25 Maggio 2023
Le Chiese ucraine si confrontano con l’unità
In un paese in conflitto due Chiese in conflitto. In Ucraina ci si sta rendendo conto che la pace religiosa è condizione necessaria alla pace civile.
Dove manca la pace è difficile che ci sia l’unità, anche all’interno dei singoli schieramenti. Mai come in questo momento storico l’unità, come progetto politico e come ideale religioso, è sembrata così irraggiungibile, addirittura irreale. La guerra sta lasciando sul terreno molte macerie, comprese quelle dell’ecumenismo, ed oggi le diplomazie ecclesiastiche si contentano di salvaguardare quel che resta dei rapporti reciproci, mentre l’unità all’interno delle singole Chiese sta vivendo uno dei suoi momenti peggiori: gli ortodossi sono divisi non solo dal revival di rancori storici ma anche dalle controversie attuali, che non nascono tanto da visioni contrastanti quanto da gelosie e servitù politiche.
Una delle premesse alla situazione attuale si può trovare nel problema irrisolto dell’unità del mondo ortodosso, e del rapporto – pure irrisolto – tra religione e Stato. Questo mondo ortodosso che almeno dal 1923 sogna un nuovo concilio panortodosso, il primo dopo quasi mille anni, per rimettersi al passo con i tempi; che a partire dal 1961 ha organizzato quattro incontri pre-conciliari e sei commissioni preparatorie, e che nel maggio 2010 ha udito l’annuncio concorde dei patriarchi Bartolomeo e Kirill di voler «accelerare il processo di convocazione del Santo e Grande Concilio della Chiesa Ortodossa», nel giugno 2016 ha visto naufragare all’ultimo istante il concilio finalmente convocato a Creta per il ritiro improvviso di quattro Patriarcati su quattordici (russo, bulgaro, georgiano e antiocheno). Tutto questo ha fatto sì che il «Grande e Santo Concilio» si sia svolto senza poter essere né pan-ortodosso né tantomeno fraterno, visto che è stato affossato dalle discordie interne.
Da quel momento i rapporti inter-ortodossi si sono ulteriormente frantumati; poi è arrivata la guerra ad approfondire i fossati. Intrusioni politiche e nazionali, unite a vecchie gelosie tra Patriarcati inquinano l’autocoscienza ecclesiale. L’«immagine del nemico», che è così necessaria a ogni ideologia per motivare le masse, oggi è penetrata anche tra le due Chiese ucraine, e al loro interno, segno che è presente una certa narrazione ideologica. Questo accade da tempo immemore o solo dall’anno scorso? Probabilmente entrambe le cose, solo che la situazione attuale porta alla luce tutte le vecchie e nuove devianze.

Tafferugli fuori dalla Lavra.
Il caso della Lavra di Kiev
La guerra non è, evidentemente, la causa prima del problema ma sicuramente in Ucraina ha radicalizzato le divisioni tra la Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca e la Chiesa ortodossa autocefala legata a Costantinopoli, unendo alle tensioni religiose storiche l’odio nazionalistico e la sete di vendetta, oltre a una – in parte – giustificata ossessione che la Chiesa legata a Mosca rappresenti la «quinta colonna russa» in casa propria. Ma qui già si entra in un ambito che non è più ecclesiale, e infatti il problema sta proprio in questa spuria e inestricabile commistione di religione e politica che ha generato scontri e incidenti in varie parti del paese. A fine marzo a Ivano-Frankivsk alcuni attivisti della Chiesa autocefala hanno occupato una chiesa dell’opposta fazione; il 10 aprile a Černivci, uno scalmanato ha percosso il vescovo della Chiesa ucraina di Mosca; sempre in aprile a Chmel’nickij alcune chiese per iniziativa dei credenti sono passate alla Chiesa autocefala contro la volontà del clero.
Da parte dei vescovi di Mosca ci sono stati casi di effettivo collaborazionismo con gli invasori ma, come era stato auspicato, sarebbe necessario indagare ogni caso specifico, mentre la politica tende a intervenire senza entrare nel merito delle questioni. Fare d’ogni erba un fascio, ossia ragionare secondo categorie generali astratte, rischia di far scivolare nell’ideologia, il che non fa che moltiplicare gli scontri, talvolta a scapito del puro buon senso.
