11 Agosto 2020

Una parrocchia ortodossa nella cittadella atomica

Dmitrij Sladkov

Nel monastero di Sarov, dove visse il celebre san Serafim, dagli anni ’40 è insediato un centro di ricerche atomiche. Un testimone racconta come è tornata la vita di fede nel tempio della scienza sovietica. La «rinascita religiosa» ha visto molte speranze e illusioni. Prima le pericolose derive militariste e oggi il business del turismo religioso. Eppure rinasce la vita della Chiesa.

L’opinione pubblica ortodossa è viva e vegeta e non si perde d’animo. In una lunga intervista a Evgenija Žukovskaja per «Parrocchie» (rivista online semiufficiale molto vicina alla cancelleria del Patriarcato di Mosca), Dmitrij Sladkov racconta un’esperienza locale, la rinascita della parrocchia ortodossa a Sarov, in cui si riflette l’esperienza dei laici e del clero di molte altre città russe. In queste riflessioni c’è una buona dose di amarezza, ma prevale una positività di fondo, nutrita dalla – sia pur timida – speranza che la vita dello Spirito non abbia abbandonato la Chiesa…

Come mai lei che non è di Sarov si è trasferito in questa città chiusa?
Sono nato a Čita, molto lontano da qui. A Sarov sono arrivato il giorno dell’Intercessione della Madre di Dio, nel 1992, perché in quel periodo Mosca era diventata una città piena di pericoli. Qui a Sarov era cresciuta mia moglie e abitavano i suoi genitori. In questa città chiusa, dove c’erano delle buone scuole, i nostri figli avrebbero potuto crescere tranquilli e sicuri.

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Dmitrij Sladkov

Architetto (1955), è autore di progetti sociali e pubblicista cristiano. Vive nella cittadina di Sarov, legata alla figura di san Serafim, e ancor oggi città chiusa perché sede di un istituto di fisica sperimentale, che per molti decenni portò il nome segreto di Arzamas-16.

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