23 Febbraio 2017

La Divina Liturgia per l’unità fra i cristiani oggi

Danilo Zardin

«Convergere nell’abbraccio della carità fraterna non può essere il frutto dello sforzo sovrumano di noi singoli individui». Alcune riflessioni a margine di una divina liturgia con il coro di Russia Cristiana.

«Noi che misticamente raffiguriamo i cherubini, e alla Trinità vivificante cantiamo l’inno Trisagio – l’inno a Dio tre volte santo – deponiamo ora ogni preoccupazione ansiosa per la nostra vita…».
La struggente melodia dell’Inno dei cherubini, che segna il passaggio dalla liturgia della parola al Grande Ingresso dei celebranti sull’altare, per la recita del Credo e il rito della solenne consacrazione del pane eucaristico, è forse uno dei momenti più suggestivi della Divina Liturgia in rito bizantino-slavo, che abbiamo eccezionalmente potuto vivere insieme la sera di lunedì 30 gennaio con l’aiuto del coro di Russia Cristiana.
Si tratta, in pratica, dell’equivalente della nostra santa messa, celebrata secondo l’antico rituale abbozzato nelle prime comunità cristiane del Medio Oriente già a partire dal IV secolo, poi sviluppato e ulteriormente elaborato nel centro dell’impero bizantino, a Costantinopoli, e da lì trasmesso all’intero mondo ortodosso, con il passaggio dalla lingua greca originaria alla lingua slava dei popoli dell’Europa centro-orientale, avvicinati al cristianesimo a partire dalle campagne missionarie dei santi Cirillo e Metodio, nel IX secolo. Nella Divina Liturgia messa a punto dai grandi Padri della Chiesa san Giovanni Crisostomo e san Basilio Magno bisogna vedere il vertice del culto collettivo di tutta la cristianità orientale: i nostri più vicini fratelli nell’unica fede in Cristo morto e risorto per noi. La loro forma liturgica è quella tuttora adottata dalle varie Chiese ortodosse del mondo slavo, passate in parte sotto la giurisdizione di Mosca nell’ultimo millennio; una forma liturgica in uso anche presso le loro Chiese sorelle del più vicino Oriente così come nelle comunità cattoliche di rito bizantino presenti in quelle terre, le une e le altre diffuse ormai anche nelle altre parti del mondo attraverso i flussi dell’emigrazione, flussi che hanno portato alla diaspora delle popolazioni originarie delle regioni in cui è nato il germe di una comunione cristiana che solo dopo numerosi secoli si è staccato da Roma e ha preso una strada propria.
Per questo la liturgia bizantino-slava affonda le sue radici in un patrimonio spirituale che è quello comune di tutta l’ecumene cristiana, anteriore a tutti i conflitti e a tutte le lacerazioni che l’intreccio complicato con le diatribe teologiche e i contrasti di natura politica e istituzionale ha finito con l’accumulare nel corso del tempo. I suoi rituali austeri, la sua gestualità carica di simbolismo, lo splendore delle icone, la profusione di colori e di luci, l’offerta continua dell’incenso, la raffinatezza dei testi calati nella dolcezza pacificata di una musica continua, che avvolge i fedeli in un clima ininterrotto di attenzione, di memoria, di concentrazione sull’azione sacra che si sta svolgendo, sono una ricchezza preziosa che vale per tutti i cristiani di ogni latitudine e di ogni confessione.