Un’illustrazione pregnante della situazione religiosa è quella apparsa anche sulla nostra stampa e che si è verificata attorno alla Lavra delle grotte di Kiev, dall’ottobre scorso oggetto di contesa tra le due gerarchie ecclesiastiche e i rispettivi fedeli.
Il metropolita Epifanij, primate della Chiesa autocefala, prendendo a prestito una terminologia bellica, ha parlato in proposito di «occupazione» spirituale della Lavra da parte di Mosca.
Il luogo naturalmente ha un valore simbolico altissimo, perché da questo antico monastero dell’XI secolo prendono le mosse il mito fondativo sia dello Stato russo che dello Stato ucraino, per non parlare delle radici religiose; ma invece di rappresentare la fonte comune, la Lavra diventa pietra d’inciampo, oggetto di contesa e di appropriazione.
Legalmente la Lavra è un «Comprensorio nazionale» appartenente al Ministero della cultura, che nel 1989 ha sottoscritto un contratto di uso gratuito con la Chiesa ortodossa russa del patriarcato di Mosca (allora non esisteva altro soggetto ecclesiastico) cui ha concesso l’uso di una parte della Lavra per insediarvi la comunità monastica, cui poco dopo si è unita anche l’Accademia teologica. Da allora all’interno della Lavra convivono: il Museo statale delle Grotte, il monastero con 220 monaci, il seminario e l’Accademia teologica con 300 studenti, gli uffici sinodali e la residenza del metropolita Onufrij, tutti facenti capo al Patriarcato di Mosca. Negli anni le strutture ecclesiastiche si sono notevolmente «allargate», situazione che nel 2013 il governo ha ratificato concedendo in uso alla Chiesa altri 79 edifici del complesso.
La nascita ufficiale della Chiesa ortodossa autocefala di Ucraina, nel 2018, ha portato con sé l’idea che il monopolio ecclesiastico della Chiesa di Mosca sulla Lavra non avesse più ragion d’essere, e che perlomeno si dovessero concedere in uso all’«altra ortodossia» ucraina alcune chiese della Lavra attualmente chiuse.

Il metropolita Pavel (a sin.) e il vescovo Varsanofij di Borodnjansk con V. Putin in visita alla Lavra di Kiev nel 2013. (wikipedia)
Il ruolo dello Stato
Lo Stato ucraino, coi suoi vari presidenti, ha più volte cercato di farsi propugnatore della «Chiesa nazionale»; nel maggio 2017 era circolato un progetto di legge (per altro mai arrivato in aula) per proibire che le Chiese ucraine potessero dipendere da centri all’estero. Nel giugno del 2016 il parlamento ucraino ha lanciato un appello a Bartolomeo I perché proclamasse l’autocefalia della Chiesa ortodossa ucraina, e infine è stato il presidente Porošenko a presenziare a Istanbul alla consegna del Tomos dell’autocefalia nel 2019.
Con la presidenza di Zelenskij, le autorità civili non si sono particolarmente ingerite nelle questioni religiose fino a che, poco dopo il 24 febbraio, non è sorta la preoccupazione di avere un’enclave filo-russa nel cuore del paese; nell’aprile 2022 una petizione popolare sostenuta da 25mila firme ha chiesto al presidente di rescindere il contratto di affitto della Lavra, ma Zelenskij ha rilanciato la palla al governo. A quel punto la Chiesa ucraina autocefala ha chiesto di registrare una nuova persona giuridica chiamata «Monastero della Lavra delle grotte di Kiev», proposta che inizialmente le autorità hanno declinato per non creare una sorta di «Lavra parallela». Tutto è cambiato dopo il 1° dicembre, quando Zelenskij, nel suo discorso serale alla nazione, ha denunciato i «numerosi contatti di certi ambienti religiosi ucraini con lo Stato aggressore», e un nuovo decreto ha prescritto di verificare la legalità dell’uso degli spazi della Lavra da parte della Chiesa di Onufrij.
