disperso. Un’istituzione di profilo ufficiale e conservatore sul piano socio-culturale e confessionale, che non si è mai distinta per particolari simpatie filocattoliche, sebbene lo stesso lavoro sull’emigrazione russa in Occidente nel XX secolo, su figure come Berdjaev, Bulgakov, il metropolita Antonij di Surož, padre Aleksandr Šmeman e così via non possa non fare i conti con l’apporto offerto dalla cultura cristiana occidentale.
Eppure la figura di papa Francesco ha aperto una breccia anche qui. E questa breccia è passata attraverso Nikita Struve, figura di spicco nella storia del «Centro Solženicyn – Casa della Russia all’estero»: si tratta infatti di uno degli ultimi grandi testimoni della cultura dell’emigrazione russa, che ha fatto da tramite in Occidente per quasi tutti i grandi autori censurati del XX secolo, da Mandel’štam a Pasternak a Solženicyn (per limitarci a pochi nomi), attraverso la casa editrice Ymca Press di Parigi e la rivista «Messaggero del Movimento cristiano russo» (Vestnik RChD). Fine traduttore oltre che storico della letteratura, Struve ha avuto anche il merito di far conoscere al pubblico di lingua russa varie opere letterarie cristiane occidentali contemporanee, tra cui i testi di Charles Péguy (di cui ha preparato l’edizione insieme alla Fondazione Russia Cristiana).
Proprio a Struve, scomparso il 7 maggio scorso a Parigi a 85 anni, si deve in un certo senso la mostra fotografica aperta dal 19 dicembre al 30 gennaio prossimo, organizzata con la collaborazione dell’«Osservatore Romano» (che ha messo a disposizione le foto), dell’ambasciata della Federazione russa presso la Santa Sede e del Centro culturale «Biblioteca dello spirito».
Come ha ricordato nel corso della presentazione il direttore del Centro, Viktor Moskvin, Struve era rimasto così colpito dalla figura di papa Bergoglio da dedicargli a sorpresa due degli ultimi editoriali di una rivista di cultura russa ortodossa come il suo «Messaggero». Si può dire, quindi, che questa mostra è in parte, oltre che un omaggio al compleanno di Francesco, anche un gesto in memoria di Nikita Alekseevič; una collaborazione ortodosso-cattolica e russo-vaticana, sulle orme di altre iniziative che stanno diventando sempre più una consuetudine; un fenomeno dell’«effetto Cuba» (come ha sottolineato un altro degli ospiti, padre Stefan Igumnov, segretario delle relazioni interconfessionali presso il Patriarcato di Mosca), che indubbiamente continua a farsi sentire, ma anche un frutto del dialogo e della convivenza tra la Russia e l’Europa che paradossalmente il grande male della rivoluzione aveva facilitato un secolo fa, e che poi ha continuato a maturare fino a oggi, in forme e luoghi diversi ma in un crescendo di scambi di esperienze.
«All’inizio dell’anno nuovo – scriveva Nikita Struve sul n. 203, 2015 del “Messaggero” – è legittimo farsi la domanda: qual è stata la cosa più positiva e foriera di speranza nell’anno trascorso, sul piano religioso-spirituale e nella vita della Chiesa in generale? La risposta ci sembra fuori dubbio: è il riproporsi dell’annuncio evangelico di papa Francesco, rivolto in primo luogo ai cattolici, all’episcopato cattolico, ma applicabile per la sua urgenza e profondità anche agli altri cristiani e in particolare alla nostra Chiesa ortodossa». Queste parole sono state riproposte nel corso della presentazione da Jean-François Thiry, direttore della «Biblioteca dello spirito», che insieme a padre Stefan ha sottolineato l’urgenza di tradurre progressivamente in esperienza e lavoro questo appello, risuonato con particolare forza a L’Avana.
Ricordando che Bergoglio «fin da quando era vescovo in Argentina prendeva parte alle funzioni ortodosse e osservava che la loro bellezza supera quella radicatasi nel cattolicesimo, e che l’ortodossia ha una visione più vicina alla conciliarità (sobornost’) rispetto a Roma», nel suo editoriale Struve metteva in risalto il significato dell’incontro svoltosi tra Francesco e il patriarca Bartolomeo il 29 novembre 2014, quando «il papa si è inchinato davanti al patriarca ed entrambi hanno espresso la convinzione che occorre tendere il più possibile all’unione completa fra le Chiese, ritornando al cristianesimo delle origini».