Per questo è stata un’occasione bellissima poter ospitare nella nostra parrocchia, a pochi giorni dalla conclusione della Settimana di preghiera per l’unità fra i cristiani, questo momento di preghiera collettiva. Abbiamo fatto ancora di più esperienza di cosa vuol dire supplicare insieme, lasciandoci coinvolgere uno per uno, attraversati dal vivo desiderio di una unità da restaurare non tanto, o non solo con le decisioni dei vertici che governano le Chiese e gli Stati, ma riunendoci tutti insieme come veri fratelli nella comune adorazione dell’unico Dio e dell’unico Cristo che riconosciamo nostro Salvatore: abbracciandoci nell’unità, già dentro la diversità delle storie, dei temperamenti, degli stili di vita e di pensiero, concentrandoci sull’essenza della fede che professiamo, rimettendoci più onestamente davanti al Mistero da cui deriva ogni senso di quello che crediamo e di quello che proponiamo in risposta al bisogno di salvezza dell’uomo e della società intera del nostro tempo. Il tessuto dell’unità si ricrea con la rete delle relazioni che gettano ponti di coesione al di là delle barriere che attualmente ci separano, con lo sviluppo del dialogo e la sincera stima reciproca: non è certamente un caso che l’idea stessa di celebrare nella nostra comunità la Divina Liturgia di rito orientale non sia nata a tavolino, ma nella scia del contatto con il mondo russo stabilito, negli ultimi anni, con la destinazione di don Carlo alla missione prima a Mosca, poi a Novosibirsk. Nei mesi scorsi la Fraternità sacerdotale di cui lui fa parte gli ha chiesto di rendersi disponibile a cambiare sede, e lo ha poi trasferito alla nuova casa missionaria aperta in una parrocchia del centro di Bogotà, in Colombia, dalla parte opposta del mondo: ma le missioni non sono altro che vie aperte attraverso le quali la fede cristiana si apre alla totalità della comunità umana, abbracciando in sé le diversità più incredibili e facendo dei tanti separati «una cosa sola».

Ma tornare a convergere nell’abbraccio della carità fraterna non può essere il frutto dello sforzo sovrumano di noi singoli individui. Le inclinazioni buone e la tenacia delle energie morali sono troppo deboli, sempre in lotta con la pressione opposta dalla difesa dei propri pregiudizi, dei propri interessi e dei propri spazi tradizionali. L’unità della comunione cristiana è prima di tutto un dono: più che costruirla, la si riconosce se si cammina andando incontro al Signore, in cui tutto ciò che esiste è stato creato e per cui noi siamo fatti fin dalle nostre fibre più profonde.
La Divina Liturgia esalta proprio questa precedenza del Mistero che ci scavalca: non siamo noi gli attori messi in primo piano, ma noi siamo aiutati a ritrovare il nostro volto più autentico, quindi a guardare anche a chi ci sta vicino in un modo nuovo, nella luce della carità e della misericordia che perdona, lasciandoci attrarre, pur con tutti i limiti e tutte le miserie che ci portiamo addosso, dalla bontà risanatrice di Colui che sta al centro della salvezza di tutti. È un Altro il vero protagonista. Noi entriamo in dialogo con la sua amorosa Presenza e veniamo trascinati, per grazia, nella storia che da lui prende la sua vera origine. Per questo infinite volte nel corso della Divina Liturgia il coro ci fa ripetere, ostinatamente: «Góspodi, pomíluj!» (Signore, pietà!). Per questo ci si inchina. Si traccia di continuo il segno della croce con le tre dita raccolte nel segno della Trinità. Per questo si sta sempre in piedi. Si entra con il cuore, i sensi e la mente in un orizzonte in cui gli angeli e i santi sono chiamati a discendere dall’alto per farci compagnia, unendosi alle armonie di un canto umano, senza accompagnamento di strumenti artificiali, che tenta di imitare le sinfonie melodiose del Paradiso dei beati. E alla fine, riconsegnati all’umiltà della nostra enorme sproporzione rispetto alla grandezza commovente del mistero sacro che si rinnova sull’altare davanti alla comunità riunita, possiamo timidamente osare di accostarci all’unico pane spezzato per la rigenerazione del cuore di ognuno. Possiamo bere una goccia attingendo al calice del suo sangue consacrato. Possiamo baciare la croce, come ultimo atto, e portare con noi a casa, segno materiale di memoria che ci accompagna nello scorrere del tempo quotidiano, un frammento di pane benedetto: semplice icona di rinvio domestico al «vero corpo di Cristo, nato da Maria Vergine, veramente fatto soffrire, in croce immolato per ogni uomo».

Danilo Zardin

Laureato in filosofia, dopo un periodo di insegnamento nelle scuole secondarie è ricercatore presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Dal ’92 al ’98 insegna Storia moderna all’Università degli Studi di Genova; dal 2001 è professore ordinario di Storia moderna presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È condirettore degli «Annali di storia moderna e contemporanea» e coordinatore scientifico del periodico «Linea tempo».

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