Le accuse di Zelenskij non erano del tutto fuori luogo, da tempo la Lavra era nota come bastione ideologico del «mondo russo»; tra le sue mura si arrivava a dire in predica che era l’Ucraina ad aver cominciato la guerra; molti ricordano poi che 10 anni or sono (alla vigilia del Majdan) Putin aveva decorato il metropolita Onufrij e lo stesso igumeno della Lavra Pavel. E così il discorso di Zelenskij ha dato la sanzione suprema al moto generale per espellere la Chiesa del metropolita Onufrij dal corpo del paese. Il 2 dicembre le autorità hanno registrato il nuovo soggetto giuridico «Monastero della Lavra delle Grotte» facente capo alla Chiesa autocefala.
I controlli dei Servizi di Sicurezza in monasteri e parrocchie «moscoviti» sono iniziati già nell’ottobre 2022; poi è stata la volta della Lavra, dove un’apposita commissione mista ha scoperchiato il vaso di Pandora, da cui è uscito quello che già si sapeva ampiamente, e cioè che la Chiesa aveva largheggiato in costruzioni abusive subaffittate a negozi, caffè, alberghi, magazzini e laboratori: oltre una ventina di imprese commerciali registrate come persone giuridiche sul territorio del monastero. A quel punto il contratto d’uso è stato rescisso, evidentemente il governo ha deciso di non tollerare più le iniziative «imprenditoriali» del famigerato metropolita Pavel, igumeno filorusso della Lavra.
Va detto per altro che lo Stato ucraino non si è spinto troppo in là nelle pressioni sulla Chiesa di Onufrij: la deadline del 29 marzo data ai monaci per sgomberare definitivamente è stata procrastinata; Aleksej Danilov, segretario del Consiglio per la sicurezza e la difesa, ha assicurato che nessuno butterà fuori i monaci con la forza, e che il processo di risoluzione del contratto sarà lungo, per tappe e nel rigoroso rispetto della legalità.
Ciò nondimeno molti si chiedono se non si tratti di violazione della libertà religiosa. O se si tratti solo di legittima difesa.

Il metropolita Onufrij tra i parrocchiani. (wikipedia)
Dove finisce e dove inizia il Vangelo
La Chiesa del metropolita Onufrij ha reagito gridando alla persecuzione, supportata in questo dal Patriarcato di Mosca stesso (ancorché questo sostegno non le faccia oggi buon gioco), che denuncia «atti sistematici di intimidazione: perquisizioni, fermi, provocazioni, minacce», insomma si tratterebbe di una vera campagna organizzata contro la Chiesa tradizionale. Così dentro e fuori dalla Lavra è iniziato un carosello di proteste: le une con icone e stendardi, le altre con balli e musica di giovani «patrioti». Ma tra gli uni e gli altri in realtà non si capisce quanto autentico fervore religioso e quanto vero patriottismo ci siano, certo è che l’ideologia contribuisce parecchio a scatenare le passioni.
Considerevole il fatto che padre Andrij Dudčenko, un esponente di spicco della Chiesa autocefala, abbia ricordato con grande onestà che le vittime non stanno tutte da una parte sola, e che qualunque violenza anche contro gli aggressori rimane una violenza: «La compassione va alla vittima, non allo stupratore. Ecco perché a volte riesco a capire, ma non posso in alcun modo giustificare la violenza contro rappresentanti o comunità della Chiesa del metropolita Onufrij da parte di alcuni membri della Chiesa autocefala o del governo locale.
La violenza commessa in nome di una religione funziona assolutamente contro quella religione. Peccato che alcune persone non lo capiscano».
Dudčenko ha così espresso personalmente la sincera istanza di rinnovamento presente nella sua Chiesa, e ha avuto il coraggio di mettere a nudo la retorica nazionale in cui è facile cadere, tanto più in questa situazione, ma che non è mai giustificata: «Non tutti coloro che fingono di essere patrioti sinceri, che indossano la camicia ricamata o l’uniforme militare, che dicono “Gloria all’Ucraina” o cantano l’inno nazionale, o lottano contro la “Chiesa di Mosca”, sono davvero patrioti. Preferisco vedere il patriottismo in chi rifiuta le bugie, aiuta i suoi vicini, lavora duramente, rispetta i confini degli altri e non accetta tangenti».