Se tali auspici avevano sollevato reazioni negative sia in Grecia che a Mosca negli ambienti conservatori – rilevava ancora Struve – le condanne della «nuova ecclesiologia» di Bartolomeo levatesi in queste sedi si squalificavano da sé perché «non menzionavano neppure una volta il dogma centrale del cristianesimo, vale a dire la carità, che deve estendersi perfino ai nemici, e tanto più ai nostri fratelli cristiani». Pur senza nascondersi le difficoltà esistenti sul cammino verso l’unità, Struve metteva l’accento sul vigoroso appello a ritornare a Cristo, contenuto nel discorso di papa Francesco alla curia romana del 22 dicembre 2014, in cui si enucleavano 15 malattie spirituali che minacciano in primo luogo l’episcopato ma anche ogni comunità e ogni credente. «Queste malattie – concludeva Struve – sono in contraddizione con l’immagine della nascita del Figlio di Dio nella grotta di Betlemme, nella povertà, un’immagine che ci urge tutti a far crescere in noi e nel nostro agire in primo luogo l’umiltà, e non l’autoritarismo, l’affermazione di sé e tanto meno l’autocompiacimento. Siamo grati a papa Francesco per aver ricordato a tutti i cristiani, con parole ardite e ispirate, ciò che da noi si attende il Signore Gesù Cristo».
Nell’editoriale del numero successivo della rivista Nikita Struve ritornava sullo stesso tema, scegliendo come epigrafe una frase di uno dei protagonisti dell’ortodossia russa del XX secolo, il metropolita Evlogij: «La battaglia più ostinata della mia vita l’ho combattuta per la libertà della Chiesa. Un’idea luminosa e cara alla mia anima… Ho combattuto per essa contro tutti quelli che volevano metterle le mani addosso, senza arretrare sia che il pericolo mi venisse da destra o da sinistra, dagli estranei o anche dai miei».
In quest’ottica, Struve definiva il ministero di papa Francesco «molto arduo ma essenziale e profetico… E questo è forse dovuto al fatto che questo papa, dopo aver significativamente scelto il proprio nome in onore del grande san Francesco d’Assisi, si è assunto come regola le parole di un altro grande santo, Ambrogio di Milano, venerato sia dagli ortodossi sia dai cattolici: “Dove c’è la misericordia, lì c’è Cristo. Dove c’è rigidità e severità, lì forse ci sono i suoi ministri, ma Cristo non c’è”».
Con onestà, pur non essendo affatto tenero con il cattolicesimo romano e i suoi mali e avendo una sua idea delle riforme ad esso necessarie, Struve accoglieva queste parole di Ambrogio come salutari per sanare una tentazione presente anche nella Chiesa ortodossa: «Non nella Chiesa come tale – precisava – ma più esattamente nei suoi “ministri”, tra cui vi possono essere sia laici che sacerdoti e soprattutto vescovi, che non intendono rettamente la propria autorità».
Infine, a soli due mesi dalla morte, parlando dell’incontro di Cuba Nikita Struve aveva ammesso di essere «un grande ammiratore di papa Francesco (Intervista a «Russkij očevidec», 2 marzo 2016). «Sono convinto – aveva affermato in quell’occasione – che stia facendo per l’appunto quello che gli ortodossi adesso non fanno per niente. Vuole scuotere l’istituzionalismo della Chiesa cattolica… Il papa agisce con grande intrepidezza, con ispirazione profetica, offre un autentico respiro ecclesiale».
Senza celare una certa delusione per il documento congiunto firmato in quell’occasione («Mi è sembrato poco espressivo. Per l’appunto, non ha niente di profetico. È eccessivamente lungo, eccessivamente ufficiale, non so…»), e mettendo un argine all’entusiasmo di Francesco per l’unità («… ha scritto al patriarca Kirill che tra cattolicesimo e ortodossia non ci sono praticamente più divergenze, propone la piena unità. Però, a parer mio, precorre leggermente gli eventi»), anche in quest’ultima intervista Nikita Struve vedeva l’importanza centrale del «lungo cammino, ancora tutto da percorrere, affinché si compia il processo dell’unità».
Proprio su questo cammino, e sulla necessità di continuare a incontrarsi, come Chiese e come popoli e società, ha insistito il nunzio apostolico Celestino Migliore, sottolineando che l’autorità morale, l’affetto e la stima che fanno del pontefice un leader di risonanza mondiale costituiscono una precisa indicazione della direzione in cui il mondo, a fronte di così gravi sfide, deve incamminarsi.
Giovanna Parravicini
Ricercatrice della Fondazione Russia Cristiana. Specialista di storia della Chiesa in Russia nel XX secolo e di storia dell’arte bizantina e russa. A Mosca ha collaborato per anni con la Nunziatura Apostolica; attualmente è Consigliere dell’Ordine di Malta e lavora presso il Centro Culturale Pokrovskie Vorota. Dal 2009 è Consultore del Pontificio Consiglio per la Cultura.
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