5 Settembre 2019
Ortodossia: tre voci sui travagli della Chiesa
L’onda lunga della crisi dell’ortodossia ucraina arriva in Europa, aprendo contenziosi tra le varie comunità ortodosse. Cosa possiamo imparare da una vicenda che unisce molte criticità comuni a tutte le confessioni, e le società.
È in pieno sviluppo la questione dell’ex Esarcato russo ortodosso in Europa occidentale, nato per accogliere la realtà ecclesiale dei profughi russi che dopo la rivoluzione e la guerra civile non ritennero di poter più aderire al Patriarcato di Mosca, troppo vincolato dal nuovo potere sovietico, e che il 27 novembre 2018 è stato abolito dal patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, che l’ha retrocesso a semplice Arcivescovato. Ora la comunità non appartiene più ad alcuna giurisdizione. Tanto più che il Santo Sinodo di Costantinopoli il 30 agosto ha mandato in congedo canonico monsignor Jean arcivescovo di Charioupolis, togliendogli la cura delle parrocchie di tradizione russa in Europa occidentale. Questo ha inasprito le posizioni e l’arcivescovo Jean ha dichiarato ufficialmente che ora rimane una sola scelta, il Patriarcato di Mosca. In queste condizioni, l’ex Esarcato si appresta ad affrontare l’Assemblea generale dei delegati delle parrocchie che dovrà decidere il proprio destino.
L’Arcivescovato possiede a tutt’oggi 65 parrocchie, due monasteri e sette eremi dispersi tra Francia, Belgio, Olanda, Gran Bretagna, Germania, Norvegia, Svezia, Danimarca, Italia e Spagna; i sacerdoti sono oltre un centinaio, e i diaconi 30.
Le discussioni interne sono intense, accorate, e i pareri quanto mai discordi, tanto che l’unità della comunità sembra compromessa; alla fine dei conti le vie percorribili sembrano ridursi a due: restare con Costantinopoli, oppure (come vorrebbe lo stesso arcivescovo) tornare con Mosca, la patria d’origine con cui non si può rompere.