Purtroppo, nella diatriba in corso l’ideologia ha molto spazio, sia nella forma nazionale che in quella tradizionalista. La Chiesa di Mosca, da parte sua, si difende dalle accuse di collaborazionismo con i russi richiamando l’antica consuetudine: fu la Chiesa russa ad abitare la Lavra fino al 1926 (quando i bolscevichi la chiusero); fu essa che ci tornò durante la Seconda guerra mondiale quando gli occupanti tedeschi la riaprirono; è stata ancora lei ad abitarla dal 1988 quando fu restituita al culto per il Millenario del cristianesimo della Rus’.
A questo Onufrij unisce ragioni storiche (12 marzo, durante una celebrazione alla Lavra): «Ricordiamo che la Lavra è stata costruita dalla nostra Chiesa, altre allora non ne esistevano», ha detto, permettendosi un imponente svarione storico, visto che Mosca venne fondata 100 anni dopo la nascita del monastero, e la creazione del Patriarcato di Mosca risale addirittura al 1589, pertanto è decisamente impossibile asserire che sia stata proprio la Chiesa russa (altre non ne esistevano?!) a edificare quelle mura e quelle chiese.
Il teologo Kirill Hovorun ha riassunto con amarezza la situazione: «Per dirla molto brevemente: negli episodi di Ivano-Frankivsk e della Lavra vedo un alto livello di ideologia da entrambe le parti e un basso livello di semplice decenza umana. Qui il Vangelo non c’entra per niente». Ancora ideologia dunque, che secondo il filosofo russo Artemij Saf’jan è legata soprattutto al sistema malato delle Chiese locali necessariamente legate agli egoismi nazionali, dove le questioni dell’autocefalia e della giurisdizione diventano più importanti dei dogmi di fede. Altri, invece, attribuiscono piuttosto questa ideologizzazione agli ultimi spasimi di una Chiesa di tipo imperiale.
Sta di fatto che episodi come quelli citati, secondo l’archimandrita Hovorun, «complicano notevolmente il consolidamento [ossia l’unificazione] dell’ortodossia ucraina. Solo Mosca gioisce, perché a lei non interessa sostenere la Chiesa ucraina del Patriarcato di Mosca, lei vuole semplicemente alimentare il conflitto tra le due Chiese».
Ciò significa che il punto non sta tanto negli errori di Onufrij o della sua Chiesa, e neppure nella corruzione morale di certe figure ecclesiastiche, ma nel fatto che un numero enorme di fedeli e sacerdoti di questa Chiesa, pur amando l’Ucraina e difendendola, sono catalogati come nemici e coinvolti loro malgrado in un conflitto religioso che religioso non è, ma ricalca ancora una volta la vecchia immagine di un’ortodossia politica e nazionale. A questo proposito sempre l’archimandrita Hovorun porta l’esempio di padre Avraamij, il primo monaco della comunità della Lavra che ha deciso di abbandonare il Patriarcato di Mosca per passare alla Chiesa autocefala: prima per gli ucraini non era altro che un ufficiale dell’FSB in tonaca, mentre adesso è diventato un eroe della fede, e viceversa per i pro moscoviti prima era un pilastro della «canonicità» ed ora è un Giuda… «Queste metamorfosi sono possibili solo quando la Chiesa si identifica con la giurisdizione, e quando quest’ultima diventa un marcatore identitario più importante dell’identità cristiana e ucraina».

Il metropolita Epifanij tra i soldati ucraini. (facebook)
Le difficili vie dell’unità
In effetti, la distanza mentale tra le due Chiese sembra crescere invece che diminuire. Da una parte la Chiesa di Onufrij – come afferma l’archimandrita Hovorun – si rifiuta sistematicamente di riconoscere i fatti palesi di collaborazione e di crimini da parte di alcuni suoi chierici e vescovi, e preferisce assumere il ruolo di martire invece di riconoscersi responsabile; dall’altra la Chiesa autocefala si dimostra impaziente di aumentare il proprio capitale simbolico a spese degli altri.
Da parte loro, gli ucraini traumatizzati dalla guerra non hanno energie né voglia di stabilire chi ha ragione e chi ha torto e così, semplificando grossolanamente, vedono tutto in bianco e nero e spesso scelgono la Chiesa di Onufrij come incarnazione di ogni male.
La stessa Chiesa ucraina autocefala, pur portandosi dentro gli stereotipi che ricalcano il vecchio modello sovietico di Chiesa partner dello Stato, cerca di mantenersi fedele alla luminosa speranza di rinnovare l’ortodossia con cui è nata. E poco cambia il fatto che in questo caso lo Stato ucraino sia nel giusto difendendo l’indipendenza e la dignità del paese: è da una certa logica che bisognerebbe prendere le distanze. Lo stesso metropolita Epifanij, primate della Chiesa, non è esente da qualche ambiguità e se da una parte parla di «occupazione spirituale», dall’altra lancia appelli alla concordia per uscire dalla logica di schieramento: «Questi eventi ci impongono delle responsabilità. (…) Colgo l’occasione per invitare ancora una volta tutti i nostri fedeli e tutti coloro che desiderano il bene della Chiesa ucraina a mantenere la prudenza, ad essere saggi, a non ricorrere ad azioni malvagie anche se per uno scopo buono.
I nemici dell’Ucraina vorrebbero istigare lo scontro religioso tra il nostro popolo, mentre noi ci sforziamo di raggiungere la comprensione e l’unità della Chiesa» (aprile 2023).
E proprio per ricostruire questa unità, o almeno perché si avvicini il momento in cui nascerà una Chiesa ucraina unitaria (cosa che per alcuni è l’unica via d’uscita mentre per altri è una soluzione inaccettabile), sta lavorando un gruppo di laici e sacerdoti di entrambe le Chiese. Il gruppo misto, che si chiama «Ortodossia aperta», si era riunito una prima volta a Kiev nel luglio del 2022, e lo ha fatto di nuovo nel febbraio scorso, stilando una dichiarazione finale comune che è da considerarsi una traccia di lavoro per il futuro: «…noi concepiamo i rapporti tra le Chiese ortodosse e la società nella prospettiva dello Stato di diritto, del rispetto reciproco e del partenariato», e ancora «dobbiamo liberarci delle vecchie rivendicazioni e pregiudizi. Bisogna anche superare … la retorica dell’umiliazione reciproca tra rappresentanti delle due Chiese, come presupposto al dialogo».
E, si potrebbe aggiungere, come presupposto non solo della pace religiosa, ma del benessere del paese; oggi, afferma ancora padre Dudčenko,
«dobbiamo capire per cosa stiamo combattendo… Naturalmente, per la nostra libertà e il diritto di vivere liberamente nella nostra terra. Ma come sarà questo paese libero?
Per esempio, sarà un paese in cui tutti potranno svilupparsi e lavorare liberamente, o sarà un paese in cui ad alcune categorie sarà permesso di infrangere la legge? Le fondamenta di tutto ciò vengono gettate proprio ora. E noi, come cristiani, dovremmo capirlo e parlarne».
Il patriarca della Chiesa serba Porfirije, che di per sé appoggia incondizionatamente Onufrij, ha tuttavia ricordato che una Chiesa non può mai essere una delle parti di un conflitto, che è orrendo considerare un’altra Chiesa come nemico, perché tutti, da entrambe le parti della barricata, apparteniamo alla unica e vivente Chiesa di Cristo.
L’obiettivo è sottrarsi alla logica ideologica di contrapposizione per far sì che entrambe le comunità ortodosse vivano all’altezza della propria vocazione; non deve succedere che un domani, in Ucraina, qualcuno possa dire, come ha detto la scrittrice francese Virginie Despentes: «Curioso: ho più da dire sull’odio che sull’amore».
(foto d’apertura: R. Starchenko, wikipedia)
Marta Dell'Asta
Marta Carletti Dell’Asta, è ricercatrice presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si è specializzata sulle tematiche del dissenso e della politica religiosa dello Stato sovietico. Pubblicista dal 1985, è direttore responsabile della rivista «La Nuova Europa».
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